“Come editore che si batte contro le verità del potere e come tutti coloro che hanno a cuore la parola e il pensiero, credo che bisogna spezzare questo discorso sulla “guerra necessaria” in nome della libertà…”. L’appello (e l’analisi) del fondatore di Chiarelettere, stupito dal “silenzio degli editori italiani su quanto accaduto a Parigi”

Stupisce il silenzio degli editori su quanto accaduto a Parigi. Ovvio, ci sono state le condanne di tutti i media, è stata difesa a spada tratta la libertà di critica e di satira, ma non si è innescato un vero dibattito sul ruolo di noi editori in un momento così difficile in cui è stato portato un attacco diretto al libero pensiero. A parte l’articolo di Stefano Mauri su queste colonne, che ci ricordava che la libertà di stampa è sempre stata un po’ relativa, nessuno è intervenuto.

Ci hanno colpito al cuore, i terroristi hanno toccato il nocciolo duro della nostra essenza di inventori, produttori e venditori di parole.  Chi usa la parola e le immagini in modo del tutto libero innesca un processo “pericoloso” innanzitutto per gli integralisti di tutti le religioni, e costituisce almeno un fastidio per la stessa civiltà occidentale. Noi siamo dentro questo processo, questa catena che tiene unite le parole più diverse, i pensieri più lontani.

Ecco la vera integrazione: la libera associazione di parole e immagini che noi editori proponiamo a tutti, indistintamente. Noi siamo dei collettori di culture diverse, garantiamo lo scambio delle idee. Proteggiamo le intelligenze. Dobbiamo essere consapevoli pienamente del nostro ruolo, dobbiamo difenderlo sempre. Soprattutto in un momento così delicato in cui si tende a erigere muri invalicabili tra chi è diverso, e la paura vince su tutto.

La copertina dell'ultimo numero di Charlie Hebdo (in vendita in Italia con Il Fatto Quotidiano)

La copertina dell’ultimo numero di Charlie Hebdo (in vendita in Italia con Il Fatto Quotidiano)

Per questo dico: no, non siamo in guerra, non siamo in guerra con nessuno. Invece sembra che si dia per scontato che l’esercito della libertà e della democrazia sia già schierato contro l’esercito del fondamentalismo sanguinario islamico. Siamo caduti in trappola. La parola guerra scappa di bocca a tutti, dal difensore più disciplinato dell’ordine occidentale all’opinionista più illuminato e aperto. Persino comici, vignettisti, attori, e chi con la libertà ci lavora, non rinuncia  a evocare quella parola. La guerra è data per inevitabile e necessaria, “fermare la barbarie” è l’unica missione per le nuove generazioni chiamate a “conquistare la pace”.

La circolare inviata dall’assessore all’istruzione della regione Veneto, Elena Donazzan, ai presidi delle scuole in cui si chiede ai musulmani di condannare i fatti di Parigi e di aderire ai valori occidentali, rivela il clima in cui siamo precipitati. Tutti gli stranieri sono potenziali nemici, devono dimostrare di non esserlo. In spregio a qualsiasi principio liberale.

Come editore che da diversi anni si batte contro le verità del potere e come tutti coloro che hanno a cuore la parola e il pensiero, credo che bisogna spezzare questo discorso sulla “guerra necessaria” in nome della libertà. Un controsenso che poggia sull’idea che solo noi siamo i buoni e che gli altri, loro, sono i cattivi, dimenticando tutti gli orrori e i morti che abbiamo provocato.  Se non riusciamo a sradicare questo pregiudizio andremo incontro a nuove tragedie.

Il compito di noi editori, soprattutto di coloro che operano nel settore dell’informazione, è cercare di smascherare le falsità che ogni guerra comporta  e difendere la nostra libertà di critica, soprattutto  quando, in nome della sicurezza, lo Stato aumenta il suo potere repressivo, come accade dopo ogni evento terroristico.  Qui il ruolo dei media e degli editori diventa fondamentale: il nostro ruolo di “watch dog” è essenziale nei momenti dell’”emergenza democratica”. Ci accuseranno di essere disfattisti, come succede sempre in questi casi, di non avere il senso della misura e della responsabilità. Non importa.  Gli arsenali di Saddam non esistevano, false le verità di Bush e di Blair usate per attaccare l’Iraq. Ma quanta fatica per dirlo!

