Esordio letterario della scrittrice americana Ana Johns, “La donna dal Kimono bianco” è la storia di due donne, le cui vite si svolgono in tempi distanti e spazi lontani: dal Giappone del secondo dopoguerra all’America dei giorni nostri, un segreto di famiglia viene svelato… – Su ilLibraio.it un estratto dal romanzo

Un matrimonio combinato nel Giappone degli anni ’50, una giovane giapponese innamorata di un soldato americano, una gravidanza imprevista, un segreto di famiglia custodito fino ai giorni nostri, negli Stati Uniti: La donna dal kimono bianco (Tre60, traduzione di Maria Carla Dallavalle) è il romanzo d’esordio di Ana Johns, un libro che attraversa il tempo e lo spazio per ricongiungere le vite di due donne, legate indissolubilmente.

L’autrice prende ispirazione dai racconti del padre, ricordi di quando era stanziato in Giappone, dove si era invaghito di una ragazza del luogo, e la sua famiglia lo aveva invitato per la cerimonia del tè: similmente, nel romanzo una giornalista americana cerca di ricostruire le sue radici, che la portano nel Giappone 1957, dove suo padre era stato inviato con la marina militare; la storia che sta cercando di svelare è quella di Naoko, che a soli diciassette anni era promessa in sposa al socio di suo padre, un matrimonio combinato che avrebbe significato onore e stabilità per la sua famiglia. Ma Naoko ama un soldato straniero, un gaijin, e le conseguenze delle sue scelte sono più pesanti da sopportare di quanto lei stessa immagini.

Debutto letterario di Ana Johns, specializzata in giornalismo e arti visive, La donna dal kimono bianco è un romanzo storico che oscilla tra passato e presente, per rievocare il Giappone del secondo dopoguerra, con un’intensità che l’ha fatto paragonare a Memorie di una Geisha.

Per gentile concessione dell’editore, su ilLibraio.it un estratto dal romanzo:

Giappone, 1957

Cerco di cancellare il sonno dagli occhi e mi sforzo di svegliarmi completamente. Uno spiraglio di luce attira la mia attenzione. Poi un fruscio fuori dalla finestra. Una farfalla bianca sbatte le sue ali fragili. Si allargano e si stringono fino a sparire nel nulla, per poi aprirsi di nuovo.

Le mie palpebre si appesantiscono, catturate dalla danza. Con un profondo sbadiglio rifletto sulle storie primitive degli esseri viventi che vagano per il mondo sotto forma di insetti. Immagino di essere quella farfalla, sospinta dalla brezza mattutina. Libera, felice e appagata. Vado a trovare Hajime e gli sussurro rassicuranti parole da sogno sull’incontro di oggi. Ci siamo esercitati tanto. Siamo pronti. Li conquisterai.

«Naoko!»

Sbatto le palpebre contro la luce fastidiosa per sostituire le ali impalpabili della mia fantasia. Mia madre mi chiama di nuovo dalla cucina. Quando mi tiro su, ho un capogiro e torno a distendermi aspettando che passi. Poi mi alzo, arrotolo il letto e mi avvio verso la cucina.

«Avresti dovuto svegliarmi, Okaasan!» La raggiungo, trafelata, rischiando di investire mia nonna per la fretta. Il pungente aroma della zuppa di miso fresca mi pervade i sensi. Hanno già fatto colazione tutti e il mio fratellino si sta mettendo le scarpe per prepararsi ad andare a scuola.

«Buona fortuna con il tuo fidanzato, Naoko» dice Kenji, e accompagna l’augurio arricciando le labbra e simulando lo schiocco di un bacio.

Caccia un urlo quando lo agguanto per dargli un pizzicotto di punizione.

«Kenji, muoviti!» lo esorta la mamma, e mi mette una scodella vuota in mano facendomi cenno di sedermi a tavola accanto a papà. «Mangia quello che è avanzato, poi ci prepariamo. Ci aspetta una giornata impegnativa.»

