“Non c’è niente di sconveniente a mettere nello stesso contesto, come faccio nel libro, l’antica iscrizione nella basilica di San Clemente e Candy Crush”, racconta la scrittrice e sceneggiatrice (tra le altre cose, di “Non essere cattivo” e “De André – Principe Libero”) Francesca Serafini, intervistata da ilLibraio.it in occasione dell’uscita del giallo “Tre madri”. Tra le altre cose l’autrice parla del rapporto tra la scrittura narrativa e quella per le sceneggiature, e delle influenze: “Per me tutto è testo, visto da un certo punto di vista. E tutto, sicuramente, alimenta i ‘miei’ testi…”

Tre madri (La Nave di Teseo) è il primo romanzo giallo di Francesca Serafini (in copertina nella foto di Stefano Gagliarducci, ndr), autrice conosciuta anche per la sua carriera di sceneggiatrice – ha scritto con Claudio Caligari e Giordano Meacci Non essere cattivo, film selezionato come candidato italiano al Premio Oscar 2016, oltre ad aver lavorato alla serie La squadra e, sempre con Meacci, al film Fabrizio De André – Principe Libero.

tre madri - Francesca serafini

Nel romanzo, a partire dal titolo, non mancano i riferimenti alla musica di De André – l’autrice del resto ha scritto con lo stesso Meacci, e Dori Ghezzi, Lui, io, noi (Einaudi), in cui la moglie dell’artista racconta la sua vita al fianco di uno di più influenti cantautori italiani.

In Tre madri Serafini porta la musica di De André a fare da sottofondo a un giallo all’italiana. Da un lato c’è Lisa Mancini, che ha lasciato una carriera all’Interpol di Lione per dirigere il commissariato di Montezenta, un piccolo paese in Romagna, e che ogni giorno siede alla scrivania e passa il tempo giocando a Candy Crush. Dall’altro c’è la scomparsa di River, adolescente modello, figlio di una coppia di artisti inglesi e anticonformisti.

Per parlare del libri e del rapporto tra la sua carriera di sceneggiatrice e di scrittrice, e di influenze tra i due tipi di scrittura, ilLibraio.it ha intervistato Francesca Serafini.

Francesca Serafini

Foto di Stefano Gagliarducci

Come è nata la storia di Tre madri e, soprattutto, perché ha deciso di scrivere un giallo?
“Il romanzo è nato insieme alla sua protagonista, Lisa Mancini. Quando è arrivata lei – col suo mistero, il suo carattere, le sue passioni, le sue complessità – ho cominciato a costruirle intorno un mondo. E quel mondo doveva essere variegato e pulsante. Mi interessava il modo in cui agiva all’interno di una comunità. Un’interazione che trovo efficace e riuscita in molte serie televisive inglesi, come Broadchurch, Unforgotten o Happy valley. Sono state loro a dettare il genere, perché di fatto sono tutte storie che ruotano intorno all’indagine su un crimine. Anche se hanno un respiro ampio: di curiosità nei confronti di tutti gli esseri umani che si trovano a raccontare, senza giudizio”.

Nel romanzo l'”alterità” è il primo tratto che definisce alcuni personaggi, come la famiglia di River e la stessa Lisa. Perché ha deciso di focalizzarti su figure che sono “al di fuori” della comunità in cui vivono?
“Il tema dell’alterità – che certamente è presente, in diverse declinazioni – rappresenta per me solo un fatto di percezione. Le etichette, le categorie: si pensa che abbiano un valore rassicurante, ma in realtà siamo tutti pezzi unici (anche per questo ho dedicato molto tempo nella scrittura ai personaggi secondari). E tutti dobbiamo trovare un modo per convivere; e per amarci, se siamo abbastanza disponibili da cogliere l’effetto ancora più rassicurante che avrebbe sentirsi amati ognuno nella propria diversità. Lisa e River mi hanno dato la possibilità di dispiegare tutto questo in una trama”.

In qualche modo il romanzo è stato influenzato dalla sua esperienza come sceneggiatrice?
“C’è una fase iniziale in cui le due tecniche di scrittura si sovrappongono: il lavoro sui personaggi e quello sulla trama, soprattutto. Poi, nella ricerca del ritmo che mi sembrava congeniale per questa storia, l’esperienza come sceneggiatrice ha pesato molto. Qui però avevo a disposizione altre possibilità: quella di raccontare per esempio il pensiero dei personaggi (mentre nelle sceneggiature tutto è affidato alla messa in scena); e il lavoro sulla lingua (lì limitato ai dialoghi: a come renderli credibili e verosimili). Nel romanzo ho potuto dare libero sfogo alla sintassi, che poi è l’aspetto della lingua che mi interessa di più”.

River e Maddalena ascoltano De André. Come interpreta la capacità di alcune opere d’arte di comunicare con generazioni così lontane da quella del loro creatore?
“I grandi autori, indipendentemente dall’àmbito della loro creazione (che sia una canzone, un romanzo o un film), hanno la forza di rendersi universali. Di parlare a tutti gli esseri umani, di là dal tempo e dal luogo. Se siamo qui a celebrare Dante a sette secoli dalla sua morte, se ancora siamo in grado di emozionarci quando leggiamo i suoi versi, vuol dire che il potere persuasivo della bellezza, quando c’è, non conosce barriere e può durare per sempre”.

Il romanzo trasmette delle immagini molto vivide. A suo parere, il mondo del cinema e delle serie tv influenza quello dei romanzi?
“Posso parlare per me e rispondere senza dubbio sì. Allargando anche ad altre forme di narrazione, come le canzoni che abbiamo già citato o i videogiochi, che pure nel romanzo hanno un peso. Per me tutto è testo, visto da un certo punto di vista. E tutto, sicuramente, alimenta i ‘miei’ testi. Questo succede da sempre in automatico: e poi Steven Johnson con un suo saggio bellissimo – Tutto quello che fa male ti fa bene – mi ha spiegato perché; e mi ha anche rassicurato sul fatto che non c’era niente di sconveniente a mettere nello stesso contesto, come faccio nel romanzo, l’antica iscrizione nella basilica di San Clemente e Candy Crush“.

Fotografia header: Foto di Stefano Gagliarducci

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