Su ilLibraio.it un capitolo da “Dormi stanotte sul mio cuore”, il nuovo romanzo di Enrico Galiano, insegnante e scrittore, che mostra perché bisogna fidarsi dell’istinto e credere al proprio cuore. Ovunque ci conduca…

Enrico Galiano, insegnante e scrittore protagonista in classe, in libreria e sui social, torna con un nuovo romanzo, Dormi stanotte sul mio cuore, sempre edito da Garzanti.

Galiano, nato a Pordenone nel 1977, è anche un assiduo collaboratore de ilLibraio.it. Dopo Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Più forte di ogni addio e Basta un attimo per tornare bambini(illustrato da Sara Di Francescantonio), propone una nuova storia, che mostra perché bisogna fidarsi dell’istinto e credere al proprio cuore. Ovunque ci conduca…

La protagonista di Dormi stanotte sul mio cuore, Mia, sa che può sempre contare su Margherita, la sua maestra delle elementari che, negli anni, è diventata anche la sua migliore amica. Nello strambo quaderno che custodisce in un cassetto di casa ci sono scritte tante piccole meraviglie, che sono anche tante grandi risposte. È lei a spiegarle che il cuore di una tartaruga batte sei volte al minuto, quello di un colibrì seicento. E che ogni cuore, quindi, segue il suo tempo. Ma c’è una domanda a cui Margherita non sa rispondere: “perché Fede è andato via?”.

Fede è il ragazzo che la famiglia di Mia ha preso in affido. Fede non voleva parlare con nessuno, ma ha scelto lei come unica confidente. Fede, con i testi delle canzoni, le ha insegnato cose che lei non ha mai saputo. Fede l’ha stretta nel primo abbraccio in cui si è sentita al sicuro e davvero felice. Fede l’ha ascoltata e capita come nessuno mai. Da quando non ha più sue notizie, Mia non riesce ad avvicinarsi alle persone, non riesce nemmeno a sfiorarle.

Mentre il mondo e la storia si inseguono e si intrecciano, lei si è chiusa in un guscio più duro dell’acciaio. E non vuole più uscire. Ma se non si affronta il nemico, il rischio è che diventi sempre più forte, persino invincibile. Se non si va oltre l’apparenza non si conosce la realtà. Anche se provare a farlo è un’enorme fatica; anche se ci vuole molto tempo. Perché, come dice Margherita, ogni cuore ha la sua velocità: non importa chi arriva primo, basta godersi la strada verso il traguardo…

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, un capitolo dal nuovo romanzo:

Furono così belli, i mesi di luce prima che la Notte iniziasse.

Del resto: avevo dodici anni. A dodici anni ancora non lo sai che c’è anche la notte. Tutto ti sembra un meraviglioso sabato e ancora non sai di quanta malinconia si possa colorare la domenica.

Di quei giorni così caldi sento ancora la TV sintonizzata su MTV e la voce del cantante dei Travis cantare Sing, Sing, Sing, la mia andargli sopra a squarciagola e sbagliare tutte le parole, e mentre sul palato sento ancora il sapore dei pomodori mangiati tutti i giorni a pranzo, sui miei occhi c’è ancora il dito di Fede che sfoglia le pagine del vocabolario sotto il gelso, oppure nel segreto della nostra stanza, noi due bisbigliando, attenti a ogni rumore, come una società segreta formata da due sole persone, io e Fede, Fede e io. C’è ancora la sua unghia che va su e giù a cercare le parole, che si ferma a indicarmele, c’è ancora l’arco delle sue sopracciglia in attesa che io gliele scandisca per ripeterle, era diciotto anni fa ed è adesso, ecco cosa fa un segreto, ti si stampa addosso, ti scrive ricordi in faccia come lettere sulle pagine: un secondo prima tutto bianco, un secondo dopo libro. Aperto, per tutti, sempre. Ma scritto con parole che solo pochi sanno.

Le sapeva Fede le mie parole, anche quando non capiva un’acca di italiano: sapeva la mia fame di domande, il bruciare dolce della mia curiosità, sapeva la faccia da imbranata che vedevo ogni giorno allo specchio, e io sapevo che sapeva, sapeva il mio sentirmi sempre passi indietro a tutti, il mio silenzio rumoroso, la mia paura degli occhi addosso, Fede che non riusciva a dire io parlo, tu parli, egli parla, ma parlava la mia lingua meglio di chiunque altro, la lingua che si parla con le cose che non si dicono, quella che i verbi sono gli sguardi, i nomi le dita, gli aggettivi i silenzi. Quella lingua lui la leggeva, mi leggeva.

A occhi chiusi, il suo cuore mi sapeva.

In un paio di settimane ero riuscita a fargli imparare sole cielo cibo mangiare macchina dormire tavolo penna acqua fame sete notte giorno porta casa strada stella luna buio luce, più tutti i colori, i numeri, le lettere. Era come insegnare a un bimbo a parlare, e mi ricordo che pensai: “Ehi, io gli sto insegnando ma anche lui sta insegnando a me!”. Che cosa mi insegnasse forse non lo avrei saputo dire, allora, ma oggi credo avesse a che fare con i suoi occhi: quando riusciva a ricordare una parola, cambiavano. Da occhi buchi diventavano, per un attimo, di luce: come sentisse il mondo prima ostile e poi, improvvisamente, amico.

Chissà, forse insegnare è solo un altro modo, un po’ strano, di imparare. Fede mi insegnò quello che fanno le parole, una volta che le trovi. Fanno stare zitte per un secondo le paure. Mettono, dove c’era buio, un po’ di luce. 

E un giorno Fede di luce me ne regalò tantissima. Il giorno del nostro secondo Momento Cuscino. Appena prima che tutto iniziasse a finire.

(continua in libreria…)

Abbiamo parlato di...