“La pelle di Milano” è una raccolta di racconti frutto di un concorso al quale hanno aderito più di trecento autori e autrici fra i diciotto e i trent’anni – Su ilLibraio.it proponiamo “La seconda morte dei pesci fantasma” di Giuseppe Cecere, tra i quindici vincitori
Milano non è certo una città facile (e lo conferma il recente dibattito sulla crisi del capoluogo lombardo): bisogna ascoltarla, bisogna saperla guardare, bisogna starci, passarci, esservi condannati, essere presi in prestito. Solo allora la si riesce a raccontare.
La pelle di Milano, in libreria per Mondadori con la prefazione di Giacomo Papi e Alberto Rollo, è una raccolta di quindici racconti che vede protagonista la città e le sue contraddizioni, le sue luci e le sue ombre. Testi narrativi, dunque, che raccontano e provano a svelare la Milano di oggi.
Può interessarti anche
La pelle di Milano ospita i racconti di quindici autori e autrici, selezionati da una giuria composta da Michele Serra, Daria Bignardi, Helena Janeczek, Giorgio Fontana, Fabio Guarnaccia, Malika Ayane, Giacomo Papi, lo stesso Rollo, Cristina Taglietti e Vittorio Graziani.
Le autrici e gli autori sono, in ordine alfabetico, Stefano Adesso, Giovanni Belcuore, Nicolò Bellon, Marta Cavo, Giuseppe Cecere, Chiara Deiana, Jacopo Epifani, Ludo Guaita, Raffaele Iaccarino, Luca Leone, Mahshad Mahdavi, Giulia Perri, Silvia Righi, Ruben Rossi e Moïse Leon Rutz.
La premessa di questa antologia è una sfida lanciata dal Laboratorio Formentini e dalla casa editrice Mondadori attraverso un concorso al quale hanno aderito più di trecento autori e autrici fra i diciotto e i trent’anni.
Nella presentazione si spiega che l’antologia “cerca quasi automaticamente tagli prospettici che non rispettano i luoghi comuni e disegnano una mappa originale della città, indugia sulla vita e sulla mala vita, fa esplodere ritratti di rabbia, di desolazione, di desiderio; affonda negli interni di abitazione precarie e srotola tappeti strappati di periferie; stacca ritmi che segnano il tempo immobile e il tempo velocissimo della sopravvivenza; scende negli inferi e risale a contemplare il cielo”.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo uno dei racconti dell’antologia:
La seconda morte dei pesci fantasma
Il pesce fantasma guizzò per la prima volta fuori dall’asfalto di via Savona il giorno in cui le cose iniziarono a mettersi peggio del solito.
Matteo Imbriani, studente di dottorato appena trentenne e uomo di scienza, si disse che era stata un’allucinazione e continuò a camminare. Ma il pesce, che ci teneva a rendersi ben visibile, saltellò dal civico 15 al 14, dal 13 al 12. Quando Matteo si fermò nel punto esatto in cui il pesce si era immerso, vide la pinna dorsale che disegnava traiettorie sinuose tra cacche di cani e mozziconi di sigaretta, poi più niente. Chiese un bicchiere d’acqua al bar, perché quella visione del pesciolino nell’asfalto rovente di inizio luglio gli aveva messo sete, e si tuffò tra le rampe della metropolitana per raggiungere il suo ufficio.
Doveva essere stato un colpo di caldo.
Durante la giornata in laboratorio non parlò del pesce con nessuno e se ne rimase a osservare le Popillia japonica ancora allo stadio larvale che si contorcevano sulle foglie sotto la luce del neon. Fu sulla sedia della dottoressa Orlandi, la sua psicoterapeuta, che si sentì libero di parlarne per la prima volta. Si stirò i pantaloni con le mani per asciugare il sudore, la voce impastata dall’aria secca del condizionatore.
«Credo di aver avuto un’allucinazione per il caldo.»
La dottoressa, più giovane di lui, lo guardò da dietro i grandi occhiali rossi. Era appena uscita dalla scuola di psicoterapia e Matteo poteva permettersela solo perché era tra i suoi primi pazienti.
