L’antologia “Atti impuri”, a cura di Guido Davico Bonino, mira a offrire un quadro della letteratura erotica italiana in prosa, a partire dalla fine del Duecento con Il Novellino fino ai primi anni del Novecento con Gabriele D’Annunzio

Qual è la storia della letteratura erotica in Italia? Quali sono gli autori che nel corso del tempo si sono dedicati a questo genere, molto popolare e allo stesso tempo poco conosciuto? L’antologia Atti impuri (Garzanti), a cura di Guido Davico Bonino, già capufficio stampa e segretario generale della casa editrice Einaudi, nelle intenzioni del curatore mira a offrire un quadro completo e vario della letteratura erotica italiana in prosa, a partire dalla fine del Duecento con Il Novellino fino ai primi anni del Novecento con Gabriele D’Annunzio.

Sono oltre cinquanta le firme degli scrittori compresi nel volume (Boccaccio, Lorenzo de’ Medici, l’Aretino, Giambattista Basile, Casanova, Lorenzo da Ponte, Boito, Capuana, Verga, per citarne solo alcuni), di cui sono state selezionate le novelle più audaci.

Seduzioni, scandali, persino incesti e reati come lo stupro, sono gli spunti di questa letteratura lontana dai canoni e dai ricordi scolastici.

Come sottolinea nella premessa Davico Bonino, anche se spesso i racconti erotici non sono oggetto di studi, il modo in cui oggi concepiamo il sentimento amoroso è condizionato, in parte, anche da da questo tipo di componimenti: “È proprio per sottolineare queste ‘prossimità’ che ci siamo mossi nella nostra scelta: nel farlo, abbiamo rispettato gli scrupoli di quell’accademia, da cui proveniamo per studi e lunga consuetudine, ma ci siamo anche augurati – per dirla tutta – che molti giovani, amanti e/o amati, vi si accostassero“.

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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo uno dei testi:

ORTENSIO LANDO

(1512 ca-1553 ca)

Milanese, laureato in medicina a Bologna, questo vivacissimo poligrafo (vissuto in Francia e in Germania, a Lucca e a Ferrara, e naturalmente a Venezia, capitale dell’editoria) scrisse di tutto e del contrario di tutto: i Paradossi (1543) e la loro Confutazione (1544), le Lettere di molte valorose donne e i Sette Libri di Cataloghi a varie cose appartenenti (1552); e, nello stesso anno, un bric-à-brac di Varii componimenti, tra cui favole, dialoghi, novelle.

Dai Varii componimenti

In questa novella si narra una leggiadra beffa fatta da una giovane moglie ad un attempato marito, e s’impara che chi cerca godere dell’altrui, altri spesso gode del suo.

