“L’uso dell’aforisma come discorso amoroso è recente, e nasce sui social. Nel corso della sua storia, è sempre stato un genere cinico, freddo, pungente, sarcastico”. In occasione dell’uscita del romanzo poetico “Il numero più grande è due”, ilLibraio.it ha intervistato Fabrizio Caramagna, fondatore del sito “Aforisticamente” e autore di aforismi che, oltre a parlare del suo nuovo libro, ha spiegato com’è nata la passione per un genere definito “di confine, che ama sperimentare forme nuove e mescolarsi…”. Tanti anche i consigli di lettura, tra cui Ramón Gómez de la Serna e l’argentino Antonio Porchia…

“L’aforisma è, insieme al selfie, la principale forma di comunicazione sui social. Compare in molti post per accompagnare foto, stati d’animo, riflessioni. Kipling dice che quando citiamo una frase è come se ci avvolgessimo nel mantello di porpora di un imperatore. Una citazione rende tutto più luminoso, più autorevole, più brillante. Ma l’aforisma non è presente solo sui social, è ovunque. Si trova nei discorsi motivazionali dei manager aziendali, nei tatuaggi, negli stati di Whatsapp. Negli auguri di Natale o di compleanno. In politica è uno degli strumenti più utilizzati insieme al tweet. Nell’epoca della fretta e della velocità, l’aforisma, con la sua forma breve ed essenziale, si presta molto bene all’uso”.

A parlare è Fabrizio Caramagna, torinese classe ’69, in libreria con Il numero più grande (Mondadori), un romanzo poetico che racconta la storia d’amore tra Alberto ed Eleanor, dal primo incontro all’innamoramento, dai litigi alle riappacificazioni, trasportandoci in una relazione fatta di passione, dubbi e imprevisti.

Caramagna, fondatore del sito Aforisticamente e già autore delle raccolte Contagocce (Genesi editrice) e Linee di seta (Lietocolle), ha raccontato a ilLibraio.it di aver voluto scrivere un libro unico nel suo genere, “fatto solo di aforismi e poesie brevi, dove ci sono in pratica soltanto le frasi che il lettore vorrebbe sottolineare. Ero indeciso, infatti, se chiamarlo romanzo poetico o romanzo zen, proprio per queste sue caratteristiche di essenzialità“.

Il numero più grande è due

Ha definito Il numero più grande è due “qualcosa che non assomiglia a nessun altro libro”. Com’è nata l’idea di scrivere un romanzo poetico?
“Ho sempre amato quegli autori che sperimentano nuovi modelli, quegli autori che – come scrive Walter Benjamin – ‘cercano il nuovo, strappandolo con eroico sforzo al sempre uguale’. Il De Rerum natura di Lucrezio (una splendida contaminazione di poesia, scienza e filosofia), Il nome della rosa di Umberto Eco, Alice nel paese nelle meraviglie di Lewis Carrol, gli Esercizi di stile di Raymond Queneau, sono solo alcuni tra i molti gli esempi di sperimentazione letteraria che esistono”.

E tra questi ce n’è uno che l’ha colpita maggiormente? 
“Uno dei miei libri preferiti è Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, un testo che sfugge a ogni tentativo di codificazione. È al tempo stesso romanzo, saggio filosofico, dialogo, fiaba, poesia. È così originale che sembra davvero arrivato da un’altra galassia. Alaistar Fowler diceva che il genere letterario ‘è molto più un uccello che la sua gabbia’. Ecco, penso che un libro debba essere un uccello che vola al di là della gabbia, superando le convenzioni e le regole formali che lo incatenano”.

Come mai?
“Non mi piace tutto ciò che è standard, collaudato, omologato. Sono anni che vado in libreria e sugli scaffali vedo migliaia di romanzi che si assomigliano tra di loro. Centinaia di pagine, migliaia di parole, storie storie e sempre storie, in una specie di saturazione narrativa dove predominano gli stessi meccanismi di produzione testuale, gli stessi congegni retorici, le stesse regole verbali”.

