Un disoccupato con la fissa dei complotti si trova protagonista del complotto più grande di tutti i complotti. Cosa potrà andare storto? Su ilLibraio.it un capitolo da “Nero – Il complotto dei complotti” di Luca Giommoni

“‘Busenga’ era un neologismo, coniato da Alfredo e Nero, ambigenere e indeclinabile, usato in accezione negativa per indicare tutta una serie di individui che, in un eccesso di autostima, diffondevano l’idea che il successo era un merito e il fallimento una scelta. C’era sempre un Busenga nella bocca di Nero, così come nella sua testa ci sarebbero stati sempre dei complotti”.

Cosa accadrebbe se tutte le teorie del complotto servissero solo per nascondere l’esistenza di un unico, grande complotto? E cosa accadrebbe se il viaggio nel tempo fosse possibile, e i centri per l’impiego trovassero il modo di rimandare nel passato i disoccupati per trovare loro lavoro?

Nero, protagonista del romanzo omonimo di Luca Giommoni in libreria per effequ, è un giovane impacciato idealista alle prese con la perdita della madre e la scomparsa nel nulla del padre, e cerca di sfruttare questa possibilità per correggere ingiustizie e atrocità.

Dovrà però affrontare le kafkiane difficoltà degli organi di controllo burocratici, oscure potenze al lavoro per preservare la sperequazione sociale e insabbiare gli orrori.

Nero – Il complotto dei complotti è una sorta di romanzo “fantascientifico”, che mostra le storture della storia recente in un epico multiverso, pieno di personaggi eccentrici, epoche diverse e impossibili tentativi di riscatto.

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Il protagonista, alter ego di una generazione crocifissa a lavori inutili e precari, ambizioni performative incontrollate e tirocini gratuiti, capirà presto che i compromessi sono sempre necessari, fino a comprendere l’ironica, drammatica ineluttabilità del proprio destino.

L’autore, che ha pubblicato racconti per diverse riviste, è operatore in un centro di accoglienza straordinaria e insegnante di italiano a migranti, esperienza che lo ha portato a scrivere il romanzo Il rosso e il blu – Una comune favola di migrazione (effequ 2020), finalista al premio Severino Cesari.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

PARTE PRIMA
ACCADEVA QUESTO

4.
Il complotto della Circolare Salvatempo

[…]

«Ma qualcuno l’ha mai letta questa Circolare Salvatempo?» aveva replicato Nero alla risposta di Raffaele e Maria Cinzia sul perché loro aprissero solo tre pratiche al giorno – sempre ammesso che Raffaele ne avesse mai aperta una – se il manuale operativo imponeva, per essere un archivista efficace ed efficiente, almeno dodici pratiche giornaliere.

Nell’anno che Nero trascorse all’ufficio Pratiche Telematiche, però, le ventimila e più pratiche telematiche in arretrato passarono a poco più di seimila.

Nero era soddisfatto. In tanti là fuori avevano sicuramente beneficiato del suo impegno ed era altrettanto sicuro che qualcuno ai piani alti, magari la dirigenza, avrebbe notato quell’impegno e lo avrebbe ritenuto indispensabile al momento della scadenza del tempo determinato. Si sbagliava. Lo capì quando un giorno come altri andò a fumare una sigaretta nel reparto tecnico e trovò ad attenderlo tutto il personale delle Attività Produttive, anche facce fino a quel momento mai viste.

Nero fu assalito da una raffica di occhiate piene d’odio. Ebbe paura. Anche Maria Cinzia, Sergio e Raffaele lo fissavano minacciosi.

«Ragazzo, noi lo capiamo che vuoi fare una buona impressione» iniziò Raffaele. «Ma non puoi fare questo alle persone che ti hanno accolto con tanto affetto».

«Fare cosa?»

