“Amici di una vita” di Hisham Matar è un romanzo che, come una spirale, si avvolge su sé stesso e racconta l’amicizia di tre ragazzi libici (dal 1984 fino all’ultimo saluto quasi trent’anni dopo), il rapporto con la loro terra e con la Storia. Selezionato nella longlist del Booker Prize, il libro affronta il tema dell’esilio politico e della lotta per la libertà
Il 17 aprile del 1984, da una finestra al primo piano dell’ambasciata libica in St James Square, un uomo spara contro i pacifici manifestanti (studenti per la maggioranza) giunti a Londra per contestare la dittatura di Gheddafi.
Sono molti i feriti, e c’è una vittima: una giovane poliziotta inglese – Yvonne Fletcher.
Questo evento di cronaca è il punto di partenza di Amici di una vita (Einaudi, traduzione di Anna Nadotti) di Hisham Matar, un romanzo che, come una spirale, si avvolge su sé stesso e racconta l’amicizia di tre ragazzi libici, dal 1984 fino all’ultimo saluto quasi trent’anni dopo, il rapporto con la loro terra e con la Storia.
Khaled e Mustafa provengono dalla Libia, studiano all’università di Edimburgo, rinomata, prestigiosa, presidiata da alcune spie del regime di Gheddafi; e ora sono due anime in cerca di stabilità, due ragazzi che hanno soltanto la loro amicizia e che non possono tornare nel loro Paese.
“Ciò che mi impressionò fu la sensazione. S’impresse letteralmente dentro di me e poi si diffuse in me con forza incontenibile, indiscutibile, finché raggiunse il centro stesso del mio cervello e sostò lì per un istante prima di tornare indietro e scolorire facendo terra bruciata, spingendo tutto ciò che ero, tutto ciò che non sapevo neppure di essere, al limite estremo”.
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Amici di una vita parla dell’amicizia tra Khaled, Mustafa e Hosam ma inizia con la sua conclusione: Khaled ha appena salutato il “vecchio amico Hosam Zowa”, pronto a partire per gli Stati Uniti. E quell’addio è la chiave che mette in moto il racconto del narratore-protagonista.
Khaled ci porta tra passato e presente, tra Libia e Inghilterra, mentre cammina verso il suo appartamento e i luoghi gli riportano alla mente tutto quello che è stato: gli studi universitari, le serate tra amici, il lavoro di insegnante. L’infanzia a Bengasi e, molti anni dopo, la primavera araba seguita tramite giornali e social media.
Quasi a ricordare l’Ulisse di Joyce, il tempo scorre in modo unico: rallenta per dare lo spazio al narratore di descrivere le serate con Mustafa e Hosam, o le lettere – aperte e controllate – ai genitori ancora in Libia, e poi accelera così da far passare anni, matrimoni e battesimi tra una via e l’altra di una Londra notturna. Dalla stazione di King’s Cross alla casa in Shepherd’s Bush.
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Attraverso i pensieri di Khaled entriamo in contatto con i dissidi che prova un uomo in esilio: vorrebbe partire per aiutare il suo paese nella rivoluzione ma, al tempo stesso, non vuole lasciare la sua vita. Dagli anni ’80 al 2010, trent’anni nei quali la frattura tra il figlio e la madre(patria) si è resa insanabile e la paura di perdere tutto ha superato il desiderio di libertà.
Hisham Matar è uno scrittore di origine libica (è nato a New York nel 1970) e ora vive a Londra. Amici di una vita non è una biografia, ma si rifà a quello che la famiglia dell’autore in parte ha subito. Ciò è invece descritto in Il ritorno – Padri, figli e la terra fra di loro (Einaudi, traduzione di Anna Nadotti) con il quale Matar è stato insignito del Premio Pulitzer per la biografia e autobiografia nel 2017.
In entrambe le opere, però, il risultato è la testimonianza dei controlli asfissianti, della censura e delle violenze da parte del regime di Gheddafi nei confronti degli oppositori – via via sempre meno forti… – e della chiusura dei confini per gli studenti all’estero.
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Tornando all’ultimo libro di Hisham Matar, Amici di una vita (scelto tra i libri della longlist del Booker Prize 2024) si muove lungo due linee: la denuncia politica, di cui abbiamo detto, che si fa sempre più presente man mano che il libro prosegue (anche attraverso i resoconti via mail che gli amici fanno a Khaled); e l’amicizia, grande costante della narrazione, che si sviluppa, trasforma e cerca di resistere tra i tre protagonisti.
Khaled e Mustafa, nonostante gli anni che passano, sanno l’uno ogni cosa dell’altro. L’esperienza della sparatoria e le settimane insieme in ospedale legano le vite dei due uomini. Parlano di libertà e ideali, di combattere e lottare. Ma anche di ragazze e quartieri londinesi.
Khaled e Hosham, invece, si sono incontrati per caso. Hosam è uno scrittore e un suo racconto è stato letto alla radio della BBC. Quelle parole, scritte quando lui era già in esilio e nemico dello Stato, hanno spinto Khaled a studiare letteratura e hanno condizionato tutta la sua esistenza. “Il tuo libro straordinario. Giunse in un momento cruciale della mia vita. Ha condizionato tutte le mie letture”.
Due rapporti diversi ma che danno idea di quanto l’amicizia sia fondamentale nella vita di una persona.
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Amici di una vita è un libro profondo, dalle descrizioni lunghe, quasi meditative. In equilibrio con frasi più brevi, piccole istantanee di vita. È il cammino di un uomo verso casa: e non solo intendendo il domicilio ma, come suggerisce l’ultimo capitolo, anche verso un ritorno dalla sua famiglia. È la descrizione di Londra attraverso scrittori e scrittrici – Conrad, Woolf, Stevenson tra gli altri – che ci hanno vissuto e poi sono scappati, intervallata da visite al museo e letture di poesie. È il ricordo di chi ha lottato per la libertà e ora non c’è più.
Ci sono romanzi al cui interno si cela tutta la vita. Qualcosa è più esplicito, qualcos’altro meno. Ma, se si scava attentamente, anzi, se si lasciano entrare le parole dell’autore (o autrice), tutto è più chiaro. Solo leggendo quel libro si possono però cogliere veramente tutte quelle sfumature. Amici di una vita di Hisham Matar è uno di quei romanzi.
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