“Oggi se non critichi Milano non sei nessuno”. In tanti, sui media e in rete, negli ultimi tempi stanno evidenziando gli innegabili piccoli e grandi problemi di una città che, da Expo fino allo stop della pandemia, aveva invece conosciuto un’ascesa apparentemente inarrestabile, anche a livello di narrazioni. Da metropoli più “cool” d’Europa a città “da odiare”, da cui fuggire? Allo stesso tempo, al di là degli editoriali e dei commenti sui social, sono molti i libri (saggi ma anche romanzi, oltre a reportage, podcast e newsletter) che in questi ultimi anni stanno provando a raccontare, da punti di vista diversi, le contraddizioni del capoluogo lombardo, cercando di prevedere l’evoluzione dell’attuale fase critica…

Libri, articoli, podcast, reportage e post sulla crisi e le contraddizioni della città…

Oggi se non critichi Milano non sei nessuno, la sintesi di Michele Masneri sul Foglio fotografa efficacemente il mood di questi mesi.

Non è certo il primo pezzo che l’autore dedica al capoluogo lombardo: i suoi reportage e le sue analisi sulla città, in cui ironizza (con lo sguardo di chi, nato a Brescia, vive “prevalentemente” a Roma) sulla metropoli delle contraddizioni, di cui ama cogliere fascino e vizi, trend emergenti e cadute di stile, sono ormai diventati un format giornalistico, che ha fatto il suo debutto a novembre del 2019 (quando la pandemia era ancora dì là da venire). Ci riferiamo a un articolo, diventato allora “virale” e che, a distanza di anni, continua a dividere, sin dal titolo: Contro Milano.

In quel suo “processo” alla città, Masneri, dimostrandosi in anticipo sui tempi (sì perché, come vedremo, neppure quattro anni dopo, è ormai quasi impossibile imbattersi in commenti positivi legati a Milano su giornali, social, tv, libri…) satireggiava su una “città stato”, “emirato felice”, ma al tempo stesso anche “una bolla all’interno della quale sta lievitando un male oscuro: il bluff di una nuova superiorità antropologica“.

L'invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane

In un nuovo articolo, sempre sul Foglio, Masneri parte invece dal saggio-pamphlet L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, firmato per Cronopio da Lucia Tozzi. Un testo quasi esclusivamente critico verso il “modello” Milano che si è imposto da Expo in avanti, e che il Covid ha messo in crisi.

Tozzi, studiosa di politiche urbane e giornalista, già autrice di saggi come City Killers. Per una critica del turismo (Libria, 2020) e Dopo il turismo (nottetempo, 2020), si schiera con nettezza contro il marketing legato a una “città attrattiva, vitale, dinamica”. Per l’autrice, infatti, “dall’Expo in poi i milanesi vengono trattati alla stregua di turisti della propria città. Una città che devono a tutti i costi scoprire, visitare in ogni angolo segreto, e di cui è imperativo essere orgogliosi e soddisfatti. Perché la prima regola per vendere una città sul mercato globale è restituire un’immagine di entusiasmo compatta, collettiva, in cui ogni individuo rappresenta un atomo di energia vibrante. Il buon umore dei cittadini è diventato un elemento preziosissimo, da catturare e oggettivizzare in sondaggi e statistiche sulla qualità della vita e sul benessere percepito”. C’è un però: “In una città in cui le disuguaglianze aumentano, la giustizia educativa langue, i servizi vengono privatizzati, il lavoro è precario e l’aria pessima, diffondere una percezione positiva del benessere e della qualità della vita è un’operazione che richiede un grande dispendio di forze, un nuovo linguaggio intriso di anglismi e tecnicismi e una notevole dose di violenza”.