Ecco: noi dobbiamo essere pronti a smontare quell’ordine del discorso (rimando a Foucault) prodotto dal potere e provare a rimontarlo sulla base di una diversa documentazione, da trovare e verificare. Le verità ufficiali servono a farci lavorare. Se no, cosa ci stiamo a fare?

Il dissenso dà fastidio, ovvio. Chi si pone su un altro binario, chi affaccia dubbi, chi pone domande, rappresenta un problema e va fermato. L’arma di chi è più forte è il silenzio e l’azione legale. Ne sappiamo qualcosa noi di Chiarelettere che siamo una navicella indipendente che segue una sua rotta, per molti indecifrabile. L’unica nostra bussola è la ricerca delle verità, per navigare andiamo in tante direzioni e non siamo amici di nessuno. Siamo considerati inaffidabili, è la nostra forza. Il sistema dell’informazione cerca di ignorare nostri autori e denunce che esigerebbero risposte precise, un po’ come le inchieste di Report, vere bombe che vengono sistematicamente disinnescate perché nessuno dei media le riprende. Anche le querele sono usate per fermarci, per farci paura: ultimamente un giudice ha voluto punire chi ci aveva querelato ingiustamente. Primo caso in cui viene punita l’arroganza di chi usa la legge per intimidire senza avere alcuna ragione per farlo.

Ci difenderemo e proveremo le verità ricostruite. Anche questo è lavoro: fare in modo che la legge sia dalla parte del più debole e non del più forte, sempre nel rispetto della persona. Ci sono dei limiti alla critica e alla satira che ogni società si dà per tutelare principi condivisi e dignità dei singoli. Noi intendiamo rispettarli. Inutile invocare nuove leggi, già ci sono: in Italia non si possono oltraggiare le religioni, il presidente della Repubblica, le forze armate, non si può promuovere il fascismo né costituire partiti che ad esso si rifanno, non si può calunniare, diffamare. I limiti sono molti, chi è al potere, a tutti i livelli, li conosce e li travalica in senso contrario: per ingabbiare e a volte censurare. Non è un caso che la satira in Italia non esista quasi più. In casa nostra non c’è bisogno di fondamentalisti, la libertà spesso ce la togliamo da soli. Il caso Luttazzi che non ha accesso a nessuna tv è recente, ma ricordiamoci che questo è il paese che ha bruciato la pellicola del film Ultimo tango a Parigi di Bertolucci (1973) per oltraggio al pubblico pudore.

Siamo tutti campioni nel proclamare a parole la libertà di espressione e negarla quando non conviene più. Vedere sfilare a Parigi i leader del mondo e tra di essi tanti antidemocratici in nome della libertà faceva ridere ma era anche agghiacciante. Era la fotografia di tutte le falsità e ipocrisie che alimentano l’odio dei nostri nemici. Che credibilità possiamo vantare nei loro confronti?

In conclusione: i terroristi non vogliono altro che questo, che diventiamo come loro. Che vinca il pensiero unico, che si faccia piazza pulita della libertà, il vero loro nemico.  La guerra, da molti invocata, porta dritti in quel vicolo cieco.

Una versione più breve (e in parte diversa) di quest’intervento del fondatore della casa editrice Chiarelettere è stata pubblicata il 15 gennaio da Il Fatto Quotidiano

LEGGI ANCHE:

Su Charlie Hebdo e su quell’unica volta che, da editore, non ho lasciato totale libertà a un autore (di Stefano Mauri)

Dopo l’orrore di Charlie Hebdo, 18 libri per capire lo scontro in atto e riflettere sui possibili scenari

Dopo Charlie Hebdo, Peppa Pig “vietata” dai libri di testo in Gran Bretagna

I due problemi che pone la strage di Parigi (di Giovanni Fasanella)

Libri consigliati