“Nonnitudine” di Fulvio Ervas racconta l’esperienza di diventare nonni e sentirsi improvvisamente dotati di super poteri. Dopo il successo di “Se ti abbraccio non avere paura”, ecco il nuovo libro dello scrittore che ha creato l’ispettore Stucky, protagonista di una serie di gialli e ora anche di un film, interpretato da Giuseppe Battiston

Diventare nonni è come sentirsi improvvisamente dotati di super poteri, la risata di un nipotino è un’onda anomala di felicità: in quel momento della vita in cui la monotonia e l’abitudine si ripiegano su se stesse una nuova vita comincia, portando con sé tutta la meraviglia delle nuove scoperte, l’esperienza del tempo e dello spazio, l’invenzione della gravità e la magia degli oggetti che hanno un nome. Questo curioso fenomeno del diventare nonni, improvvisamente consapevoli di una responsabilità verso la nuova vita e il pianeta che la ospita, si chiama “nonnitudine”: i neononni si riuniscono al bar con una birra fresca in mano e talvolta inventano storie; storie come quella di un mondo sotterraneo, dove i bambini che leggono generano energia…

nonnitudine

Nonnitudine (Marcos y Marcos) è il nuovo libro di Fulvio Ervas che, dopo il grande successo di Se ti abbraccio non avere paura (Marcos y Marcos), la storia di Franco e Andrea, un padre coraggioso e il suo dolcissimo figlio autistico, racconta cosa vuol dire diventare nonni e riscoprire le piccole gioie della vita.

In concomitanza con l’uscita del nuovo libro, a fine ottobre arriverà nelle sale il film di Antonio Padovan Finché c’è prosecco c’è speranza, interpretato da Giuseppe Battiston e tratto dall’omonimo libro di Ervas, appartenente alla serie di gialli che vede per protagonista l’ispettore Stucky e le sue indagini nella terra dell’autore: il Veneto.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, un estratto dal nuovo libro di Ervas

“Piuttosto, perché ci viene la lacrima facile?” aveva chiesto ai colleghi nonni. “Perché ci succede questo? Come e più che con i nostri figli? Non abbiamo ancora trovato una risposta!” “Dài, è l’età, la fragilità delle sinapsi”. “Ma sì. Gli ormoni sballati o mal funzionanti”. “È la terza età” aveva detto qualcuno. “Terza età è semplicemente invecchiamento. No, è qualcosa di più” aveva affermato.

“Siamo malati di nonnitudine” aveva scandito la parola, rimasta a lungo sopra di loro, tra gli odori del caffè. “Nonnitudine, nonnitudine” avevano bisbigliato. Si era alzato, aveva aperto il piccolo libro, L’arte di essere nonno, e aveva recitato:

Il loro riso ci fa spuntare una lacrima sulle pupille e fa trasalire le pietre della nostra vecchia casa; il loro sguardo radioso disperde i terrori della tomba semiaperta e degli anni gelidi e gravi.

Luciano l’aveva interrotto.

“Scivoliamo nel patetico. Diamoci una regolata!”

“Nonnitudine, una malattia? Ma sai quali malttie vere girano nel mondo? Torniamo con i piedi per terra” Guglielmo aveva vistosamente calpestato il pavimento del bar.

Ripetutamente, come se dovesse uscire da un pantano.

Lui s’era reso conto che evolveva verso un’ideologia della sua condizione.

Non avrebbe avuto coraggio né cuore per dire ai suoi amici ciò che davvero pensava: essere nonni aveva implicazioni assai più ampie che essere stati padri o madri, perché a quel tempo avevano degli alibi, erano giovani, non conoscevano appieno il mondo, dovevano lavorare, pensare ai mobili e al mutuo, erano assorbiti e distratti; ora l’orizzonte era più limpido, polvere e molto rumore erano svaniti e lo sguardo avanzava sino in lontananza; ora sapevano di sé e del mondo; sapevano che stavano lasciando in eredità miliardi di frammenti di plastica, nuvole di gas di scarico, acque sporche; sapevano che si alzavano la notte per svuotare la dispensa del futuro dei loro nipoti. Lo sapevano. Aver guadagnato una distanza appropriata implicava responsabilità. Altrimenti era una farsa. Non aveva coraggio né cuore per dirlo. Aveva non solo qualche anno in più. Aveva una sorta di malattia, una deformazione, una percezione del mondo come luogo che andava bonificato, perché un nipote potesse radicarsi. Era la nonnitudine, di sicuro.

(continua in libreria…)

 

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