Sono numerosi gli esempi raccolti dall’autrice in L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane, e certo molte critiche sono condivisibili (e condivise). Nel quarto e ultimo capitolo, “Desiderio”, l’autrice scrive che “Milano vuole a tutti i costi essere desiderata, ma è avviluppata dall’aria patetica di chi non è affatto sicuro di essere desiderabile e teme al primo approccio di essere respinto“. E aggiunge, sempre riferendosi al difficoltoso presente del capoluogo lombardo: “La sua goffaggine è accentuata dall’oscura consapevolezza di offrire una merce di cui non ha più disponibilità: il futuro. I giovani e meno giovani in fuga dai luoghi più depressi dell’Italia, che arrivano carichi di speranza, fanno presto ad accorgersi che non c’è spazio al di sotto di un certo censo. La gerarchia pesa moltissimo. Le possibilità di sfondare, o anche solo di condurre una vita dignitosa, grazie al ‘merito’, sono tornate a essere simili a quelle di Lucien de Rubempré nelle Illusioni perdute, e a Milano a parità di reddito si è molto più poveri che altrove. Tanto che molti, in effetti, se ne vanno. In posti dove almeno si trova una casa a prezzi decenti…”.

Certo non si può dire che negli ultimi tempi Milano goda “di buona stampa”, anzi… Ma a dire il vero già nel pre-pandemia, nonostante le narrazioni mediatiche dominanti, si coglievano i primi scricchiolii, nei discorsi agli aperitivi o davanti alla macchinetta del caffè in ufficio (quando lo smart-working era ancora appannaggio di pochissimi), o nei commenti ai post sui gruppi di quartiere più frequentati di Facebook. Fino a quando non è arrivato il Covid a far esplodere lamentele di ogni sorta (spesso giustificate) e a far emergere problematiche più o meno gravi e fino ad allora rimaste sottotraccia.

Milano gettyeditorial 13-2-2023

Sia chiaro: dalla questione abitativa alle diseguaglianze sociali, dalla sanità pubblica in crisi allo smog, dagli stipendi che restano mediamente troppo bassi (mentre i costi per i cittadini aumentano) ai conti pubblici della città che non sono certo positivi, dal precariato dominante all’inclusione, le problematicità a Milano abbondano.

Possibile, però, che non ci sia neppure una luce, uno spiraglio di speranza? Che tutto sia da buttare nel presente della città, come pure negli anni del pre e post-Expo? Davvero niente di buono è stato fatto e si fa, sia da parte della politica, delle istituzioni e delle fondazioni, sia da parte dell’associazionismo e delle realtà indipendenti?

Ecco, ne L’invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane di aspetti positivi non se ne trovano. Mentre non mancano domande del tipo: “Come mai tante associazioni, tanti intellettuali e attivisti, tanti architetti che pure cercano convintamente di promuovere un’architettura più sostenibile e condivisa, ancora accettano di fare parte di questa macchina della crescita? Quali riti autoipnotici eseguono ogni giorno per nascondere ai propri stessi occhi che i loro murales, le piazzette colorate, i tour, le attività e le feste di quartiere sono i cavalli di Troia della gentrificazione?”. E ancora: “Chi agisce in nome della partecipazione, della critica e della giustizia sociale, perché contribuisce a nutrire la rendita, producendo quella stessa città classista, diseguale ed esclusiva che teoricamente combatte? In che misura pensa di obbedire a una necessità, col cappio alla gola, e quanto invece le sue pulsioni sono contigue a quelle del sistema?”.

In queste settimane certo non stanno mancando gli interventi sulla crisi della città: su Rivista Studio Anna Momigliano si è soffermata su quello che definisce un “nuovo modo di odiare Milano” (“Chiamiamola presa di coscienza, sbatterci il grugno, oppure chiamiamola vibe shift – sono il genere di persona a cui le menate, come dire vibe shift, piacciono -, il punto è che è cambiato qualcosa nel modo in cui i milanesi, un certo tipo di milanesi, percepiscono se stessi e la loro città: la novità sta nel chi odia Milano e nel perché la odia…”).

L’autrice nota: “Ultimamente, la mia bolla s’è riempita di sfoghi contro Milano da parte di gente a cui, tutto sommato, una Milano che corre non dispiacerebbe. Come se ci fossimo accorti, prima gradualmente, e poi tutto d’un colpo, che l’idea di una Milano che funziona in un’Italia che non funziona, di una Milano che continua andare avanti, magari lasciando indietro i più deboli, ma almeno va avanti, insomma che tutto quel mito lì, giusto o sbagliato che fosse, non regge più così tanto…”.