«Di che tipo? Era in ansia?»
«No, non mi pare. Non mi sento quasi mai in ansia.» La dottoressa tamburellò con le unghie sulla scrivania.
«E cosa ha visto?»
«Un pesce.»
La Orlandi si ravviò i capelli dietro le spalle e batté le palpebre più del dovuto, il suo solito tic nervoso.
«Un pesce? Dove e di che tipo?»
Matteo sentì la gola grattare. «Un pesce, un persico probabilmente, è sbucato dall’asfalto mentre camminavo. Era piccolo, azzurrino, come i fantasmi nei cartoni animati.»
«Mmh, e poi? Come si sentiva quando lo ha visto?»
«Ho cercato di ignorarlo, ma quello ha preso a schizzare a destra e sinistra, come se si volesse far vedere.»
Il tic di lei peggiorò.
Può interessarti anche
«Devo ricordarle che non c’era nessun pesce azzurro che voleva farsi vedere, lei ha creato un diversivo. Mi viene in mente la volta in cui le è mancato il fiato quando ha saputo che la quercia di piazza XXIV Maggio era molto malata e sarebbe stata abbattuta. Cosa era successo, era andato a vederla e le è venuto un giramento di testa, giusto?»
Matteo socchiuse gli occhi per allontanare il fastidio. «No, mi mancava l’aria, e poi ho vomitato.»
«Sì esatto, proprio quello. Lei mi ha raccontato varie volte di quanto sia attaccato alla natura. È anche vegano se non sbaglio. Ha mai sentito parlare di ecoansia e solastalgia?»
Matteo fece cenno di no. Le aveva detto almeno dieci volte che era solo vegetariano, ma non c’era verso.
«Stanno emergendo molto tra le nuove generazioni. Ansia del futuro, per questa storia dei cambiamenti climatici, dei ghiacciai che si sciolgono, delle api che muoiono. Una malinconia per il mondo come lo conosciamo, che per quello che ne sappiamo potrebbe non esserci più nel futuro. Tutto in regola con il suo pesciolino azzurro.»
«Ma io non ho l’ansia.»
«Lo dica al pesciolino azzurro.»
La mattina dopo stava facendo colazione in cucina. Il suo coinquilino aveva lasciato la tazza sporca e le briciole di pane sul tavolo, e quando prese in mano il cellulare si rese conto che era pieno di marmellata. Aprì la conversazione con la sua ragazza e scrisse con le mani sporche di frutti rossi.
Può interessarti anche
Michele mi sta rompendo proprio il cazzo 07:36
Buongiorno Bi07:36
Oggi non ne posso più, stasera posso venire da te? 07:36
Stamattina pure la marmellata sul tavolo… 07:36
Ma è coglione?!? 07:37
Nessun problema, avviso le ragazze 07:37
Bianca stava scrivendo, lui affondò il cucchiaio nella tazza di cereali e latte e attese la sua risposta. Avviò il podcast di informazione che ascoltava per finta ogni mattina e iniziò lo scroll dei post di Instagram. A quanto pareva era l’unico a non fare niente nelle serate con quaranta gradi che Milano aveva da offrire. Gli venne voglia di prendere il primo treno per tornare a casa, a Napoli, trascinare Bianca con sé e andare al mare.
Nessun problema, Giada è a un concerto e torna tardi, Mia lavora al ristorante. 7:40
Ma hai sentito dell’acqua? 07:41
Dell’acqua? 07.41
Sì, pare che ci taglino l’acqua 07:41
Ma in che senso? 07.41
Eh non ho capito me lo ha scritto Giada 07.41
Dice che è perché non piove da troppo 07.41
Ma fino a ieri non hanno detto niente da nessuna parte 07.41
Sta registrando un audio…
Può interessarti anche
La voce assonnata di Bianca interruppe quella del podcast: «Ma io non ci ho capito un cazzo di ’sta roba, sto andando in ufficio adesso, se trovi qualcosa poi fammi sapere… Io non so più che piaga manca a questa città. Tu studia gli scarafaggi, che almeno ci salviamo da quelli».
