La biografia della scrittrice Emily Brontë (30 luglio 1818 – 19 dicembre 1848) – sorella di Charlotte e Anne Brontë – e un approfondimento sul suo capolavoro, “Cime tempestose”, per (ri)scoprire il carattere riservato dell’autrice e la sua poetica segnata da sentimenti e personaggi estremi (come nel caso dell’amore tra Catherine e Heathcliff)…

Quando si parla di Emily Brontë (1818-1848), si tende talvolta ad associare la sua figura a quella della sorella maggiore Charlotte Brontë (1816-1855), e viceversa, pensando che le due scrittrici inglesi condividessero, oltre alle origini, una certa mentalità e postura letteraria.

In realtà, invece, Emily aveva un carattere più sobrio e introverso rispetto alla volitiva e fiera figura di Charlotte (della quale abbiamo parlato più nel dettaglio in questo articolo) – come dimostrò già dall’infanzia, e fino ad arrivare agli ultimi mesi della sua breve ma turbolenta esistenza.

Ecco quindi un excursus che ripercorre le tappe fondamentali della sua vita e che mette in luce gli elementi principali della sua poetica, poi sviluppata in maniera compiuta nel suo unico romanzo: il travolgente Cime tempestose

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La vita di Emily Brontë

Emily Brontë nacque a Thornton, nello Yorkshire, il 30 luglio del 1818. Fu la quinta di sei figli e assistette da piccola alla morte delle madre (l’insegnante religiosa Maria Branwell) e delle due sorelle più grandi, ritirandosi dalla scuola quando aveva appena sei anni.

Con il padre (il curato irlandese Patrick Brontë, che mutuò il cognome dal borgo siciliano di cui l’ammiraglio Nelson era diventato duca), la zia Elizabeth e la governante Tabitha Aykroyd, crebbe quindi circondata dalla tetra e malinconica brughiera inglese, in un contesto segnato sì dai lutti, ma anche da un grande interesse per la cultura.

Del resto, è proprio con le sorelle Charlotte e Anne Brontë (1820-1849), e con il fratello Branwell, che la giovane coltivò il suo talento per la scrittura, lavorando insieme a loro a un universo narrativo composto da tre isole immaginarie: Angria, Gondal e Glass Town.

Lei e Anne si dedicarono, in particolare, alle avventure di Gondal, mentre, di nascosto da chiunque, Emily scrisse numerose poesie – specie dopo aver trascorso un breve periodo di studio a Bruxelles insieme a Charlotte, per poi rincasare dopo l’ennesimo lutto.

Come anticipavamo, però, il suo carattere non aveva molti punti di contatto con quello di Charlotte, che quando scoprì i componimenti della sorella insistette per farli pubblicare.

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Emily, riservata e spesso burbera, ma anche dedita ai doveri pratici e già molto responsabile, all’inizio rifiutò, salvo poi accettare di accorparli in un unico manoscritto comune.

Nacque così lo pseudonimo dei fratelli Bell, ovvero Currer (Charlotte), Ellis (Emily) e Acton (Anne), con cui le sorelle Brontë diedero dapprima alle stampe, nel 1846, un’unica raccolta di tutti i loro versi, per poi pubblicare nel 1847 i loro tre romanzi d’esordio.

Com’è noto, si trattò per Charlotte Brontë di Jane Eyre (Garzanti, traduzione di Ugo Dettore), per Anne Brontë di Agnes Grey (Newton Compton, a cura di Marisa Sestito) e per Emily Brontë di Cime tempestose (Garzanti, traduzione di Rosina Binetti).

Di questo periodo della vita di Emily, come di quasi tutta la sua esistenza, sappiamo poco o niente: la sua opera subì un’aspra accoglienza da parte della critica, e la quotidianità della giovane autrice rimase segnata da poche relazioni sociali e fugaci momenti di leggerezza, come ci raccontano i diari di Charlotte.

Fu lei, in particolare, ad annotare impressioni ed episodi riguardanti la sorella, utili oggi a ricostruire i suoi trascorsi e ad appurare che si ammalò poi di tubercolosi, un po’ per via del clima della regione e un po’ per le conseguenze poco salutari dell’impianto idrico della casa.

Il 24 settembre 1848, Branwell si spense a causa di un delirium tremens legato al suo abuso di alcolici e, durante il funerale, Emily fu colpita da un raffreddore che si trasformò velocemente in una infiammazione polmonare, aggravando le sue già precarie condizioni.

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Fino al mese di dicembre, nonostante l’insistenza delle sorelle, rifiutò ogni assistenza medica e si lasciò volutamente andare. Il suo cane, di nome Keeper, restò senza tregua al suo capezzale, cercando di darle un conforto che probabilmente le mancava ormai da troppo tempo.

Finché, il 19 dicembre 1848, non si decise a dire a Charlotte: “Se vai a chiamare un medico, accetto di vederlo“. Ma non ci fu più niente da fare ed Emily Brontë morì dopo poche ore, per poi essere seppellita nella cappella di famiglia, a Haworth.