Ha poi rincarato la dose, partendo dall’esperienza personale, Selvaggia Lucarelli sul Fatto Quotidiano: “Vivo Milano da quattordici anni, sono in affitto e non comprerò casa a Milano. É una conclusione amara, sulla scia di un disamoramento graduale e malinconico, di quelli da matrimonio sfibrato, in cui vuoi ancora bene a qualcuno, ma non lo ami più. Ecco, io voglio bene a Milano, ma l’incanto è finito. Non so bene quale sia stato il punto di rottura, forse il giorno in cui mi sono ritrovata con un genitore anziano costretto a trasferirsi qui e ho fatto i conti con quello che significa iniziare una vita in questa città partendo da zero…” (fa riflettere leggere i commenti, centinaia, al post sulla sua pagina Facebook in cui ha ripreso l’articolo).

Dalla Milano “città più cool in Europa” (a proposito, almeno dal punto di vista del turismo internazionale, dopo lo stop forzato degli anni difficili e tragici del Covid, dati alla mano la città si è ripresa alla grande, conquistando soprattutto i giovani) alla Milano “città da odiare”, luogo inospitale da cui fuggire. O almeno così sembrerebbe, a leggere certi articoli e commenti sui social. La verità, come quasi sempre, sta nel mezzo.

Fabio Massa fuga dalla città chiarelettere

Nel febbraio 2021, quando la pandemia era ancora tra le principali preoccupazioni quotidiane della politica e dei cittadini, ed era difficile intravedere una luce, il giornalista Fabio Massa firmava per Chiarelettere Fuga dalla città. Milano-Italia. L’inchiesta sulla metropoli simbolo di un Paese che fatica a rialzarsi. Era la prima della classe, la metropoli più ricca e moderna d’Italia, oggi è una città spenta dal virus. Ma come sarà il domani del capoluogo lombardo?, si chiedeva l’autore. La sua risposta due anni fa? “L’unica alternativa a Milano è una nuova Milano”.

Ora Massa torna a dire la sua in un articolo su Affaritaliani.it: “Oggi tutti a parlare di Milano quanto è brutta. Mode. Ieri tutti a parlare di Milano e a dire quanto era bella, città inclusiva, vera capitale morale dove tutti sono ricchi, affascinanti e soprattutto con un grande senso etico e sociale. Venerabile maestra di stile amministrativo che da qualche mese è stata retrocessa a solita stronza, per dirla con Arbasino”. Per Massa “la metropoli ha un tessuto sociale e una ricchezza profonda che è incredibile. È ancora anni luce avanti rispetto a tutte le altre realtà italiane, ma c’è un trend, una parabola, che non è iniziato oggi, ma che risale a prima del Covid. Oggi quel trend è visibile perché la crisi dell’energia che ha portato all’aggravarsi dei conti pubblici cittadini ha tirato giù il velo. Mentre la narrazione vendeva la luna, il dito indicava i problemi concreti. Hanno tutti comprato la luna, purtroppo. Dopo due anni, la penso ancora alla stessa maniera. Si può fuggire da Milano, e pure disamorarsi come la Lucarelli. Ma si può tornare solo a Milano, purché questa cambi percorso, smetta di specchiarsi nella pozzanghera, come Narciso, e torni a investire sulle idee”.

Non ci sono solo gli editorialisti e i commentatori su giornali, siti e social (senza dimenticare la newsletter di Ester Viola che, non senza ironia, ha ben accompagnato il cambio d’umore tra “vecchi” e “nuovi” milanesi, il cambio nella “narrazione”…).

Negli ultimi anni, a confrontarsi con le contraddizioni, le luci, le ombre, le possibilità e i limiti che inevitabilmente convivono nel racconto di una città come Milano, sono stati diversi romanzi e saggi.

abitare il vortice libri da leggere 2023

Da poche settimane è in libreria per Utet Abitare il vortice – Come le città hanno perduto il senso e come fare per ritrovarlo (Utet). L’autore, Bertram Niessen (ricercatore, progettista, docente e direttore scientifico di cheFare, con cui “si occupa di progettazione culturale, organizzazione di eventi e festival, processi collaborativi online e offline, empowerment di organizzazioni culturali dal basso e advisory per le istituzioni”), indaga il futuro delle metropoli nell’era del dopo-Covid. Nel suo libro (qui un estratto) il caso-Milano non può che trovare ampio spazio (anche attraverso l’esperienza personale dell’autore, che da Grosseto, a diciott’anni, seguendo un pezzo della sua famiglia, si è trasferito in un paese nell’hinterland, “un’esperienza profondamente straniante, non tanto dal punto di vista culturale quanto da quello spaziale. Perché lì il tessuto urbano ti faceva andare completamente fuori di testa…”), ma è interessante soprattutto il confronto con altre metropoli, europee e non solo.

