“Camere e stanze” è un volume che raccoglie tutti i racconti di Francesco Pecoraro, il cui sguardo apparentemente impassibile si dimostra in realtà intensamente partecipe di ogni fenomeno umano, naturale o artificiale, e rende questi testi un unicum nella narrativa contemporanea – Su ilLibraio.it un racconto inedito tratto dalla raccolta, intitolato “Alghero”
Lo scrittore e architetto romano Francesco Pecoraro, (La vita in tempo di pace, 2013, e Lo stradone, 2019, entrambi editi da Ponte alle Grazie) torna in libreria con Camere e stanze, volume che raccoglie i suoi racconti. Il libro parte infatti dalla sua prima raccolta del 2007, Dove credi di andare, per arrivare ai molti inediti più recenti.
Dove credi di andare ha un carattere fortemente unitario: i protagonisti sono infatti manager, funzionari, artisti, avvocati, colti nel mezzo di un incontro con qualcosa o qualcuno che provoca lo sfaldamento del loro mondo di certezze. Una riunione di lavoro in cui si capisce di essere finiti, una festa data per una giovane amante che si trasforma in tregenda…
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Ma se già con il racconto lungo Tecnica mista – storia di una vocazione artistica che deraglia in terrorismo fondamentalista – il modo di narrare appare molto cambiato, i racconti della terza parte presentano modalità espressive del tutto nuove. Viene sì mantenuta la rappresentazione del disagio e della crisi dell’uomo adulto (Cormorani, Fuori lista), ma a questa si aggiungono la parodia a tinte distopiche del neoliberismo imperante (La Tavolata, La città indiscussa), il racconto dell’infanzia e della preadolescenza (Non so perché, Il Fregno) e ritratti femminili che rimangono impressi per la loro originalità (Antonella ti amo).
Lo sguardo di Pecoraro, apparentemente impassibile, in realtà si dimostra intensamente partecipe di ogni fenomeno umano, naturale o artificiale, e rende questi racconti un unicum nella narrativa contemporanea.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un racconto contenuto nel libro (inedito):
La bocca fa parte dell’intestino, quindi è piena di batteri. Mentre Enzo torna in moto a casa dei suoi a Colli Portuensi, gli viene in mente quanto gli ha detto stamane la paradontologa. L’ha colpito. Che la bocca sia impura lo sa da sempre, ma fa parte della testa, non l’ha mai vista in continuità con l’intestino.
È da quando è nato che fa di tutto per distinguersi dal biologico e per costruire un usuale e necessario dualismo mente-corpo. Ma non gli è mai riuscito completamente. Gli è sempre rimasto il dubbio di essere tutto-corpo. Quando è finita con Clara è stato parecchio male e lo psichiatra della USL gli ha prescritto ansiolitici, cioè l’essenza degli dei: Se una sostanza è in grado di far stare così tanto meglio il mio spirito, allora anche il mio spirito è sostanza. Enzo (cripto-depresso, dice lo psichiatra) pensa continuamente alla morte. Non sa quando ha cominciato a farlo, però era molto piccolo, piccolissimo, un bambino che già si preoccupava di come-dove-quando-perché sarebbe morto. Sto andando al mare, morirò affogato? Oggi tennis. Avrò un infarto? E quando arriverà il cancro ai polmoni? Torno a casa in moto, oggi sicuro che cado e muoio. Probabilità alte. Distrazione ar semaforo. In campagna da amici, facciamo sicuramente il botto sul Raccordo, macchina in fiamme, moriamo bruciati, trafiletto sul «Messaggero», stessa cosa stasera può accadere sulla Pontina o sulla Nettunense, cadaveri riconoscibili solo dai lavori odontoiatrici che portano in bocca. Si chiude il cerchio. Dentista sempre in agguato.
Anche oggi ha pensato alla morte, più o meno distrattamente, tutto il tempo. Non è triste, apparentemente non è depresso e forse davvero non lo è. Il semaforo in agguato su circonvallazione Gianicolense è talmente lungo che gli consente di formulare questa proposizione: Sono solo una forma di vita vagamente consapevole di sé—nessuno sa ancora cosa voglia dire—che si dedica al graphic design per campare, cioè per procurarsi il cibo e quel minimo di risorse che servono per restare vivo a Roma, una città completamente indifferente al mio esistere, e al mio amare, e al mio essere felice oppure no, e al mio essere sano, oppure no. L’indifferenza di queste palazze è evidente, ha ragione Antonioni sul finale dell’Eclisse, porcoddio con quelle inquadrature ferme su scorci di palazzine all’EUR, apatiche fredde impassibili ostili come le facce dietro le finestre, come il tubo che perde acqua.
Quel tubo me lo porto dentro da anni, ha detto allo psichiatra della USL, che ha annuito, ma probabilmente non sapeva di cosa stesse parlando e quasi sicuramente non gliene importava nulla.
Roma oggi, come ha sempre fatto, l’ha semplicemente circondato e condizionato e guidato e usato, come fanno le città con gli umani, senza effettivamente interessarsi a lui, che sta momentaneamente occupando una porzione di spazio-tempo periferico, di questa immensa frittella edilizia in perenne levitazione. Diciamo periferia, e facciamo come se Roma abbia un margine, un bordo percepibile e non sfumi invece infinitamente in tutte le direzioni dell’Agro, verso i tufi etruschi del nord, i Castelli, cioè verso il gruppo di vulcani spenti che risale a 350 mila anni fa, verso le montagne del Reatino, verso la piana pontina, cioè verso Anzio e Lavinio, cioè verso il mare. Tutta questa antichità e questa bellezza e questo barocco e la bruttezza di quasi tutto il resto, in questo momento premono su Enzo. E lui, come molti di quelli che hanno introiettato una cultura estetica, soffre della continua visione del pretenzioso, quanto dello straccione edilizio, che in Roma—città intimamente fascista e pre- moderna—abbondano.
Viale dei Colli Portuensi rientra nella categoria «pretenzioso», Enzo sta qui con i genitori, trasferiti da queste parti dopo la casa di circonvallazione Clodia, dove è nato e cresciuto. Sotto casa trova Filippo seduto sul motorino. M’ha chiamato Giacomo e sò venuto direttamente da te. Con questo casino de palazzine facevo fatica a ritrovare casa tua. Hai posto in garage per questo gioiello?
Enzo dice: Anvedi l’SH 150 a 4 tempi!
Sì. E è pure il motorino più fregato di Roma. Hai posto da te?
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(continua in libreria…)