A riabilitare per primi la sua produzione letteraria furono, una decina di anni dopo, Dante Gabriel Rossetti (1828-1882), Matthew Arnold (1822-1888) e George Henry Lewes (1817-1878), anche se è stato solo a partire dal Novecento che il suo nome è entrato a far parte del canone della letteratura inglese.

Una poetica di amore e di rabbia

Come accade un po’ con la sua biografia, anche la poetica di Emily Brontë si pensa che sia per lo più sovrapponibile a quella di Charlotte, benché le due sorelle avessero un approccio diverso perfino alla scrittura.

Se Charlotte, per esempio, lottò per anni per ottenere attenzione e riconoscimenti per sé stessa e per le sorelle, Emily era più indifferente al successo e, anzi, nascose a lungo alcuni suoi scritti ai suoi affetti più cari, pur condividendo con loro un forte interesse per i mondi immaginari.

Gran parte del suo impegno, infatti, confluì nel massiccio progetto di Gondal, poi andato perduto, ma che – sulla base delle testimonianze giunte fino a noi e delle poesie composte da Emily – pare includesse situazioni e personaggi a dir poco estremi.

Le scene che descriveva erano spesso influenzate da una natura impetuosa e devastante, o da sentimenti umani legati alla furia e alla morte: un immaginario oscuro e dalle tinte gotiche, che avrebbe sempre contraddistinto i suoi manoscritti.

Per l’autrice britannica, infatti, non poteva esistere amore senza rabbia, attrazione senza tormento, gioia senza dolore. Quantomeno sulla carta, visto che nella sua esperienza personale aveva cercato di mantenere sempre un equilibrio silenzioso e maturo fra tutti i suoi moti interiori.

Il risultato, tanto nei suoi versi quanto nelle sue prose, fu una visione della letteratura più vicina a quella di Anne, in cui il realismo di fondo si intrecciava a una sensibilità mistico-visionaria, rendendo l’impeto delle emozioni umane inscindibile da ogni evento concreto.

Cime tempestose, il capolavoro di Emily Brontë

Il suo unico romanzo compiuto è il celebre Cime tempestose (Garzanti, traduzione di Rosina Binetti), che lì per lì suscitò uno scandalo per via della sua struttura atipica e poco lineare, nonché per l’assenza di una morale riconducibile alle convenzioni dell’epoca.

Una cruda storia d’amore ambientata proprio nello Yorkshire, che in un primo momento venne capita poco e ritenuta una bizzarria, anche se in seguito Jorge Luis Borges (1899-1986) ne lodò l’originalità e la potenza definendola “un’opera tanto estrema e inclassificabile quanto potrebbe esserlo Moby Dick“.

Copertina del libro Cime tempestose di Emily Bronte

In effetti, tra gli indimenticabili personaggi di Catherine e di Heathcliff, vediamo nascere un rapporto puntellato di vendette, segreti, odio e tradimenti, in una fitta rete di colpi di scena e di figure secondarie i cui gesti oscillano sempre tra il sublime e l’immondo.

Non per niente, parliamo di un testo ritenuto immancabile nella formazione letteraria e sentimentale di numerose generazioni, e che per via della sua atmosfera cupa e suggestiva ha ispirato diversi adattamenti – dal film del 1992 di Peter Kosminsky con Juliette Binoche e Ralph Fiennes, fino ad arrivare alla pellicola diretta da Emerald Fennell, che dovrebbe vedere prossimamente Margot Robbie e Jacob Elordi nei panni dei protagonisti.

A rendere notevole il romanzo – che qui abbiamo spiegato nel dettaglio perché sia un classico da (ri)leggere ancora oggi – è, per di più, una dimensione che all’inizio ricorda le opere di Ann Radcliffe (1764-1823), ma che poi cede il passo a un sentimento sempre più totalizzante, capace di trasformarsi nell’unico motore dell’azione e di apparire platonico e animalesco al tempo stesso.

Per non parlare del fatto che, a differenza di Jane Eyre, l’ispirazione autobiografica sembrerebbe esaurirsi nella cornice geografica della brughiera, anche se osservando il testo più attentamente ci si accorgerà di un aspetto tanto insolito quanto interessante.

La tenuta di Wuthering Heights non assomiglia, infatti, alla casa in cui Emily Brontë nacque e crebbe, anche se le dinamiche relazionali che cela al suo interno attingono a piene mani alle difficoltà che quest’ultima sperimentò in prima persona fra le mura domestiche.

Privazioni, educazione severa, lutti prematuri e intense passioni sono, d’altronde, elementi con cui la scrittrice ebbe una grande familiarità, e che seppe esorcizzare con il suo talento letterario, rendendo eterne le pulsioni affascinanti e contraddittorie in cui, ancora oggi, si immedesimano milioni di lettrici e di lettori di tutto il mondo.

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