Mio padre ha l’aria accigliata e tira un lungo sospiro prima di concentrarsi sul suo tè. La vena sulla tempia pulsa sotto i capelli che negli ultimi tempi si sono ingrigiti. Sono sicura di essere io la responsabile.

Mia nonna ama ripetere: «Ciò che appare fin troppo evidente può portare a un rapido rimpianto». Ciò che appare evidente a me è che mio padre ha acconsentito a questo incontro con Hajime soltanto per salvare le apparenze. E ciò che apparirà evidente a lui è che ho accettato l’incontro con Satoshi soltanto per garantirmi il primo.

Il nervosismo mi fa pizzicare la pelle man mano che proseguono i preparativi pomeridiani per la presentazione di Hajime. Io sono quasi pronta, ma Okaasan non approva come ho sistemato il tradizionale pettinino ornamentale bianco e rosa tra i capelli, così mi sta rifacendo l’acconciatura. Io tengo il fermaglio in grembo mentre lei mi passa la spazzola tra i capelli.

Faccio scivolare meccanicamente il pollice avanti e indietro sulla superficie liscia del pettine smaltato, consapevole che non importa che sia posizionato correttamente. Hajime non noterà se è al posto giusto, così come non si accorgerà se il giardino rispetta la simmetria secondo la regola del tre, o se il servizio da tè è quello estivo, ma Okaasan questo non lo sa.

O forse sì? È in qualche modo a conoscenza di ciò che ho tenuto nascosto? Teme la reazione di papà?

Io sì.

La nonna non fa che accrescere il nostro nervosismo. «Così non va bene. Non vedi? Il pettinino pende ancora» borbotta Obaachan passandoci accanto. Finge di non interessarsi ai preparativi, ma trova ogni pretesto per intromettersi dispensando le sue opinioni.

Lo fanno tutti. La preparazione perfetta dell’incontro riflette il prestigio e l’importanza della mia famiglia. Questo vale anche se l’ospite d’onore non ha nessun bagaglio famigliare da ostentare.

La mia mente è risucchiata in un’ossessiva spirale fatta di regole rigide e stretta osservanza del protocollo. Ho spiegato bene a Hajime dove deve sedersi? Quando deve parlare? Quanto mangiare? Ho il battito accelerato. Gli ho raccomandato di servirsi soltanto di piccole porzioni? Di solito ha un appetito notevole; avrei dovuto avvertirlo. Penso di non averlo fatto. Ho un gran caldo. Mi sento stordita. Ho la nausea. E l’obi mi stringe troppo. Il peso della tradizione minaccia di soffocare ogni mio respiro.

«Ecco, cosi.» Okaasan mi dà dei colpetti leggeri sui lati della testa, poi indietreggia di un passo per contemplare il suo lavoro. I fiori di susino del pettine pendono da una parte con delicata precisione. «Sì, così va bene. Mi pare che sia a posto.»

Papà e Taro passano senza nemmeno degnarmi di uno sguardo incuriosito. Per l’incontro con Satoshi sono certa che si comporteranno diversamente. Oggi per loro sono invisibile. Un fantasma.

Okaasan dà un ultimo ritocco al mio kimono. È carino, ma ordinario, contrariamente al furisode che indosserò durante la visita di Satoshi. Quello ha le maniche ampie che si allargano come enormi ali colorate.

«Mmh… è ancora storto» commenta la nonna alle mie spalle. Piega la testa da una parte osservando gli ornamenti sui miei capelli. «Un coperchio sghembo su una teiera sghemba.»

Mi sento un buco allo stomaco. Anche lei sa di Hajime?

Il mio fratellino pensa che la nonna abbia delle volpine astute al suo servizio che le riferiscono tutto quello che sentono in giro. Non l’ho mai preso sul serio, ma ora comincio a pensare che sia davvero cosi.

