Belle Gunness: “la prima serial killer d’America”. È a lei che è dedicato “I miei uomini” di Victoria Kielland. Ma non aspettatevi un noir nordico. Piuttosto, fatevi forti per scendere negli inferi delle psicosi di Belle, correndo senza fiato tra ansie, pensieri intrusivi, gesti ripetitivi e morti senza spiegazione…

È il 28 aprile del 1908 quando a La Porte, in Indiana – non lontano da Chicago – una fattoria viene rasa al suolo da un incendio. Nei giorni seguenti, un via vai inarrestabile di curiosi riempie le strade intorno al terreno bruciato. Sotto la cenere, infatti, si dice siano stati trovati i cadaveri di circa quaranta uomini, oltre a quelli di tre bambini e una donna con la testa mozzata. E quello che si dice è vero.

Quella fattoria apparteneva a Belle Gunness che, però, non era la donna trovata sotto la cenere. Di Belle Gunness nessuno saprà più niente dopo quel giorno.

Ma Bella Gunness non era sempre stata Bella Gunness.

Nel 1876 si chiamava Brynhild Paulsdatter Størseth. Era la figlia di un’umile famiglia norvegese e lavorava come domestica in una fattoria a Stjørdal, sempre in Norvegia.

Quando la incontriamo nelle prime pagine de I miei uomini di Victoria Kielland (Sellerio, traduzione di Andrea Romanzi) Brynhild ha la testa “affondata nel cuscino, con il viso rivolto verso il basso” mentre Firstborn, il figlio del suo ricco datore di lavoro, la sta violentando.

I miei uomini Victoria Kielland

Brynhild impiegherà anni per chiamare quell’atto “violenza”, scambiando per molto tempo il suo desiderio fisico con l’amore. Ha diciassette anni Brynhild quando rimane incinta e pochi di più quando subisce un aborto spontaneo a causa di un calcio dritto sul ventre sferrato dal duro stivale di cuoio di Firstborn.

Kielland non ci lascia alcun dubbio sul fatto che quella aggressione e quell’aborto siano state ferite da cui Brynhild non si riprenderà mai, ma furono anche la spinta per farla andare via, lontana dalla Norvegia, dall’altra parte dell’oceano.

Con poche forze e molta confusione, Brynhild raggiunge la sorella a Chicago. Lì cambia nome, diventa Bella, trova un lavoro e anche un marito. Nel 1884 sposa il norvegese Mads Sørensen. “Giocava nel prato con le bambine, e soltanto poche ore dopo era morto. Così avevano detto i vicini. Il referto dell’autopsia diceva ‘causa della morte: cuore ingrossato’. E Mads era morto davvero in un giorno d’estate del 1900, il 30 luglio per la precisione, e se la causa fosse stata il cuore ingrossato o un’emorragia cerebrale non era possibile dirlo”.

Bella allora – che a quel punto aveva tre figli – sposa Peder Gunness diventando Belle. Belle Gunness. Lui, macellaio norvegese, poco tempo dopo muore in uno strano incidente domestico, colpito alla testa dalla caduta improvvisa di un tritacarne.

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Dopo Peder, Belle comincia a pubblicare annunci sul giornale, nella sezione Cuori Solitari. L’obiettivo dichiarato è quello di trovare un nuovo marito. “Donna attraente proprietaria di bella fattoria in ottime condizioni cerca uomo affidabile benestante scopo matrimonio”. Altri uomini, in effetti, li trova e anche loro – quasi tutti almeno – spariranno o moriranno in circostanze insolite.

Brynhild Paulsdatter Størseth, Bella Sørensen, Belle Gunness è stata “la prima serial killer donna d’America”, tra gli assassini seriali più prolifici della storia degli Stati Uniti, con almeno quaranta omicidi accertati.

Bettmann/Bettmann Archive

È a lei che Victoria Kielland, scrittrice norvegese che si sta affermando come una delle voci più originali della sua generazione, ha dedicato I miei uomini. Se però vi aspettate un romanzo noir nordico rimarrete delusi. I miei uomini si muove sotto la pelle di Belle, dentro le sue viscere. È scritto in terza persona, ma si legge come un unico monologo, quasi come una preghiera, una litania scandita da gesti ripetitivi e domande ricorrenti. “Che razza di persona sei?”. “Chi sei tu davvero?”.

Il ritmo della preghiera, poi, è irrobustito dai continui “Se Dio vuole” pensati, pronunciati e invocati da Belle. Come se, di fronte all’insensatezza di grande parti della sua vita, Belle cercasse un senso nella religione. Senza trovarlo mai.

E dunque, quella de I miei uomini non è una lettura facile, anzi. È una lettura inospitale e faticosa. È estenuante essere nella tesata di una serial killer e sprofondare insieme a lei nella depressione, nella paranoia e nella psicosi. L’abisso poi, grazie alla scrittura di Kielland, si raggiunge senza avere più fiato. Ogni pagina è piena di ansia, di pensieri intrusivi e di tentativi vani di soffocarli. È una scrittura febbrile, disperata.

Nonostante la fatica, però, questo è un libro straordinario, che ci regala un punto di vista privilegiato e raramente raccontato, pur per una storia – come quella di Belle Gunness – che è stata protagonista di infiniti articoli, libri, leggende popolari, documentari e lungometraggi.

Questa è la vita emotiva di Brynhild Paulsdatter Størseth, non più “la prima serial killer d’America”, non più un mostro, ma una donna nata a Selbu, Norvegia, l’11 novembre del 1859 e scomparsa chissà.

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