Fenice, figliuola di Tolomeo Stella gentiluomo bresciano, essendo giovinetta e sempliciotta ma bella sopra modo, fu data per moglie a maestro Marsilio Coradello, medico eccellente, ma, paragonato alla moglie, non molto giovane: il quale le dava ad intendere che gran peccato fosse l’abbracciare con carnal diletto la moglie più d’una fiata la settimana. Fenice, che giovanetta era, come dissi, e non avveduta, a ciò non pensava molto, ma di tutto core credeva alle parole del bugiardo marito. Avvenne che il medico s’invaghì d’una leggiadra giovane, figliuola d’una tessaia;1 e tanto disse e tanto fece co’ suoi denari che ne la trasse di casa della madre e posela con una Giannina Trecca, che stava al Mercato Nuovo; e spesse volte andava a giacersi con esso lei, e Fenice indarno tutta la notte l’aspettava. Or tanto andò questo giuoco, che pure un giorno se ne dolse con la madre, la quale con i parenti del marito assai di questo fatto si querelò, il genero molto biasimando. Ed alla figliuola disse che non dovesse credere alle sciocche favole di suo marito, perciò che tanto era lecito quanto si poteva fare,2 se ben3 si fosse fatto, e di giorno e di notte; ed egli si doveva forse trastullare con altra femmina, e maggior fuoco del suo gli doveva scaldare il petto; ma che4 tanti e tai bracchi gli terrebbe alla coda,5 che tosto risaprebbe di cui innamorato fosse. E con tal deliberazione da lei partitasi, tanto andò rivolgendo che ella ritrovò come il fatto stava, ed alla figliuola il tutto raccontò, e con sue favole condussela a pensare a nuovi partiti. Fecesi adunque Fenice un giorno alla finestra e veduto passare un Vitelliano Barbisone, uomo di grata presenza, ricco e d’amabili costumi ornato, dal quale era stata lungo tempo vagheggiata, 6 gli fece dalla fante, a cui soleva rivelare ogni suo pensiero, dire che a lei sotto la porta ne venisse. Venne il giovane, pur troppo7 contento di tal richiesta, al quale Fenice, non senza qualche rossore, così disse: «Dolcissimo amante, tu dèi sapere che mastro Marsilio si tiene nella casa della Giannina Trecca a suo diletto una fanciulla, colla quale il più delle volte si trastulla la notte. Io vorrei, se possibil fosse, facessi opra d’aver i panni suoi, e di quelli vestito a me te ne venissi, acciocché i famigliari di casa credessono che tu fossi il medico e così male alcuno non sospettassero». Era per caso la Giannina molto amica di Vitelliano, e già molti servigi per addietro si avevano l’una parte all’altra fatti. Dato pertanto questo ordine, e avutone Vitelliano per arra un dolce bascio, andossene a casa della Giannina, e trovatala tutta oziosa le disse: «Fammi bisogno, Giannina, che alquanto io ti favelli» e nella casa entrato, così cominciò a dire: «Io so che maestro Marsilio si ti pratica per casa, e il più delle volte ei vi giace: laonde vorrei che quando egli è nel letto, per ispazio di due ore, tu mi facessi avere i panni del medico, e io ti rimunererò questo grato servizio di quanto8 mi saprai chiedere». La femmina, lieta per la graziosa e liberale offerta, non solo per due ore, ma per tutta la notte gli9 promise; e poi pregollo le prestasse dieci fiorini, ed egli subitamente glie li diede. Non passarono tre giorni che maestro Marsilio andò a dormire colla sua fanciulla, e la Giannina subitamente mandò per10 Vitelliano; al quale venuto che fu diedegli le vesti del medico; ed esso di quelle incontanente si vestì ed andossene alla casa:11 e ritrovato l’uscio aperto, salì le scale ed andò dove Fenice era colla famiglia. Né favellando punto, come se adirato fosse, inviossi verso la camera, la quale per ottimi contrassegni sapeva.12 Fenice, che di subito lo riconobbe, pian pianino il seguitò; e la famiglia,13 veggendo il padrone di casa, chiuse la porta, e quando fu ora d’andare a dormire, v’andò. Sollazzarono i due amanti fino all’aurora e diedero ordine14 di ritrovarsi insieme quanto più spesso potessero; il che si fece con estrema contentezza di tutti due. Avvenne una volta fra l’altre che ’l medico era a casa della Giannina, secondo sua usanza, e Vitelliano travestito era nella casa del medico, ed un figliuolo della Giannina, reo15 e malvagio molto, sendo sbandito non osava di comparire nella città di giorno, ma solo di notte cotai volte a casa se ne veniva, ed alla porta fortemente picchiando, dissegli la madre: «Qual sei tu che furiosamente l’uscio percuoti?». Rispose colui: «Sono il Traverso, tuo figliuolo: aprimi tosto che gli sbirri per mala sorte non mi pigliassono». «Aspetta un poco», disse la madre: e questo fece per potere più commodamente nascondere il medico. Ma il Traverso, ch’era tutto molle per la molta pioggia, oltre ch’era quasi che assiderato dal freddo, temendo d’essere sopraggiunto dalla sbirraglia, non poté più lungamente aspettare: onde data una pinta16 nella porta, con violenza l’aperse. Messer medico, che conosceva esser costui furioso e micidiale, cerca e ricerca i suoi panni, né gli sapeva in modo alcuno ritrovare. Il Traverso aveva già salito la scala, e il medico veggendo, trasse il coltello per ferirlo: ma egli, dalla paura aitato,17 si pose in fuga. La pioggia vi so dire che gli lavava il ciuffetto, il vento da ogni lato il percuoteva, il freddo gli toglieva vigore, e ad ogni tratto inciampava, urtando ora in qualche colonna, ed ora in quella18 dando del capo. Taccio di dirvi, quante volte egli cadesse nel fango. Era l’infelice medico pe’l fango tutto lordo: batteva co’ denti che pareva una cicogna: pur tanto fece e tanto s’aitò ch’egli giunse a casa. E, dopo molto picchiare, alla fin una delle fanti si fece alla finestra e disse con orgogliosa voce: «Qual sei tu, che tutta la notte non resti di picchiare?» ed egli, appena potendo trarre il fiato dal petto, disse: «Io sono il tuo messere».19 La fante per lo spesso balenare aveva veduto ch’egli era tutto ignudo, e pertanto più arditamente cominciò a garrire e dire: «Via, via, ribaldone, ubriaco, che tristo ti faccia Dio, questa non è la tua porta». E chiuso il balcone, andossene alla camera di madonna, e dissele: «Madonna, fate sapere a mio messere che alla porta è uno tutto ignudo ed ebro (al mio parere), che pertinacemente afferma d’essere il mio padrone: né in modo alcuno se ne vuol partire». Fenice, che di leggieri20 si pensò che ’l marito fosse, rispose alla fante: «Come dic’ egli di essere il tuo padrone? Non lo vedesti tu iersera entrar nella camera? Va’ un poco mentre mi levo, e recami tre o quattro mattoni da scagliargli nel capo». Rivolta poi a Vitelliano, lo prega non si muova dal letto, ma che lasci guidare a lei tutta l’impresa: ed itane alla finestra, non rimanendo21 il marito di bussare, disse: «Qual sei tu, che tutta notte non cessi di turbarci e non ci lasci punto dormire?». Rispose messer lo medico: «Io sono maestro Marsilio tuo marito: aprimi, per Dio, ché son tutto morto di freddo». Disse allora Fenice: «Oh, che dolente ti faccia Dio, asinaccio porco che tu sei! Come hai ardimento di dire che tu sii mio marito? Tu dèi essere qualche isviato22 truffatore. Alla croce di Dio, che se non ti parti, ti susciterò contra tutta la vicinanza, e sarebbe meglio che avesti ancora a nascere. Va’ via, va’ via, gaglioffone». E gittatogli una grossa pietra, poco vi mancò che non l’uccidesse. Messer lo medico, che si vide giunto a mal porto, ritornò a casa della Giannina per riaver,se potesse, i panni suoi. E mentre andava fu preso dagli sbirri: né gli giovò l’esser medico, ché fu posto prigione. Fra tanto Fenice si trastullava col suo Vitelliano. Venuta poi l’ora di doversi partire, egli se ne andò alla Giannina, la qual n’aveva mandato23 il figliuolo; e ripostisi i suoi panni, a casa, lietissimo del successo, ne andò. Fatto poi giorno, mandò il medico per la toga;24 e pagata la condannagione, a casa ritornò. Fenice al venir del marito se gli fece all’incontro e, sendovi presente la famiglia, fecegli grata accoglienza.