Assurdo. Vedo se riesco a capirci qualcosa e ti faccio sapere. Lascia stare
le povere Popillia. 07:43
Un bacino 07:43
Un baicino 07:44
*bacino 07:44
Ci sentiamo dopo 07:44
Il primo titolo che riuscì a trovare, scrollando la home del browser, risaliva a una ventina di giorni prima:
Lombardia: non piove da un mese
E poi:
Allerta verde: il livello dei fiumi si sta abbassando
E proprio quella mattina:
Aggravamento della siccità.
Razionamento acqua: il sindaco di Milano firma l’ordinanza. Chiusi i rubinetti per Milano dalle 23 alle 6
Ci tolgono l’acqua. 07:56
Stasera. 07:56
A Milano. 07:56
A luglio. 07:56
Benvenuti ai venticinquesimi Hunger Games, possa la fortuna essere
sempre dalla vostra parte. 07:56
Bianca non era online.
Matteo riattivò il podcast e si scolò la tazza di latte con tutti i cereali. Aveva sete.
Rimase a casa. Dopo la pandemia andava in ufficio solo per prendersi cura degli insetti. Chiamò, in ordine, la sua miglior amica, suo padre, sua madre, sua nonna, suo fratello. Da quando si era trasferito, il telefono era diventato l’unica finestra su quella vita lontana che non sembrava appartenergli più. Il tempo si accartocciò e lui rimase steso sul pavimento sporco per tutta la mattinata. Il caldo gli ottundeva i sensi.
E poi gli tornò in mente il pesce.
La gola si seccò all’istante. “Ecoansia” diceva la sua psicoterapeuta, quindi ecoansia doveva essere. Al massimo solastalgia, o quello che era.
Lanciò dallo smartphone l’ultima puntata di una serie che doveva finire da mesi e il televisore si accese di colpo. Per un secondo sentì il presentatore del telegiornale pronunciare la parola “pesci”, poi il telefilm si impossessò della tv. Provò a bloccare la riproduzione e tornare indietro, ma quando il faccione gonfio del giornalista riapparve sullo schermo, la notizia riguardava un murales che assorbiva anidride carbonica in via Brivio.
Digitò nella barra del motore di ricerca del cellulare le parole “pesci” e “Milano” e in molto meno di un secondo la pagina bianca si riempì di articoli.
I pesci saltano fuori dal Naviglio Grande: l’acqua è poca e troppo calda
Navigli invasi dai cadaveri dei pesci
La temperatura fa diminuire l’ossigeno nell’acqua e i pesci saltano fuori dal Naviglio.
Tutti risalivano a quella mattina.
I pesci.
Pesci morti e pesci fantasma.
Sentì le gambe deboli.
Impronta digitale, Contatti, Dott.ssa Orlandi, Chiama.
Passarono alcuni secondi, poi la dottoressa rispose.
«Signor Imbriani, mi dica.»
«Mi scusi dottoressa, ma oggi ho letto delle notizie. Credo che lei abbia ragione riguardo al nostro discorso di ieri sera, penso di soffrire di una qualche forma di disturbo.»
«Si riferisce ai pesci fantasma?»
«Sì, e alla storia dell’ecoansia.»
«Mi ha così suggestionato che ieri pensavo di averne visto uno anch’io di quei pesci.»
«In che senso?» La voce del ragazzo ridotta a un sussurro.
«Ho visto un bagliore sul tram mentre tornavo a casa, era bluastro, ma è stato un secondo.»
Matteo sentì il peso del telefono raddoppiare. La immaginò strizzare gli occhi per il tic.
«Ma non si preoccupi, deve essere stato un colpo di sonno, una suggestione evocata dalla sua.»
«Sì, sì, deve essere così… Mi chiedevo, considerando il periodo che stiamo per affrontare, non ci sarebbe qualcosa per tenere sotto controllo l’ansia?»
«Che periodo? Mi scusi non capisco.»
«La storia del razionamento.»
«Razionamento?»
«Sì, dell’acqua, parte stasera.»
