“La carne” è il romanzo ‘weird’ di Cristò Chiapparino, scrittore e libraio che ambienta la sua storia in un futuro prossimo, dove gli zombie si aggirano pacifici per le strade, alla ricerca di sostentamento, e nessuno sa da dove siano venuti… – Su ilLibraio.it la postfazione di Paolo Zardi

Tre quarti di secolo nel futuro, il confine tra vivi e morti non è più netto come siamo abituati a pensarlo e per le strade si aggirano gli zombie, i morti viventi, alla ricerca di carne per sfamarsi: è questa la semplice premessa di La carne (Neo Edizioni), il romanzo di Cristò Chiapparino pubblicato nel 2015 da Intermezzi Editore e ora riedito da Neo Edizioni, con una postfazione di Paolo Zardi.

LA CARNE Cristò Neo Edizioni

Scrittore, autore tra gli altri di La meravigliosa lampada di Paolo Lunare e Restiamo così quando ve ne andate (entrambi TerraRossa), e libraio residente a Bari, Cristò propone al pubblico degli zombie innocui, lontani dalla rappresentazione cinematografica, violenta e sanguinaria, più comunemente associata a queste creature: nel romanzo, i morti viventi sono abitanti pacifici della società, in coda per la carne di cui si cibano, misteriosi nella loro origine, poiché nessuno sa da dove vengano o come siano diventati tali; eppure, tutti hanno un parente o un conoscente in quella condizione e, nel timore di essere contagiati, mantengono le distanze.

In un ricorrersi di ricordi e flashback, La carne ha qualcosa di strano nel senso più letterario del termine, qualcosa di weird: collaboratore di Repubblica Minima&moralia, Cristò costruisce un romanzo dove la separazione di vita e morte sembra scomparsa mentre, allo stesso tempo non è mai stata così evidente.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it la postfazione di Paolo Zardi:

Il problema di chi ha iniziato a leggere presto, e di chi in generale ha letto molto, è che dopo un po’ i libri iniziano a somigliarsi tutti; o, volendolo dire con meno enfasi, per ogni libro se ne trovano cento che hanno qualcosa in comune. Quest’aria di famiglia, se così la possiamo chiamare, non è necessariamente difetto, e anzi è una delle cose belle della letteratura: trovare tracce di Flaubert in Nabokov, e di Nabokov in Martin Amis, come se esistesse una trama capace di tenere insieme tutti i grandi libri, è uno dei piaceri più grandi per chi legge. Ma scegliere un libro, con il tempo, è diventato sempre più faticoso. Ormai, non riesco ad arrivare alla fine di due libri su tre.

Ma quando ho letto La carne mi sono commosso. Avrei voluto avere davanti a me l’autore per abbracciarlo e dirgli: “Grazie per avere inventato un mondo che non esisteva, grazie per le invenzioni e per la bellezza della tua scrittura”. Lo avrei anche toccato, e fissato negli occhi, e studiato per qualche minuto, per capire come è fatto uno scrittore che scrive così – con questo talento, con questa fantasia, con questa grazia. Era come se, passeggiando per la periferia della mia città, mi fossi imbattuto in un asteroide caduto dal cielo, un corpo celeste misterioso e bellissimo.

Eppure, non era affatto scontato che un libro così mi piacesse: proprio per niente. Quando mi è stato suggerito, avevo pensato che un romanzo che parla di zombie non facesse per me, ed è stato per questo pregiudizio che ne ho rinviato la lettura a tempo indefinito. Poi, una domenica pomeriggio in cui non avevo niente di nuovo in casa da leggere, l’ho preso in mano, ho letto la prima pagina e non mi sono più fermato. Non è un romanzo “di genere” – non sarei riuscito ad andare oltre la terza pagina, se fosse stato così. Il tema dei morti viventi è, piuttosto, un pretesto per indagare il mistero più grande di tutti, che è quello del significato della parola “esistere”. O forse è la sfida che l’autore ha lanciato a se stesso: è possibile scrivere un libro di zombie che non sia un “libro di zombie”? Volendo scomodare un gigante, Cristò ha la stessa inclinazione di Dürrenmatt quando inventava i suoi gialli. Uscire dai luoghi comuni, infrangere certezze, giocare con le aspettative del lettore, riconsiderare una struttura nota e trovarne, poi, una variante inattesa.

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Ci sono autori in grado di costruire trame mirabilmente congegnate e altri, invece, che possiedono il dono di saper scrivere una frase perfetta. Cristò, in questo libro, sembra possedere entrambe le qualità, e in misura uguale. Anni dopo quella prima lettura, ho avuto la possibilità di chiedere a questo autore quale fosse il suo segreto: mi ha risposto che quando scrive si impone di scartare la prima idea – il primo aggettivo, il primo meccanismo narrativo – che gli viene in mente. Sembrerebbe semplice, detta così, ma questa tecnica, ho pensato, è efficace solo se poi hai il talento necessario per trovare la migliore seconda idea, il migliore secondo aggettivo, il migliore secondo meccanismo narrativo possibile: e Cristò, ne La carne, ne ha in quantità incommensurabile. Tutto è nuovo, in questo libro: i personaggi, la lingua, l’intreccio.

Ogni libro cerca i suoi lettori, e non esistono libri che vanno bene per chiunque. La carne, come spesso accade ai romanzi coraggiosi (o audaci, come è questo romanzo), potrebbe disturbare qualche lettore, perché non fornisce punti di riferimento noti, approdi sicuri; ma andrebbe letto comunque, anche se dovessimo avvertire l’assenza di una risonanza profonda con i nostri gusti, perché sotto la sua apparente semplicità nasconde cose grandissime. Poi può essere rifiutato, ma, se mai riuscissi a raggiungere il mio obiettivo di diventare l’imperatore del mondo, tra le prime leggi promulgherei quella che impone la lettura di questo libro – non come pena, ma come occasione per capire che cos’è realmente la letteratura: a cosa serve (a niente, certo, ma è un niente sublime), cosa può fare, come può cambiare la tua vita, il tuo modo di leggere, e quindi, in definitiva, il tuo modo di guardare.

Ma al di là di ogni considerazione, La carne ha emozionato, commosso e meravigliato, con la sua enorme bellezza, un essere umano; e questo è, in fondo, tutto quello che voglio dire.

(Continua in libreria…)

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