“Charlie Palla di Cannone”, esordio narrativo di Giulio Spagnol, mette in scena l’insofferenza di anime tormentate e ribelli che hanno la faccia di ragazzini scatenati. Una spericolata speculazione filosofica e scientifica, in un romanzo intriso di crudeltà e sgomento- Su ilLibraio.it un estratto

Charlie Palla di Cannone (Mondadori), esordio di Giulio Spagnol, è senza dubbio un debutto letterario originale. La voce dell’autore – laureato in Neuroscienze a Oxford – trasporta lettrici e lettori nella vita di Charlie, bambino di nove anni, senza braccia e senza gambe, inchiodato a una sedia a rotelle

Giulio Spagnol Charlie palla di cannone

Il piccolo protagonista è esposto a ogni sorta di sevizie.

La vita è uno strazio, che si apre però alla rivolta e alla consapevolezza. Niente di più semplice per Charlie, all’anagrafe Carlo Campo, che trasformarsi in una palla di cannone, e liberarsi dall’attrito del corpo e dell’Io.

Nella sua ascesi è aiutato da compagni folli, come la solitaria e depravata Alix, attrice berlinese in cerca di vendetta; il Capoclasse, tormentato enfant prodige, grassoccio e poeta; l’aristocratica Livia, suo fuoco e supplizio.

Non ci sono maestre che possano fermare il progredire della ribellione, né c’è preside capace di volgere in repressione la sua indifferenza. Del resto Charlie è tutt’altro che indifeso contro il mondo: ha saputo maturare una consapevolezza filosofica che esplode in chirurgico eloquio e lo trasforma in leader di una setta di discepoli…

Nato a Varese nel 1992, Giulio Spagnol ha fondato nel 2022 la rivista letteraria Galápagos e ha pubblicato racconti su Nazione Indiana, Machina e Pastrengo.

Il suo primo romanzo viene definito una favola folle, una danza macabra e una spericolata speculazione filosofica e scientifica. Charlie Palla di Cannone mette in scena l’insofferenza di anime tormentate e ribelli che hanno la faccia di ragazzini scatenati. E lo fa attraverso una narrazione intrisa di crudeltà e sgomento, tra comico e assurdo.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

«Signore, Charlie è arrivato in classe da noi l’anno scorso, a settembre. Quella mattina, come ogni anno, ci radunammo in cortile dietro la signorina Calamari e, prendendoci per mano, ci precipitammo su per le scale sbandando come un millepiedi tagliato a metà. Ricordo che tra tutte cercai solo la mano di Livia ma lei, sdegnosa come un gatto, mi scansò e si posizionò in coda al millepiedi. La mano la diede a quella smorfiosa di Mindy Mendelssohn, con quei fiocchetti rosa nelle trecce e quell’apparecchio cromato che quando ti sorride sembra il cofano di una macchina. Per consolarmi mi misi alla testa del millepiedi e cominciai a impartire ordini. Invitai tutti alla calma, al contegno e alla disciplina. Poco prima avevo convocato il mio gabinetto nei bagni al primo piano. Nessuno diede forfait, avevo ricevuto rassicurazioni da grossi nomi, nomi che, se rivelati, farebbero girare la testa: capibastone, capicorrente, grandi elettori. Non vorrei dilungarmi sulle logiche sotterranee che muovono i consensi politici. Vi basti sapere che Teo, Tommaso e Livia erano pronti a votarmi in cambio di qualche, diciamo, garanzia. Che ne so, mettiamo che una certa persona ne abbia spinta un’altra durante la ricreazione… Ecco, dopo la ricreazione il suo astuccio lo ritrova sventrato e inchiodato al banco. Non so se mi spiego. Mettiamo che una certa persona abbia bisogno che sua madre firmi una verifica di matematica andata così così. Ecco che…» Il Capoclasse attraversato da un fremito si morde il labbro inferiore. «Signori, mi sembra scontato che queste confidenze ve le faccio solo per dimostrare la mia buona fede, che sono disposto a collaborare in pieno con le indagini in corso. Pertanto, suppongo che non ci saranno conseguenze su…»

«Giovanotto, le assicuro che del suo sistemuccio malavitoso non so cosa farmene.»

Il Capoclasse, stizzito, alza gli occhi al cielo e sbuffa. «In classe trovammo riuniti tutte le maestre e i nostri genitori: sembravano una tribù di giganti che si era data appuntamento in una città della Playmobil. Le maestre ci dissero di stare buoni e di prendere posto. I nostri genitori si misero in piedi dietro di noi. La signorina Calamari, davanti alla cattedra, fece un breve discorso di benvenuto: la solita propaganda un po’ melensa. Disse che era contenta di rivederci, sperava che le vacanze fossero andate bene, che ci fossimo svagati ma non troppo! (Alcuni risero, altri per niente.) Ci aspettava un anno impegnativo, ma era sicura che tutti saremmo stati in grado di… eccetera eccetera.