Quando poi furon nella lor camera, disse la donna: «Oh che maledetta sia l’ora che nella casa vostra venni giammai; e maledetta la dottrina che nello studio di Padova apprendeste. E che vuol dire che tutta la notte ve ne andate puttaneggiando? Oh bella gravità di dottore! Oh bella continenza di filosofo! Non vi vergognate voi di lasciarmi sola in tanto pericolo, come sono stata la notte passata? Venne (ché so ben io che nol sapete) venne, dico, un briccone, ignudo com’ei nacque, quando sì dirottamente pioveva, bussando e ribussando: e sapeva sì ben contrafare la vostra voce che pochi sono che non ne fussero ingannati; e poco mancò che io non gli aprissi: e se lo avessi aperto e qualche grande sciagura ci fusse accaduta, come sareste voi mai più stato lieto? Io lo scacciai con aspre parole e trassigli, commossa da grave sdegno, di molte pietre». Maestro Marsilio, con gli occhi imbambolati, non rispondeva nulla, ma stavasi guatando la terra con sì umil gesto che pareva santo Ilarione: e mansuetamente chiedendole perdono, fu fatta la pace; promettendo però messer lo medico di rifar compiutamente25 a quanto aveva mancato per lo passato.

 

 

NOTE

1 tessaia: tessitrice.

2 tanto… fare: massima ben nota, dal cinico pragmatismo.

3 se ben: sempre che.

4 ma che: tuttavia aggiunse che.

5 tanti… coda: tali e tante spie gli metterebbe dietro.

6 vagheggiata: corteggiata.

7 pur troppo: persino troppo.

8 di quanto: nella misura in cui tu.

9 gli: glieli (i panni).

10 per: a chiamare.

11 andossene alla casa: si recò, sotto le spoglie del marito, a casa di

Fenice.

12 sapeva: sott. riconoscere.

16 pinta: spinta.

17 aitato: stimolato.

18 in quella: in un’altra.

19 messere: padrone.

20 di leggieri: immediatamente.

21 non rimanendo: ostinandosi

22 isviato: traviato, corrotto.

23 mandato: spedito fuori casa.

24 toga: il mantello della professione medica, per lo più nero.

25 rifar compiutamente: risarcire completamente, sul piano del comportamento

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