«Tutte quelle pratiche» sibilò Raffaele mentre nella stanza si alzavano mormorii indignati. Nel vocio generale Nero avvertì una presenza alle sue spalle. Il calore del fiato sul collo. Un ‘testa di cazzo’ nell’orecchio. Riconobbe la voce di Sergio, si voltò ma non lo trovò. Lo ritrovò tra le altre teste davanti a lui. Lo guardava e lo odiava, senza inflessioni.

«È vanificare il lavoro altrui» continuò Raffaele.

«Quale lavoro?» protestò Nero.

«Ci dispiace, ragazzo» continuò Raffaele. «Ma non ci hai lasciato altra scelta: da lunedì andrai all’ufficio del Personale, da Aldo. Non possiamo permettere che tu faccia altri scherzi del genere».

«Chi l’ha deciso?» disse Nero avvampando in volto. «Voi non avete l’autorità per una decisione del genere».

«La dirigenza» lo interruppe Raffaele. «La dirigenza lo ha deciso».

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C’era un dirigente, quindi. Un dirigente che aveva deciso che Nero sarebbe stato spedito all’ufficio del Personale. Un dirigente con cui Nero avrebbe parlato di persona.

Bussò alla porta dell’ufficio Dirigenza. Nessuno rispose. Provò a entrare, ma la porta era chiusa dall’interno. Bussò ancora più forte. Raffaele intanto lo guardava e lo compativa da lontano. Nero fece suonare le nocche della sua mano sulla porta altre cinque, dieci, venti volte.

Quando l’ultimo impiegato abbandonò l’edificio, Nero era ancora davanti alla porta del dirigente. Quando le campane suonarono la mezzanotte, Nero era ancora davanti alla porta del dirigente. Quando una Panda entrò nel parcheggiò e cercò l’angolo più riparato possibile dove nascondere le effusioni dentro l’abitacolo, Nero era ancora davanti alla porta del dirigente. Quando il rosso e il blu delle sirene illuminò il parcheggio per portarsi via un vecchio, probabilmente un senzatetto, in evidente stato di alterazione ma che sembrava deciso a fare irruzione allo Sportello Unico, Nero era ancora davanti alla porta del dirigente. Quando l’unica cosa rimasta sveglia nel raggio di chilometri sembravano le insegne luminose dei distributori di benzina, Nero era ancora davanti alla porta del dirigente. Quando le prime luci dell’alba svegliarono le prime saracinesche, Nero era ancora lì, davanti alla porta del dirigente.

Metteva i piedi sulla scrivania quando l’addetto alle pulizie passava lo straccio sul pavimento e sapeva di essere di nuovo solo quando sentiva il portone dell’ingresso principale richiudersi dietro i passi di qualcuno che sarebbe tornato a casa.

Fuori dalle finestre la città stessa sembrava allontanarsi sempre di più e Nero, una sera, ebbe l’impressione di essere l’unica persona non solo nell’edificio ma nel mondo intero. Per smentirsi, chiamò prima Alfredo poi suo padre.

«Hai capito poi che lavoro fa quel Raffaele?» disse Alfredo.

«Macché».

«Sei sicuro di non avere un Beppe nell’armadio?»

«No, tu cosa fai?»

«Mah, sono alla finestra».

«Oggi seicentododici volte» disse invece suo padre.

«Buchi neri?»

«Niente».

«Le avevano alzato la dose, papà. Era sedata…»

«E questo tubo di cartone allora? Io non gliel’ho portato. Tu non gliel’hai portato. Chi cazzo gliel’ha portato?»

«Perché non torni a lavorare? Ti farebbe bene».

«Lo sai cosa mi farebbe bene?»

«Un buco nero?»

«Esatto. Ti saluto adesso, passami a trovare quando hai tempo» e suo padre riattaccò e Nero, per lo sconforto, chiuse gli occhi ma li riaprì subito temendo che in quella frazione di secondo di cecità la porta dell’ufficio Dirigenza si sarebbe aperta e un dirigente ne sarebbe entrato o uscito.