Mia madre controlla ancora una volta la mia acconciatura e sbuffa respingendo l’opinione della nonna. Mi fa cenno di seguirla in giardino, dove il palcoscenico è pronto per l’imminente rappresentazione. Un leggero tappeto di vimini ripara il patio con le pietre coperte di muschio. La composizione floreale sul tavolo è un’unica esplosione di corolle bianche. E il servizio per la rituale cerimonia del tè attende, disposto in modo impeccabile.

Solo papà e Taro sono fuori posto.

Seduti in giardino, con le spalle rivolte all’entrata, hanno un atteggiamento di muta opposizione. Il fumo che esce dalle loro pipe si avvolge a spirale nell’aria, come due serpenti attorcigliati intorno a un’invisibile pianta rampicante. Le mie viscere si rivoltano in segno di protesta.

È quasi ora.

Hajime sa quanto sia importante arrivare al momento giusto, non un minuto prima né un minuto dopo. Sa che deve percorrere il sentiero spruzzato d’acqua che attraversa il giardino rugiadoso per liberarsi della polvere terrena e avvicinarsi al cancelletto per le presentazioni ufficiali prima del tè. Così io resto in piedi, all’erta, la pelle bruciante per la tensione che sento crescere dentro di me, temendo il momento in cui papà e Taro si volteranno, poseranno gli occhi su Hajime e pronunceranno la loro sentenza.

Poiché la casa si trova ad angolo rispetto alla mia posizione, riesco a vedere il punto da cui Hajime arriverà. Continuo a restare di guardia, ma ho l’impressione che non ci sia abbastanza aria per i miei polmoni. Mi fa male il petto per lo sforzo di respirare.

Come mi era venuto in mente?

Avrei dovuto dirlo a loro.

Avrei dovuto dirlo a lui.

«Oh, guarda, Naoko. Un segno di fortuna.» Mia madre indica la mia manica, dove una farfalla sembra essersi posata per prendersi un istante di riposo sul disegno floreale rosa del mio kimono. Le sue ali impalpabili giocano nella brezza con un lieve movimento di flusso e riflusso, e subito mi torna in mente la visione che ho avuto stamattina al risveglio e tiro un profondo respiro.

«Ti ho sognato, sai, farfallina?» dico sorridendo, più tranquilla mentre osservo la mia amichetta che è tornata da me. «Ci siamo fatte trasportare dal vento, noi due, insieme. Mi porti buone notizie?»

«Può darsi che tu sia ancora addormentata come nel sogno della farfalla di Chuang Tzu» dice la nonna mentre Taro la aiuta a sedersi sulla stuoia.

Io resto concentrata sulla mia piccolissima visitatrice e tengo fermo il braccio in modo che lei possa soffermarsi a esplorare la seta della mia manica. Il grande maestro taoista sognò di essere una farfalla, completamente dimentico della sua precedente condizione umana. Quando si svegliò, eccolo là. Di nuovo un uomo. Quindi era un uomo che aveva sognato di essere una farfalla? O una farfalla che ora sognava di essere un uomo? Cos’è reale?

«Forse Chuang Tzu si è fissato sulla cosa sbagliata, Obaachan» obietto. «Invece di cercare quale delle due dimensioni è reale, forse lo sono entrambe. La vera felicità sta nel mezzo.»

La nonna stringe le labbra senza ribattere.

L’ho ammutolita?

Okaasan protende la mano per sistemarmi il pettine tra i capelli, decidendo che, tutto sommato, è davvero un po’ sghembo. La nonna fa un sorrisetto compiaciuto.

È una vittoria di breve durata.

La farfalla spiega le sue ali bianche e spicca il volo. Seguo il suo percorso leggiadro e sinuoso finché i miei occhi si riempiono di una nuova visione. Il mio futuro.

Hajime è qui.

© Ana Johns 2019

(Continua in libreria…)

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