E cosa rende l’aforisma diverso da tutti gli altri generi?
“La parola aforisma deriva dal greco aphorizein che vuol dire ‘orizzonte’, ma anche ‘confine’. L’aforisma è un genere di confine, che ama sperimentare forme nuove e mescolarsi con diversi generi: filosofia, poesia, proverbio, racconto, epigramma, barzellette, fumetto, etc. Il primo libro di aforismi, quello di Ippocrate, è un libro di massime filosofiche e di precetti medici. La sperimentazione e l’ibridazione sono un qualcosa che è connaturato nella mia natura di aforista”.

Lei ha deciso di usare l’aforisma per raccontare una storia d’amore. Pensa che questo genere (nell’era dei social tornato al centro dell’attenzione) si possa prestare anche ad altri argomenti?
“L’uso dell’aforisma come discorso amoroso è recente, e nasce sui social. Nel corso della sua storia, è sempre stato un genere cinico, freddo, pungente, sarcastico. Si pensi a Oscar Wilde o La Rochefoucauld o Cioran. Se questi scrivevano di amore, era per demitizzarlo e smascherarlo. Una frase romantica come quella dell’americano Dr Seuss: ‘Sai che sei innamorato, quando non riesci a dormire perchè finalmente la realtà è migliore dei tuoi sogni’, sarebbe stata impensabile per questi autori”.

Come pensa si debba porre il lettore davanti al suo libro? Come davanti a una storia da leggere in un fiato, o come una lettura da fruire a frammenti?
“Come detto, Il numero più grande è due è una storia d’amore che si legge tutta d’un fiato. Ma è anche un libro da sfogliare alla ricerca della frase giusta da annotare nel proprio diario personale. Proprio per questo si fa non solo leggere, ma anche rileggere”.

Un passo indietro: quando ha deciso di iniziare a scrivere aforismi? Quali autori l’hanno influenzata?
“All’inizio scrivevo racconti brevi. Racconti di due pagine, che abbreviavo sempre di più. Così ho cominciato a interrogarmi sulla mia predilezione per la brevità e ho scoperto l’aforisma, un universo completamente sconosciuto. È stato il primo genere letterario al mondo, eppure pochi lo conoscono per davvero. Tutti citano La Rochefoucauld, Canetti, Kraus, Longanesi, Flaiano, ma non so quanti abbiano letto i loro libri di aforismi. Una delle cose che mi intristisce di più è che non viene insegnato nelle scuole. C’è un autore spagnolo che si chiama Ramón Gómez de la Serna. Le sue frasi, dette anche greguerías, potrebbero essere uno stimolo didattico per i bambini delle elementari, insegnando loro a trovare analogie impreviste tre le cose”.

Qualche esempio?
“‘L’anguria è un salvadanaio di tramonti’, ‘Tuono: un baule rotola giù dalle scale del cielo’, ‘Chitarra: donna con quattro fianchi’, ‘La cometa è una stella coi capelli sciolti’, ‘Le rondini mettono tra virgolette il cielo’. Ramón Gómez de la Serna mi ha insegnato il pensiero divergente, il guardare il mondo a testa in giù. Scrivere aforismi è gettare le parole come dadi e sperare che dalla combinazione esca fuori un paradosso, un capovolgimento, un modo di vedere le cose che non è quello ordinario e banale”.

Altri autori?
“Un altro autore che mi ha influenzato molto è Emily Dickinson. Qualcuno obietterà che è una poetessa, ma io penso che abbia scritto anche degli aforismi meravigliosi”. 

E tra i contemporanei?
“Adoro l’argentino Antonio Porchia, che qui in Italia è quasi sconosciuto. In tutta la sua vita ha scritto soltanto 600 frammenti aforistici raccolti nel libro Voci. Anni fa ho tradotto in lingua italiana i suoi aforismi, pubblicandoli presso una piccola casa editrice. Questo autore si interroga sui limiti del linguaggio e in qualche modo lo destruttura e lo stravolge, cercando un nuovo senso alle cose: ‘Sei tu che mi fai sentire ciò che sento, ma non sei tu ciò che sento. Ed è tutto come te: un farmi sentire ciò che sento. E che cosa è ciò che sento?’ o ‘Diamo un nome e dopo non sappiamo che nome dare al nome'”.

nota: la foto in copertina è di Angelo Barra

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