Colto dalla disperazione, provò pure a forzare la porta con una graffetta, invano. Ci si appoggiò con la schiena e scivolò sempre più giù, fino al pavimento. Rimase seduto per terra fino alle quattro di mattina, poi arrivò alla conclusione che quella porta non si sarebbe mai aperta, che non avrebbe mai parlato con nessun dirigente, che non c’era nessun dirigente con cui parlare. Aspettò un altro po’ per vedere se la sua rassegnazione potesse essere smentita da un improvviso colpo di scena.

Dopo quattro giorni era arrivato il momento di tornarsene a casa.

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La famiglia di Aldo dell’ufficio del Personale aveva un solo problema: Aldo dell’ufficio del Personale.

«Amore, perché non vieni qui a stropicciarmi un po’?» diceva la moglie di Aldo, nuda, entrando sotto la doccia o, in lingerie, ammanettata alla testata del letto.

«Perché non ho tempo» rispondeva Aldo. «Devo organizzare un corso di formazione».

«Papà, ho perso l’autobus, mi accompagni a scuola?» diceva sua figlia.

«Non ho tempo» rispondeva Aldo. «Devo organizzare un corso di formazione».

«Figliolo, tuo padre ha avuto un altro angioma, bisogna portarlo d’urgenza al pronto soccorso» diceva sua madre.

«Non ho tempo» rispondeva Aldo. «Non lo sai che devo redigere un corso di formazione?»

E davvero Aldo non aveva tempo. Aldo bramava disperatamente organizzare corsi di formazione vincenti e passava tutte le sue giornate a lavorarci. Stava alzato tutta la notte a studiare libri come Fare formazione o L’arte di formare e manuali di migliaia di pagine sui migliori software per fare slide vincenti per corsi di formazione vincenti.

Era riuscito a redigere un corso di formazione perfino per la prima comunione della figlia, impartito alle famiglie dei comunicandi su come combinare nel migliore modo possibile gigli, rose bianche e nastri di organza per avere gli adeguati addobbi floreali nella navata della chiesa. Una vigilia di Natale aveva costretto i bambini a ritardare il momento di apertura dei regali per impartire loro un corso di formazione sulle analogie tra le origini cristiane, il folclore germanico e islandese e l’evoluzione moderna di Babbo Natale. Ma era quando doveva organizzare, per conto del Comune di Carolì, corsi di formazione professionale aperti a utenti esterni, tra cui lavoratori autonomi, diplomati, neolaureati e disoccupati, che Aldo dava il meglio di sé. Aveva tenuto un corso di formazione per Partite Iva sulla normativa, la giurisprudenza e la prassi del regime forfettario il trentuno dicembre ed era stato bravissimo a non affrontare la normativa, la giurisprudenza e la prassi del regime forfettario delle Partite Iva e a fornire un’analisi approfondita dei dettami della Magna Carta del milleduecentoquindici. Ma il suo capolavoro era stato quello di erogare un corso di formazione di ottanta ore di Business English, rivolto a disoccupati, senza dire una parola in inglese.

Alla fine Aldo, nonostante non potesse più, come da direttive superiori, tenere alcun corso di formazione, era riuscito comunque a reinventarsi brillantemente; l’arrivo di Nero al suo fianco fu un vero e proprio dono del cielo.

«Tu sei un neolaureato?»

«Mi sono laureato due anni fa».

«Mi è giunta voce che sei un piantagrane» fece Aldo. «Vediamo di partire col piede giusto… devo redigere un corso di formazione vincente per neolaureati alla ricerca di lavoro, comprensivo di ore, argomenti da trattare, obbiettivi da raggiungere e schede di verifica. Puoi prepararmi un programma dettagliato per dopodomani?»

Nero si ritrovò impreparato di fronte a tanta energia e propositività. In tutto il periodo che aveva trascorso al Suap le uniche richieste che aveva ricevuto erano stati quindici euro da Sergio per l’ultimo libro in pdf di David Icke, domande a proposito del suo nome e non arrendersi all’alfa reduttasi che minacciava le sue tempie. Il suo unico lavoro era stato non lavorare. Ma non all’ufficio del Personale, ecco perché tutti gli altri reparti lo denigravano tanto: qui si faceva sul serio, qui si lavorava. E Nero lavorò.