«Mi scusi, non la seguo.»
Matteo si passò una mano dietro il collo sudato, l’angoscia di aver immaginato tutto gli serrava la bocca.
«Io ho sentito che a causa delle poche piogge razioneranno l’acqua.»
«Ne è sicuro? Io non ho sentito niente, in questi giorni non ho avuto troppo modo di informarmi…»
«Non si preoccupi, la capisco.»
«Guardi, ora ho un appuntamento, la chiamo non appena posso.»
«Ok, ok, mi scusi, mi scusi per il disturbo.»
«Di nulla, a presto.» A mai più, magari.
Disteso sul letto, chiuse gli occhi. Aveva bevuto così tanta acqua dopo la telefonata con la dottoressa Orlandi che la sua pancia sembrava un otre. Si concentrò sul respiro, non era abituato ad avere a che fare con l’ansia. Le Popillia avevano l’ansia? E i pesci?
Pesci morti sulle sponde del Naviglio e la decomposizione che lenta iniziava a mangiucchiarne le squame, le pinne, gli occhi e la bocca. Si rigirò, le lenzuola ormai sudate in ogni angolo. Una giornata fatta da un numero incalcolabile di ore.
Prese il telefono. Bianca lavorava, non aveva tempo di scrivergli, e gli altri li aveva già sentiti tutti. Facebook lo intrattenne solo per qualche minuto, una terra in cui nessuno postava più niente. Aprì Twitter, ma non aveva voglia di leggere e poi aveva troppi, troppi pensieri. Scrollò fino all’ultimo post di Instagram che aveva già visto in meno di qualche minuto. Cercò prima l’hashtag “Milano”, convinto di ritrovare subito le foto dei pesci, ma la città si nascondeva bene: le modelle in posa, il museo del Novecento, il Duomo e i piccioni, la Galleria. La mancanza di foto sui Navigli era un chiaro segnale. Nella home l’ultimo post di una testata giornalistica, l’immagine di quello che scoprì essere l’arcivescovo di Milano: “Pregherò la Madonnina perché faccia arrivare un po’ di pioggia”.
Lanciò il telefono fuori dalla sua portata.
Per sicurezza avrebbe dovuto comprare qualche bottiglia d’acqua, come aveva sottolineato sua madre al telefono, ma sapeva già che sarebbe arrivato troppo tardi, probabilmente i bancali giacevano già vuoti al supermercato, ormai era tutta una corsa all’approvvigionamento. Per la pandemia erano finiti i legumi, il lievito, le mascherine e l’alcol, per la guerra la pasta, la farina e le pizze surgelate, ora era il turno dell’acqua e di chissà che altro.
Sarebbe riuscito a farsi una doccia? Aveva ancora qualche ora.
Si spogliò dei vestiti e iniziò a insaponarsi. Il bagno era cieco e ci mise poco a diventare una sauna. Ebbe l’impressione che la pressione dell’acqua fosse più bassa del solito. Sollevò al massimo la manopola, senza risultato. Quanta acqua c’era in quelle condutture, quante docce? Quanti lavaggi di denti? Quanti bicchieri d’acqua?
Il calore del bagno rendeva l’aria pesante, difficile da respirare. Il fiato corto, le gambe molli, l’acqua bollente. Scivolò verso il basso. La schiena contro le mattonelle.
Il pesce fantasma fece capolino dal filtro della doccia pieno di peli e capelli di Michele. Lo guardò negli occhi.
Matteo avvicinò un dito e lo spettro gli nuotò incontro. Aveva un taglio sul labbro superiore, la cicatrice di un amo. Matteo sentì l’aria mancargli nei polmoni e la vista oscurarsi ai margini.
«Ecoansia e solastalgia.»
Il pesce per tutta risposta gli nuotò furioso verso il petto e lo attraversò da parte a parte varie volte. Poi si fermò, a un palmo dal suo naso. La bocca che si apriva e si chiudeva, gli occhi privi di espressione. Matteo, costretto a concentrarsi su quella visione, recuperò lentamente il fiato.
