Una ragazza in cerca delle proprie origini, una misteriosa levatrice, la potenza della natura (e della montagna): dopo il memoir d’esordio, Marianna Corona (figlia del noto scrittore Mauro), torna con il suo primo romanzo, “Le Vèinte – Le streghe del vento”, pieno di vento e magia – Su ilLibraio.it un capitolo
Dopo che nel 2021, aveva raccontato la sua infanzia in una famiglia speciale nel memoir di debutto Fiorire tra le rocce – La via dell’equilibrio quando la vita si fa ripida (Giunti), Marianna Corona (figlia del noto scrittore Mauro) torna in libreria, sempre per Giunti, con il suo primo romanzo, Le Vèinte – Le streghe del vento.
Chi vive tra le montagne conosce il respiro della roccia e quello del cielo, sa di essere parte del grande ciclo della vita e di dovervi prendere parte. Così, quando l’inverno si avvicina e la nebbia comincia a salire, gli abitanti di Rodìssaluna moltiplicano gli sforzi per completare i preparativi prima dell’arrivo del gelo. Sono silenziosi, a volte spietati, però si conoscono tutti e sono uniti da antiche storie. Ma proprio mentre bussa l’autunno ecco arrivare in paese una compagnia stravagante: sono le Vèinte Girovaghe, dall’aspetto giovanile ma dalle voci cariche d’anni, pronunciano frasi misteriose mentre, intorno al fuoco, preparano fumarole capaci di far vivere incubi e sogni a chi ne respira i vapori.
Può interessarti anche
La giovane protagonista di questo romanzo le teme, come tutti, eppure sente che qualcosa di profondo la unisce a loro. Avrà bisogno di tutto il suo coraggio per compiere il viaggio nella Valle della Lastra che la porterà a scoprire chi sono le Vèinte e qual è l’origine della sua immensa forza interiore.
In questa prima opera narrativa Marianna Corona, che ha conseguito la laurea specialistica in Linguaggi e tecnologie dei Nuovi Media, e che lavora come social media manager e formatrice nel campo della comunicazione online (ed è anche un’insegnante di yoga), dà vita a una narrazione nella quale i confini tra realtà e immaginazione cadono e le voci delle protagoniste sono come un grande coro che si interroga sulle nostre radici, sul nostro modo di abitare il pianeta.
La storia delle Vèinte, creature mitiche e al tempo stesso profondamente contemporanee, ha la forza della leggenda e il fascino di un’avventura estrema
Può interessarti anche
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:
Sono una figlia d’anima. Non so chi siano mia madre e mio padre. Sono cresciuta con una signora che ho sempre chiamato nonna anche se non era quella naturale. Ma per me è stata l’unica vera nonna. Realtà e finzione qui sono la stessa cosa. I miei genitori non li ho mai cercati, non mi sono fatta molte domande su di loro. Almeno fino a quando non è morta mia nonna: da quel momento all’improvviso mi si è disintegrata la vita e ho avuto voglia di sapere. Da giorni continuo a spalare via strani mucchietti di cenere da dietro la porta. Incredibile a dirsi, ma sono rispuntati ancora. Non so da dove arrivino, ho perfino controllato il camino arrampicandomi in cima alla bell’e meglio. Il tetto è perfetto: non vi è cenere lassù. Ci sarà pure una spiegazione logica, ma per il momento non l’ho trovata.
Non si può abbassare la guardia quando si è alle porte, dell’inverno. Non si campa di malinconie. Mi devo concentrare sulla vita. In queste giornate di autunno, già dalla mattina, sale una nebbia fitta e insistente. Il paese è svantaggiato, non sa più muoversi. Il suo essere statico contrasta con la frenesia di abitanti agitati che tentano di tamponare il più possibile le ferite che a breve arriveranno con il freddo. Sento l’umidità propagarsi come il fumo di un paiolo. Nei giorni in cui salgo sulle cime e guardo il paese dall’alto, mi soffermo su questa piccola vallata e mi chiedo cosa abbia spinto qualcuno a scegliere di stabilire qui case e famiglie. Quando succede qualcosa di brutto si smuove tutto il paese. È sparito un ragazzo, giovane. Si chiama Ràstel. Stava andando a pescare. L’ho addirittura seguito. Tutti pensano che se lo sia inghiottito il torrente Rodìs. Sua madre non si dà pace. Continua a strapparsi ciocche di capelli, le mette tutte insieme in un barattolo di vetro e inizia a ripetere nenie che nessuno capisce. Lo fa ogni sera. Non c’è verso di consolarla.
Scopri il nostro canale Telegram

