La sfida che percorre “La meteorologa”, il romanzo di Tamar Weiss Gabbay, è ricordarci che la presenza di noi esseri umani sulla Terra, con la nostra organizzazione, la mania di misurare, mettere al riparo, spianare vie e campi, addomesticare, cartografare, non è necessariamente benvoluta. Che tutta la nostra esistenza è, in realtà, una continua concessione da parte del suolo che ci ospita… Nel libro “vita naturale e vita interiore si mescolano in un gioco di alleanze, rimandi e simbiosi”

Una vera sorpresa La meteorologa (Giuntina, traduzione di Silvia Pin), agile e denso romanzo di Tamar Weiss Gabbay, esordiente in Italia, ma solida autrice e sceneggiatrice israeliana, con prestigiosi premi nel settore della letteratura per l’infanzia.

Come dichiara il titolo in questo libro troviamo senza dubbio una meteorologa, un padre e una nipote. Una famiglia insomma, le cui ramificazioni non sono molto estese, a quanto pare, ma profonde abbastanza per poterci raccontare del luogo dove hanno scelto di abitare. Un luogo non identificato né intuibile dal lettore.

La meteorologa di Tamar Weiss Gabbay

Da come viene descritto e inferendo con una buona dose di immaginazione, per via della provenienza dell’autrice, si direbbe potersi geolocalizzare intorno al deserto del Negev, ma chissà. Qui la donna delle previsioni è tornata, nel villaggio natio, per installare una stazione di rilevamento meteo.

Un regalo alla sua comunità, che fino a quel momento ne era rimasta sprovvista: in una zona dove, peraltro, gli accidenti naturali sono frequenti e imprevedibili, lei aveva donato, con disinteresse e abnegazione, uno strumento per rendere più sopportabile la vita in un insediamento dove la civiltà, forse, non sarebbe dovuta arrivare.

Ed è questa la sfida che percorre tutto il romanzo di Tamar Weiss Gabbay. Ricordarci che la nostra presenza, di noi esseri umani, con la nostra organizzazione, la mania di misurare, mettere al riparo, spianare vie e campi, addomesticare, cartografare, non è necessariamente benvoluta. Che tutta la nostra esistenza è in realtà una continua concessione da parte del suolo che ci ospita.

E così spesso la meteorologia diventa anche meteoropatia, una scienza e una sensazione, perché siamo creature civilizzate, ma non così lontane dal nostro stato di natura da non lasciarci influenzare anche nello stato d’animo.

L’addomesticamento, dicevamo. La protagonista del romanzo ha un padre, che è professore nell’unica scuola superiore locale, ma anche autorità indiscussa nel perseguire il miglioramento progressivo delle condizioni di vita dei suoi concittadini.

E tutta la preoccupazione ora è rivolta all’enorme condotto giù nella gola, costruito per incanalare l’acqua delle rare piene, ma che fa da inquietante riverbero al vento che gira nella piana, con la bramosia di un cane randagio, e si inabissa nel canyon. E produce un sinistro ululato che sembra presagio di sventura.

E poi c’è la nipote. Nipote del nonno professore, è in città per frequentare un corso di recupero e trascorrere un po’ di tempo denso di significato dalla zia meteorologa.

Ognuno di loro cerca di addomesticare l’altro. Renderlo docile per piegarlo all’intensità dei propri sentimenti, e all’incapacità che tutti abbiamo di fare i conti con le aspettative degli altri.

Dice bene la bandella quando recita “vita naturale e vita interiore si mescolano in un gioco di alleanze, rimandi e simbiosi”. C’è molta letteratura in questo esordio, intesa o dichiarata.

“Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce”. Il vecchio e il mare è la lettura che l’autrice infila nello zaino della giovane nipote. Un riferimento perfetto che racconta molto del rapporto tra uomo e natura, tra rancori e aspettative.

Avrebbe potuto essere Moby Dick, ma per certi aspetti il romanzo ne ricorda molto un altro bellissimo e poetico recente, Il dolore è una cosa con le piume (Max Porter). Perché animali e natura non sono solo ciò che è altro da noi, il corpo estraneo che ci racconta l’aspetto più semplice e puro della nostra esistenza, ma sono anche simboli e metafore per significare ciò che si intuisce ma che non si può spiegare: vivere.

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