«Dici di no eh? Chi cazzo ci crede alla Orlandi.»
Si rivestì, controllò il meteo – non pioveva, trentasei gradi previsti – e fu subito fuori di casa.
L’asfalto era sciolto in più punti e i motorini parcheggiati ci affogavano come fosse una sabbia mobile. Porta Genova sembrava un deserto postapocalittico al tramonto, non c’era nessuno per strada, a parte le mosche. Gli insetti si agitavano a gruppi, come flotte alla ricerca di una preda. Matteo avvertì la puzza di pesce non appena imboccò la via che portava ai Navigli. Era la cosa peggiore che avesse mai sentito: putrescenza e umidità nell’aria appiccicosa.
Il fantasma azzurrino gli spuntò dalle spalle come se avesse intuito i suoi intenti.
Il livello dell’acqua del Naviglio Grande era meno della metà rispetto al solito. Tutto intorno sulla strada, cadaveri di pesci e qualche operatore ecologico che provava con le mani a raccoglierli. Combattevano contro le mosche con manate esasperate. I volti esanimi per il caldo.
Un guizzo, un salto di qualche metro e un altro pesce si aggiunse a quella silenziosa adunata. Matteo lo vide dibattersi sul selciato, cercare l’ossigeno, il corpo che si contorceva. Qualche istante e poi più niente.
Guardò lo spettro alla sua sinistra, nuotava nell’aria, nei suoi occhi neanche l’ombra di un’emozione.
«È terribile» disse come se il pesce potesse rispondergli.
«Pensi a noi che dobbiamo raccoglierli. Non finiscono mai, e chissà per quanto ne avremo ancora.» La voce veniva dalle sue spalle, un signore sulla cinquantina con il giubbottino della società di raccolta rifiuti lo fissava stupito. Aveva occhi cisposi sotto sopracciglia spesse, e neanche un capello sulla testa. Si scacciò una mosca che gli camminava sulla fronte.
«Posso immaginare.»
L’uomo lo guardò poggiando le mani sul manico di scopa. «Se ne vada da qui, questo non è un posto per giovani.»
Matteo annuì imbarazzato, senza capire realmente a cosa si riferisse. Quello prese a spazzare l’ennesimo cadavere nella paletta di acciaio.
«Vada a divertirsi, che il tempo è poco.»
Più si avvicinavano alla Darsena, più il pesce fantasma nuotava veloce. Matteo faceva fatica a stargli dietro, doveva continuamente saltare i cadaveri. Ogni tanto poteva sentire il rumore del pelo dell’acqua che si rompeva, poi l’impatto del nuovo arrivato sul selciato, qualche battito e di nuovo il silenzio. I pesci morivano uno dopo l’altro.
La sagoma azzurrina deviò verso destra salendo sul ponte Alda Merini e scomparendo dalla sua vista. Il ragazzo ci mise qualche minuto per salire le scale e individuarlo.
Il pesce fantasma si era disteso su uno dei tanti cadaveri, la superficie bluastra che aderiva alle squame e alle pinne, gli occhi vivi che si fondevano con quelli morti. Le branchie però si muovevano solo per il fantasma. Il suo corpo giaceva lì, il colore smorto, consumato dal sole e dal caldo e la cicatrice sul labbro come unico segno di riconoscimento. Le mosche, instancabili, rosicchiavano pezzettino dopo pezzettino, cancellando la traccia fisica di quell’esistenza.
17 luglio
Siccità: il razionamento non basta, bisogna consumare meno acqua
21 luglio
Milano brucia e non c’è acqua per spegnere i roghi: gli incendi nei parchi della città
23 luglio
Accordo con i gestori delle centrali idroelettriche, chiusi i rubinetti per garantire l’acqua potabile, ma l’energia scarseggia
27 luglio
Blackout di sei ore a Milano, aumentano i ricoveri per i colpi di caldo
2 agosto
Milano: rubinetti chiusi per dodici ore al giorno
4 agosto
Ecoansia e suggestione di massa: la storia dei pesci fantasma
5 agosto
Parte il grande esodo, treni pieni abbandonano la città.
