Londra, anni ’90. Una bambina di tre anni viene trovata morta. A strangolarla potrebbe essere stata Lucy, figlia di una famiglia “sbagliata”, arrivata in città dall’Irlanda qualche anno prima. “Piccole umane debolezze” – secondo romanzo dell’autrice irlandese Megan Nolan, finalista al Premio Strega Europeo 2022 con il suo esordio “Atti di sottomissione” – è la storia, toccante, di assordanti silenzi familiari e di dolori che attraversano e legano intere generazioni…

Nel raccontare la trama di un libro, di solito, si parte dal protagonista. Con Piccole umane debolezze (NNE, traduzione di Tiziana Lo Porto), questa normale operazione non è poi così semplice.
Con la sua scrittura – esatta, ma di rara empatia – l’autrice Megan Nolan mette in scena i suoi personaggi come protagonisti, tutti allo stesso modo. Ognuno di loro ha il suo spazio, ampio quanto basta per raccontarsi, aprirsi e confessarsi, per mostrare traumi, risoluzioni, quotidiani momenti di serenità e “piccole umane debolezze”.

Piccole umane debolezze Nolan

A dare il via alla narrazione è una morte, quella di Mia Enright, bambina di tre anni trovata senza vita nella periferia di Londra. Mia, a differenza di quanto verrebbe da pensare, non è tra le protagoniste di Nolan. La piccola vittima resterà, piuttosto, il pretesto per entrare nella vita di una famiglia “sbagliata”, arrivata a Londra dall’Irlanda qualche anno prima dell’incidente.

Sul palco di Piccole umane debolezze, dunque, c’è Tom Hargreaves giovane giornalista di un tabloid londinese pronto a qualsiasi cosa pur di fare carriera – e c’è la famiglia Green: Lucy, Carmel, Rose, Richie e John.

Quando la notizia della morte di Mia Enright inizia a camminare lungo le strade di Londra, Tom la intercetta come uno sciacallo. Una bambina è stata uccisa per strangolamento – da quanto dicono i segni sul suo collo minuto – e l’ultima persona con cui è stata vista è Lucy, “ragazzina poco raccomandabile” dicevano i vicini.

L’albero genealogico di Lucy è così composto: sua madre, Carmel, era rimasta incinta di lei a sedici anni e per mesi l’aveva negato, a se stessa prima che agli altri. Il padre, un ragazzo che non aveva nessuna intenzione di proseguire quella relazione, non lo avrebbe mai saputo. Così, Lucy era cresciuta senza una madre o, meglio, senza Carmel.

A farle da madre era stata Rose, seconda moglie del padre di Carmel, John, e donna affettuosa, presente e piuttosto affidabile. Un miraggio che, come molte cose straordinarie, era finito presto: Rose era morta giovane, prima di riuscire a vedere la sua famiglia capace di stare in piedi. Gli uomini di casa, John e il figlio Richie – avuto dalla prima moglie – erano due disoccupati, dipendenti dall’alcol e incapaci di qualsiasi responsabilità.

A darci la possibilità di accedere alle confessioni dei Green è Tom che, nel tentativo di raccogliere interviste esclusive dalla famiglia della presunta assassina, si chiude in un albergo con Carmel, John e Richie. Lucy e Rose non c’erano: la prima trattenuta dalla polizia, la seconda già morta.

Piccole umane debolezze non è la storia di un omicidio, non è un giallo né un racconto del crimine. È, piuttosto, il transito sincero attraverso un dolore condiviso, che trapassa più generazioni e le lega con un filo fatto di assenze, silenzi e dipendenze.

“Questo libro è per chi cataloga i ricordi e dà loro un nome, un odore, un sapore, per chi tiene un diario e accoglie la sconfinata vastità delle pagine bianche come una promessa, per chi piange sempre al cinema, e per chi ha smesso di negare la verità, e ha ritrovato l’ammirazione per la vita, una forza persistente, assurda e spericolata”.

Dopo Atti di sottomissione, il romanzo d’esordio candidato al Premio Strega Europeo 2022, Megan Nolan ci ha donato una storia profonda nei contenuti e nella scrittura, capace di esplorare l’infelicità e il perdono senza arroganza, ma con la delicatezza di chi sa abbracciare la complessità di tutte le “piccole umane debolezze”.

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Fotografia header: Megan Nolan (foto di (c) Lynn Rothwell)

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