Ogni giorno dalla redazione de ilLibraio.it notizie, interviste, storie, approfondimenti e interventi d’autore per rimanere sempre aggiornati

Nemmeno con le altre donne di Rodìssaluna trova un po’ di sollievo. Con me no di certo. Da lei non ci vado, non voglio avere niente a che fare. Continua a ripetere che è un figlio maledetto ma che gli vuole bene. Siamo tornati al torrente a cercarlo, ma ormai sono passati giorni. A me Ràstel sta simpatico. Qualcuno, sussurrando, sostiene che l’abbiano fatto sparire le Vèinte, come è successo a Carnio, l’anziano disabile marito di Gispa di cui è rimasto solo il carretto su cui passava le giornate inveendo contro tutti. Ma qui verità e menzogna sono la stessa cosa. L’una salva la faccia all’altra. Cerco di farmi gli affari miei, a parte quando bisogna aiutare qualcuno. Per il resto vivo sui sentieri. Sono imbattibile a trovare funghi e a rubare grappe a quegli idioti dei Therpinìars. Di questo posto amo le montagne. E Timo, il nuovo custode del cimitero. È arrivato quando hanno trovato morto Velìn, il vecchio custode che voleva farmi fuori. Ultimamente gli era andata a male la testa. Ripeteva che avevo antenati brutti e che non dovevo tornare a tormentarlo dopo morta. L’ustione che ho sulla spalla è opera sua. Ha tentato di bollirmi come una gallina. Invece è morto lui.
All’inizio, quando l’ho saputo, ero contenta, ma poi ho scoperto che avevo tante domande da porgli. Domande fondamentali, alle quali soltanto lui avrebbe saputo dare risposta. Mia nonna si chiamava Dolthìna. Mi diceva che sapevo parlare con il bosco, che andavo a genio alla Natura. Era una donna minuta, ma ai miei occhi aveva una forza gigantesca. Non stava mai ferma e quando non era a casa raggiungeva il campo o raccoglieva ramaglie per il fuoco. Dalla finestra del piano di sopra, dove ci sono le due camere da letto e il bagno più grande del paese, posso vedere il nostro piccolo bosco. Controllo che non passi nessuno a rubare la legna. Ho messo anche delle trappole invisibili, di fili tesi, a fare da sentinelle per capire se qualcuno entra di nascosto. Questa dove ho sempre vissuto è la casa della levatrice Iana, che da un giorno all’altro nessuno ha più visto. Il bagno è la stanza più grande, è l’unica casa in paese con la vasca da bagno.
Scopri la nostra pagina Linkedin

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

Il resto dell’abitazione è spigoloso. Le mura si sviluppano in verticale, ci sono due porte d’ingresso, una dà sul retro. Davanti un porticato si affaccia sulla valle. Vicina c’è una stalla che ormai è solo un deposito di legna. Certezze ne abbiamo poche, ma a me interessa soprattutto che l’inverno non sia infinito. Durante il freddo rischiamo sempre la pelle. È la stagione che dura più di tutte. Di sicuro la levatrice si era stancata di vivere qui. Oppure a molti fa comodo credere se ne sia andata con le proprie gambe. Per scovare la verità, quassù, bisogna raccontare bugie. Ogni parola serve per metterti alla prova. Nessuno si fida di nessuno, anche se quando possiamo ci diamo una mano. Le case diventano fortezze e le finestre sono punti di mira per occhi che scrutano. A ogni inverno qualcuno diventa matto o muore.
(continua in libreria…)
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it