Ritardi di ore sulle linee ferroviarie
9 agosto
Alla gentile attenzione di tutti i miei pazienti,
a causa degli ultimi avvenimenti, mi vedo costretta a sospendere la mia attività. Per qualsiasi dubbio o informazione potete scrivermi una mail.
A presto!
Daniela Orlandi 20:00
Nessuna pioggia in città, la distribuzione idrica sospesa dalle ventuno alle dodici: Milano in ginocchio
12 agosto
Milano si ferma: la città del futuro spegne i motori
Ci hanno detto di non andare più in ufficio, stiamo insieme? Giada e Mia sono tornate dai genitori 05:36
Ti vengo a prendere domani mattina. Anch’io sono da solo. 5:42
Posso venire adesso? 05:42
Vengo a prenderti, i mezzi sono fermi. 05:42
Secondo te dobbiamo tornare a casa anche noi? 05:42
Ho paura 05:42
Anch’io. 06:03
Devo tenere sotto controllo l’esperimento. 06:03
13 agosto
Coreomania: ricoverate tredici religiose all’istituto Suore di carità dell’Assunzione: «La Madonna ci ha indicato la via ballando».
Matteo e Bianca erano distesi sul prato riarso dei giardini del parco Solari. Il cielo azzurro senza nuvole, nessun uccello, solo qualche insetto.
«Ti va se andiamo al cinema stasera?» Bianca ruppe il silenzio, sollevandosi sui gomiti.
«Per me è ok, ho sentito che garantiscono tutti almeno uno spettacolo.»
«Almeno ci sarà l’aria condizionata.»
«Non è detto… È da un po’ che non ci andiamo.»
Lei giocherellava con una ciocca dei suoi capelli biondi.
«Fra poco andiamo a casa, ho voglia di farmi un bagno.» Controllò l’orologio al polso.
Matteo la guardò stranito. «Un bagno? Consigliano di fare solo docce.»
«Io ho voglia di farmi un bagno. Dài, andiamo, che abbiamo già sprecato dieci minuti.»
Si incamminarono sotto il sole cocente, voci sconosciute si facevano più forti man mano che si avvicinavano ai palazzi.
«Ma a voi è arrivata l’acqua?»
«No, no. Neanche a lei?»
«Neanche una goccia!»
«Che significa? Signora De Carli, e lei?»
«Forse hanno cambiato gli orari, non è più a mezzogiorno?»
«Niente di niente, non hanno neanche avvisato!»
Matteo e Bianca si fermarono ai piedi di uno degli edifici, tre signore urlavano dai balconcini pieni di piante.
«Non è possibile, ieri al telegiornale non hanno detto niente.»
«E se è finita?»
Poi la più anziana li vide e si portò le mani alla bocca per farsi sentire meglio.
«E al parco? Provate con la fontanella?»
Bianca ricontrollò l’orologio e fissò il ragazzo, lo sguardo spaventato. «Mezzogiorno e dodici. Dovrebbe… Dovrebbe esserci acqua…»
I due corsero alla vedovella. Fu Matteo a premere il bottone di metallo. Neanche una goccia. Poi un principio di materia azzurrina.
Dalla fontana fuoriuscì prima la bocca, poi gli occhi, e infine le branchie, le pinne e la coda. Il ragazzo riconobbe subito la cicatrice che non vedeva da quel giorno sui Navigli. Il pesce lo attraversò lesto, senza degnarlo di uno sguardo. Ma fu solo il primo. Uno dietro l’altro, pesci fantasma colavano dal rubinetto e guizzavano veloci nell’aria. Non c’era più acqua, ma di quegli spettri ce n’erano a centinaia. Un branco di pesci che nuotava nell’aria nella stessa direzione.
Matteo guardò Bianca. Lei non li aveva mai visti prima, e dallo sguardo lui intuì che qualcosa era cambiato. «Li vedi? Li vedi anche tu?»
«Sì…»
Matteo sentì che le voci delle signore ai balconi si erano spente, tutte avevano gli occhi fissi su quella marea azzurra che continuava a sgorgare in silenzio dal rubinetto pubblico.
