“Viva più che mai” è il nuovo romanzo di Andrea Vitali: racconta una storia sorprendente e misteriosa, tra passato e presente… – Su ilLibraio.it un capitolo

Dubbio” è il soprannome che hanno dato a Ernesto Livera, e si addice bene alla sua indole un po’ tentennante. Una certezza, però, Ernesto l’ha molto chiara: fa il contrabbandiere. Avrebbe fatto altro nella vita, ma così è. E ora campa traghettando stecche di sigarette dalla Svizzera con una barchetta a motore. Ma poi una notte urta con la prua della barca il cadavere di una donna. Ernesto non può lasciarlo lì: lo tira a riva, ma sa che è meglio tenersi a distanza dai carabinieri, con il mestiere che fa. Così telefona al dottor Lonati, suo cliente fidato; ma il mattino successivo, alla riva, il cadavere non si trova più.

andrea vitali

LEGGI ANCHE – Tanti romanzi di Andrea Vitali

Eppure Ernesto l’ha visto bene! Comunque ora sorge quel maledetto solito “dubbio” di esserselo sognato, da cui ha preso anche il nome. E il dottor Lonati lo sa che Ernesto soffre di questo tipo di allucinazioni fin da quando era un ragazzino. Forse dovrebbe cercarsi un lavoro più regolare. E magari una fidanzata.

Il lago però non mente: nasconde segreti inconfessabili, e quando decide che è il momento di rivelarli, non ci sono dubbi che tengano…

Viva più che mai (Garzanti) è il nuovo romanzo di Andrea Vitali: racconta una storia sorprendente e misteriosa, una matassa che ingarbuglia il presente con il passato, la riva di qui con quella di là del lago di Como…

OLIVE COMPRESE

Andrea Vitali è nato a Bellano, proprio su quel lago di Como in cui ambienta il romanzo. Medico di professione, ha sempre coltivato la passione per la scrittura esordendo nel 1989 con il romanzo Il
procuratore. Nel 2003 approda alla Garzanti con Una finestra vistalago e riscuote
ampio consenso di pubblico e di critica con i romanzi che si sono succeduti: La figlia del podestàLa modistaAlmeno il cappelloOlive comprese. Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia e nel 2015 il premio De Sica.

ALMENO IL CAPPELLO

Su ilLibraio.it, per gentile concessione di Garzanti, proponiamo un estratto:

Ruggiva come un trattore l’850, ed era targata Viterbo. Venuta via per quattro lire da un rivenditore sfasciacarrozze di Berbenno, era stata il mezzo con il quale il Riffa aveva cominciato a girare per i mercati prima del camioncino.

Una bella notte, quella tra il 1o e il 2 novembre di due anni prima, aveva preso fuoco. Quando i pompieri erano giunti sul posto, non avevano potuto fare altro che spegnere le fiamme, che tra l’altro s’erano già attaccate all’edera secca che ricopriva il muro accanto al quale la macchina era stata parcheggiata, perché per salvare qualcosa era troppo tardi. Alla fine l’850 non c’era più, ridotta a uno scheletro di metallo.

Dell’incendio il Pezzati aveva sentito parlare al bar. E lì avrebbe lasciato morire la faccenda se quel giorno non si fosse presentato in caserma l’assicuratore Gaspare Nano il quale, con una cert’aria di superiorità, gli aveva chiesto se per caso non avesse notato niente di strano in quell’incidente.

Dopo avergli chiesto a cosa si riferisse, sentita la spiegazione del Nano, aveva risposto: “No. E lei?”.
“Io sì”, aveva dichiarato l’assicuratore con un sorriso furbetto. “Sono tutto orecchie”, aveva detto il maresciallo allargando le braccia in un gesto di accoglienza. Prima di tutto, aveva ripreso il Nano, bisognava sapere che l’auto era assicurata da pochi mesi. “Colpa mia”, aveva aggiunto l’assicuratore provocando la reazione del maresciallo. Di che colpa parlava, visto che assicurare anche automobili era il suo lavoro?

Il Nano aveva scosso il capo. “Un altro al mio posto non l’avrebbe fatto”, aveva risposto.

Lui s’era lasciato impietosire dalle balle del Riffa. Era l’unico suo bene, ci lavorava, ci portava in giro la merce, a volte ci dormiva anche, quando doveva raggiungere piazze libere un po’ lontane. Così dopo sei mesi aveva preso fuoco.

“Sfortuna?” aveva insinuato il Pezzati. “Forse no”, aveva risposto l’assicuratore. Forse no perché la macchina del Riffa era parcheggiata lungo la stradina che portava al cimitero. “Buia, vuota e senza case intorno.” E poi perché gli stessi vigili del fuoco gli avevano detto che non avevano trovato nemmeno l’ombra di una scarpa, per quanto bruciata. “Il che significa che non c’erano scarpe a bordo”, aveva concluso il maresciallo. “No, se mi permette. A mio giudizio significa che il Riffa le aveva preventivamente scaricate onde evitare che bruciassero insieme con la macchina.”

Quando tornava da mercati lontani, Chiavenna o Verceia, o da qualche fiera che lo teneva impegnato tutto il giorno, il Riffa non scaricava e parcheggiava davanti al municipio o in piazza della chiesa, lo sapeva dalla guardia notturna Bellematti che per amicizia gliela teneva d’occhio.

E il giorno prima il Riffa era stato alla fiera di Tutti i Santi a Grosotto! “D’accordo, ho capito, può andare”, aveva concluso il Pezzati.

E, una volta partito il Nano, era partito lui, direzione casa Riffa dove s’era trovato sotto gli occhi il giovanotto steso a letto, le coperte tirate fin sotto il naso, febbricitante, a suo dire. Quasi trentanove dal pomeriggio del giorno prima! Forse aveva preso freddo su in Valtellina…

Così, arrivato a Bellano, aveva deciso di saltare il mercato di Mandello per starsene a letto e si era fatto aiutare dal Dubbio per scaricare la macchina e mettere la merce al sicuro in casa. Poi, per sdebitarsi del piacere, aveva lasciato le chiavi della macchina al socio, così, se voleva farsi un giro… Ma il socio, no.

Sentito mezz’ora più tardi, il Dubbio aveva detto al Pezzati che, pur avendo avuto una mezza idea di fare un giro, aveva desistito quando, a circa metà strada verso Vendrogno, quasi all’altezza della frazione di Pradello, aveva visto che nella macchina non c’era quasi più benza, quindi aveva fatto dietro front e cara grazia se era riuscito ad arrivare all’altezza del cimitero.

Si era infilato in quella stradina e basta. Le chiavi, l’unica cosa che adesso restava della macchina, le aveva ancora in tasca. “Le devo dare a lei?” aveva chiesto il Dubbio. “Grazie. Le tengo per ricordo”, aveva risposto il Pezzati. “E di’ al tuo socio che è difficile fare due volte tredici al totocalcio.”

Quel ricordo il maresciallo l’aveva custodito con cura nel cassetto della sua scrivania e adesso lo mostrò al Riffa, poco prima di chiedergli cosa avesse fatto di bello il pomeriggio precedente.

(Continua in libreria…)

Abbiamo parlato di...