Lavorò pensando a tutti i giovani neolaureati, a tutte quelle ragazze e quei ragazzi che ogni giorno cercavano di guadagnarsi una vita e ogni giorno morivano un po’ di più alla mercé di tirocini non retribuiti, Cococo, catene piramidali, AlmaLaurea, disarticolazioni salariali, centri per l’impiego e sensi di colpa.

Nero ci pensò giorno e notte a come redigere e strutturare un corso di formazione che avesse senso. Un corso di formazione che, se lui stesso avesse trovato in qualche annuncio, non avrebbe esitato a frequentare. Una guida, una bussola per orientare tutti quei giovani che entravano nel mercato del lavoro e si ritrovavano smarriti in una voragine di occasioni della vita e feriti dalla sensazione di star perdendo l’occasione della vita, senza nessuna stella polare da seguire.

Nero andò a trovare anche Alfredo per avere un riscontro sincero.

«Che ne pensi?» gli passò le carte su cui aveva trascorso gli ultimi giorni.

Alfredo le valutò con attenzione. Scorreva i fogli e ogni tanto tornava indietro per rileggere un punto preciso.

«Mah, Nero, sai come la penso, rimane una guerra: pistole ad acqua contro cannoni laser».

«Ma tu lo frequenteresti un corso di formazione del genere?»

«Mah, una chance gliela darei…» disse dopo un po’ e a Nero questo bastò. Alfredo era la prova del nove. Se un corso di formazione riusciva anche minimamente a incuriosirlo significava che poteva davvero funzionare.

Quando presentò il programma ad Aldo, Nero era rapito da un’agitazione impaziente, come uno studente sicuro di stare consegnando il lavoro della vita al proprio professore.

Aldo analizzò scrupolosamente il programma del corso di formazione. I passaggi che più sembravano convincerlo li rileggeva ad alta voce, manifestando il suo apprezzamento con movimenti compiaciuti della testa.

«Interventi diretti di personalità nel campo del recruitment, suddivisione delle lezioni in microaree di competenza specifica… ma come ti sarà venuto in mente? Nero, credo proprio che tu abbia fatto centro» disse infine. «Lo carico subito su tutte le piattaforme comunali. Lo inoltro anche all’ufficio Promozione della Camera di Commercio, al portale dell’Informagiovani, del Centro per l’impiego, e alla cancelleria per stampare subito centinaia di brochure e manifesti da spargere per tutta la città. Questo corso di formazione deve comparire ovunque!» disse alla faccia fiera di Nero.

«Forse prima di promuoverlo dovremmo pensare a come organizzarlo» si sentì in dovere di dire Nero nonostante l’entusiasmo generale, ma Aldo già digitava freneticamente sulla tastiera e non sembrava aver prestato la minima attenzione. «Forse prima dovremmo trovare un luogo idoneo dove tenere il corso?» insisté «Formatori qualificati che lo somministrino, personalità virtuose del mondo del lavoro che intervengano?»

«Perché mai dovremmo preoccuparci di tutte queste cose per un corso di formazione che tanto non si farà?» replicò infine Aldo.

«Non si farà?»

«Mai» disse asciutto Aldo. «Ma credo proprio che tu abbia di nuovo fatto centro…» Aldo rifletté un momento per poi sbocciare in un entusiasmo illogico. «È un’ottima idea, Nero. Rimettiti subito al lavoro e redigi altri corsi di formazione rivolti ad altri soggetti, su altri argomenti altrettanto qualificanti e virtuosi, e questa volta pensa anche a tutti i luoghi idonei dove non si terranno, a tutti i formatori qualificati che non lo somministreranno e a tutte le personalità virtuose del mondo del lavoro che non vi interverranno».