Finalmente si passò all’elezione del nuovo capoclasse. Alla domanda “ci sono volontari?” la mia mano schizzò in aria. “Nessun altro vuole provare? Sarebbe il terzo anno di fila che… Proprio nessuno? Be’… allora… in questo caso…” Mi girai verso Tommaso: puntava il temperino alla gola di una testa calda che aveva timidamente issato la mano a mezz’asta, ora di nuovo aderente al corpo. La Calamari si congratulò con me e fece partire un applauso – mi duole ammettere – un po’ forzato. Mi alzai in piedi e me lo presi lo stesso. Per il mio insediamento mi ero preparato un breve discorso: avevo preso le mosse dall’illuminato intervento tenuto da Maria Montessori al primo corso di pedagogia scientifica di Città di Castello. Per economia, ve lo risparmio.»

«Gliene siamo davvero grati, giovanotto.»

Il Capoclasse fa finta di non sentire. «Concluso il mio discorso, la signorina Calamari ricordò a tutti che la mia raccolta di poesie era disponibile nelle migliori librerie. A fine mese la classe avrebbe organizzato una gita al Festival della letteratura di Mantova per la mia tavola rotonda con Michel Houellebecq, a seguire il firmacopie e la cena organizzata dalla casa editrice all’Osteria dell’Elefante Nero. Partì un secondo, tiepido applauso. Sentii le mani di mio padre pulsare tre volte sulle spalle, sbirciai in direzione di Livia: china sul banco, sghignazzava con la mano davanti alla bocca. Mindy Mendelssohn le teneva sotto il naso un disegno: temo proprio si trattasse di una caricatura, signore. Stravaccato su un trono di Doritos, con il doppio mento e un bavaglino che mi arrivava alle ginocchia, mi ingozzavo di hamburger, mentre sulla mia testa aleggiava una nuvoletta di puzza con scritto dentro BLA-BLA-BLA.» La fronte del Capoclasse si copre di una patina di goccioline trasparenti. «Signore, cos’altro potevo fare? Se né i successi né il plauso pubblico facevano effetto, niente avrebbe scalfito quel cuore di leonessa. Escogitai un piano, un piano malvagio. Forse dovrei umiliarla, pensai, sì, forse un bello spintone durante la ricreazione. Forse sono tutte così: capiscono solo il bastone. A tanto mi ero ridotto. Al prossimo compito di matematica le avrei passato i bigliettini sbagliati. È brava a implorare, quando vuole. Allora sì che sulle labbra le sboccia un bouquet. Le farò vedere io!, mi dissi, sbaglierà il compito, e poi un altro, e poi un altro. Alla fine, disperata, implorerà il mio aiuto. Mi inviterà a casa a darle ripetizioni. Saremo soli in camera sua. Sua madre ci porterà l’Estathé col ghiaccio in due bicchieroni, io limone e lei pesca. A quel punto la elogerò davanti a sua madre – prima fatti amica l’ancella! Con il mio aiuto quella capra montana migliorerà a ritmi anfetaminici e, verso la fine dell’anno, verso aprile, si renderà conto che di me non può fare a meno; la pagella è alle porte, i bagnini stanno aprendo gli ombrelloni, i gelati sono in freezer, gli asciugamani sfrigolano sui lettini e nell’aria galleggiano scaglie di sale e crema solare. Perdersi tutto questo per una brutta pagella? Non se ne parla. Mi supplicherà di andare tutti i giorni nella sua cameretta, con le foto delle amiche e i peluche che cominciano a sparire uno dopo l’altro dal letto, sostituiti da foto di giovani corpi in canottiera appese alle pareti. E allora imporrò le mie condizioni! Ragionevoli: un bacio sulla guancia a settimana in fila alla mensa, che tutti vedano. Una passeggiata mano nella mano ogni tanto in cortile e dieci minuti nello sgabuzzino delle scope sotto lo scalone, una volta al mese. Non può rifiutare. Rifiuta? Peggio per lei. Se rifiuta, zac! Ecco che si apre la botola della bocciatura, ecco che si sprofonda nel tratto gastrointestinale della vergogna, digeriti dai succhi gastrici del fallimento. E si passa l’estate in città, a espiare la colpa, con il cervello lacerato dagli artigli delle madri e i becchi degli insegnanti di ripetizione. E per di più…»

«Basta così, giovanotto!»

(Continua in libreria…)

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