«Seguiamoli.» Bianca non aveva quasi più voce.
Matteo le prese la mano e iniziarono a correre.
C’erano puzza di bruciato e un caldo infernale. A ogni passo che facevano nella direzione dei pesci, le persone diventavano sempre di più, nasi all’insù e sguardi spaventati. Matteo avvertì un senso di vertigine, per un attimo ebbe paura di svenire.
Una luce dorata fece capolino tra i palazzi e un tanfo di sudore si mischiò all’odore acre di cenere. Quando arrivarono alla quercia di piazza XXIV Maggio le fiamme si levavano alte, erano la chioma dell’albero. Tutto intorno le persone ballavano senza musica, agitandosi intorno all’incendio della pianta antica.
Bianca gli strinse la mano più forte. I pesci fantasma provenivano da tutte le direzioni, sgorgando dalle fontanelle della città. Si tuffavano nell’incendio e scomparivano. Le fiamme cancellavano ciò che rimaneva delle loro esistenze azzurrine. La seconda morte dei pesci fantasma.
Si avvicinarono, premendosi contro i corpi degli altri. Il calore che arrivava a vampate ustionava la faccia. I punti interrogativi che aveva per la testa non trovavano più spazio.
Come i pesci, le persone arrivavano da ogni angolo e cadevano in preda alla frenesia della danza: un secondo prima erano ferme, un secondo dopo diventavano vittime di un sortilegio invisibile. Ballavano ognuno a modo proprio, ritmi diversi. Alcuni urlavano, i corpi sudati si accalcavano l’uno sull’altro, senza mai fermarsi. Gli sguardi assenti, persi chissà dove.
Matteo guardò Bianca.
«Torniamo a casa» disse, ma la ragazza gli aveva già lasciato la mano, gli occhi immersi nelle fiamme.
«Bianca.» Le sfiorò le spalle. «Bianca, torna indietro, dammi la mano.»
Lei sembrò tornare in sé, ma solo per un secondo. «Vuoi sempre fare la cosa giusta. Io però ho voglia di ballare, possiamo ballare per una volta?»
Nonostante la confusione Matteo avvertì che dopo quella decisione nulla sarebbe stato più uguale a prima. Non ci sarebbe stato più un dopo, lo sentiva.
Matteo ripensò alle Popillia japonica in laboratorio. Sarebbe potuto tornare indietro, fare in modo che vivessero la loro vita nella loro teca di vetro, sotto la luce del neon, così come era sempre stato. Era suo dovere. Le immaginò morire, mangiarsi l’una con l’altra e poi perire di fame. Solo per la sua assenza.
Un brivido gli percorse le dita e risalì fino alla spalla. Fare la cosa giusta.
«Andiamo» disse lei, e gli prese la mano.
Le gambe agitate da una nevrosi. “Ecoansia” diceva la sua psicoterapeuta, al massimo solastalgia. “Coreomania” aveva letto dai titoli dei giornali. Lui le fu subito dietro, fino a che non furono immersi tra quei corpi sudati e pieni di vita. Pelle contro pelle, uno sull’altro. Le fiamme sopra di loro.
Matteo sentì la musica impadronirsi delle orecchie, veniva dall’albero, da ogni pesce che si sacrificava per garantire quella festa. Vide i capelli di Bianca, giallo paglia, la pelle arrossata dal sole e le mani che iniziavano a muoversi nell’aria a un ritmo segreto.
In quel momento abdicò. Sentì che tutto sgorgava fuori da lui: quello che era, quello che era stato, quello che sarebbe stato. Andava bene così, abbandonarsi senza scomporsi troppo, accettare l’inaccettabile come i bravi esseri umani avevano sempre fatto. Senza scomodarsi più del dovuto. Una fede incrollabile verso la propria specie, dei delle piccole cose, padroni delle morti altrui.
La danza li avrebbe consacrati per sempre.
L’acqua era finita, e così i pensieri.
(continua in libreria…)
Scopri le nostre Newsletter

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it