«Ma che senso ha?» si oppose Nero. «Perché dovremmo pensare a un corso che tanto non si farà?»

«Perché potrebbe esserci un corso ma non c’è» rispose Aldo in modo scontato. «Pensaci, è facile: noi potremmo fare una cosa fatta bene, un corso idoneo in un luogo idoneo, con formatori qualificati e personalità virtuose del mondo del lavoro, ma poi non lo facciamo, semplice!»

«Ma la gente ci rimarrà male».

«Non fare quella faccia. Ho già promosso una cosa del genere, non a questo livello: un corso di formazione interno, una cosuccia, e ti posso assicurare che nessun dipendente pubblico si è risentito del fatto che non si sarebbe tenuto un corso di formazione interno».

«Ma non potremmo limitarci a organizzarli veramente?» implorò Nero. «Almeno quelli esterni?»

«Impossibile» fece Aldo categorico. «Il dirigente è stato chiarissimo».

«Il dirigente?» Nero sentì un brivido lungo la schiena. «Hai parlato con il dirigente?»

«Sì».

«Esiste un dirigente?»

«Certo».

«Quando ci hai parlato?»

«Non me lo ricordo. Ci ho parlato quando il dirigente mi voleva parlare».

«E come ti ha trovato?»

«Come sarebbe come mi ha trovato? Mi ha trovato come mi hai trovato tu questa mattina: entrando in questo ufficio, da quella porta» Aldo indicò la porta e Nero la guardò sospettoso.

«E poi se n’è tornato nel suo ufficio?»

«Perché lo domandi a me?»

«Di cosa ti voleva parlare il dirigente?»

«Basta» si irrigidì Aldo. «Cosa sono tutte queste domande?»

«Che aspetto ha il dirigente?»

«Quello di un uomo» sospirò Aldo. «Uno come tutti, che deve sottostare alle direttive».

«Quali direttive?»

«Le direttive, le direttive» sbottò Aldo. «Le direttive: quelle idee che non significano niente ma che attecchiscono con grande facilità, hai presente?»

«Perché non possiamo organizzare un vero corso di formazione per neolaureati fatto come si deve?»

«Per una direttiva».

«Quale?»

«La Circolare Salvatempo».

Nero rinunciò a capire cosa fosse la Circolare Salvatempo o cosa accadesse all’ufficio Politiche Attive del Lavoro. Preferì redigere corsi di formazione che non si sarebbero tenuti, per la libido perversa di Aldo, e mantenere un profilo basso per non suscitare ulteriore rancore e astio nei colleghi che già gli dedicavano sufficiente rancore e astio. Maria Cinzia non lo degnava più di uno sguardo ma disinfettava ogni superficie che Nero toccava. Sergio, ogni volta che lo incontrava, sputava per terra e lo salutava con dei non troppo sussurrati Testa di cazzo. L’unico che ancora gli rivolgeva parola era Raffaele quando si preoccupava della salute delle linee frontali di Nero.

All’avvicinarsi della scadenza del contratto Nero avvertiva sempre di più uno strano senso di inquietudine dal sapore di austerity. Realizzava anche che in tre anni l’unica cosa buona che aveva fatto era stata quella di versare dei contributi che forse avrebbero reso la vita un po’ più facile a tutta una serie di persone nei momenti difficili. Allo stesso modo sentiva di aver tradito tutte quelle persone, quei disoccupati, quei giovani neolaureati, diplomati, con cui aveva condiviso – e, molto presto, sarebbe tornato a condividere – le stesse statistiche Istat.

L’ultimo giorno non rinunciò a togliersi una curiosità rimasta insoddisfatta nonostante in tre anni avesse chiesto a tutti, a Maria Cinzia, a Sergio, ad Aldo, a chiunque.

«Ma tu qui che fai di preciso?»

«Lavoro per il futuro» rispose Raffaele.

Il giorno dopo Nero era disoccupato.

(continua in libreria…)

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