Anche il saggio di Niessen si sofferma, tra le altre cose, sull’impatto del cosiddetto “city branding”: “(…) La rigenerazione urbana derivata dal city branding non esiste solo sul piano materiale, né solo su quello del racconto. Piuttosto, si tratta di una manifestazione ibrida che esiste simultaneamente sul piano materiale, su quello simbolico e su quello finanziario: un ancoraggio concettuale che dà un corpo concreto a flussi di capitali immateriali che circolano. È la manifestazione paradigmatica di un apparente paradosso dell’economia contemporanea, basata sull’interconnessione di elementi materiali e immateriali”.

città Milano GettyEditorial 13-3-2023

In Abitare il vortice non mancano le pagine dedicate ai processi di gentrificazione, che diventano sempre più veloci, come nel caso della zona di Milano tra viale Monza e viale Padova. Niessen scrive: “Ho abitato brevemente anche lì, a più riprese, negli anni zero. Era considerata un’area depressa e senza nessuna attrattiva, un triangolo tra la malfamata Stazione Centrale e due vie ad alto scorrimento che imbottigliavano i pendolari in entrata e in uscita. Alcune case erano molto belle, un po’ liberty e un po’ case operaie con i ballatoi, ma era quasi tutto decrepito, non c’erano ascensori e in alcune situazioni nemmeno i bagni in casa. La notte facevo fatica a addormentarmi perché pusher e clienti passavano il tempo a tirarsi le bottiglie. Con la crisi finanziaria che nel 2007-2008 segnò tutto il mercato immobiliare cittadino, quel quartiere in particolare subì un tracollo dei prezzi, molto più significativo del resto della città. Questo dette il via al meccanismo “standard” della gentrificazione, accelerato però da un’operazione a tavolino di marketing territoriale a opera di tre designer di area milanese: Francesco Cavalli, Luisa Milani e Walter Molteni intorno al 2012 – un po’ per gioco e un po’ no – coniarono il nome NoLo (North of Loreto, a Nord di Loreto) sulla falsariga di acronimi simili come SoHo (South of Houston Street, a sud di Houston Street) o Tribeca (Triangle Below Canal Street, il triangolo sotto Canal Street). Il gioco piacque, iniziò a circolare in forma virale e in breve tempo venne adottato anche da Google Maps e, infine, anche dal Comune di Milano. Dopo 5 anni, trovare casa a NoLo era diventato possibile solo per i benestanti. D’altro canto, nel corso degli ultimi anni la gentrificazione ha cominciato ad avere un ritmo sempre più serrato. Tornare in alcune città europee a distanza di soli due o tre anni è un’esperienza disturbante perché i negozietti, i ristoranti, le gallerie d’arte hanno iniziato inquietantemente ad assomigliarsi tutti. Ad assomigliarsi tra loro nella stessa città, in un tentativo di emulazione dell’autenticità che produce spazi-fotocopia. E ad assomigliarsi tra loro tra città diverse e paesi diversi, perché più il mercato si allarga più nascono franchise, catene, imitazioni internazionali. Ed ecco che nel giro di poco tempo quelle caratteristiche di unicità e autenticità che hanno decretato il successo del quartiere iniziano a diluirsi in una fruizione dello spazio sempre più orientata a un uso dello spazio mordi e fuggi da parte di consumatori che non hanno niente a che fare con le caratteristiche originali dello spazio, come i turisti o gli appassionati di shopping da centro commerciale. Negli anni, la gentrificazione ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio, agganciandosi indissolubilmente ai processi di place branding e divenendo un meccanismo sempre più veloce e  diffuso, ricercato, pianificato e concertato a tavolino da attori pubblici e privati, cioè pubblica amministrazione e grandi proprietari immobiliari. L’atmosfera ‘autentica’ e ‘bohemien’ dei quartieri è divenuta un elemento fisso delle campagne di vendita delle agenzie immobiliari, e quando i quartieri ne sono sprovvisti viene prodotta in vitro…”.

Tra i principali protagonisti di questa tendenza, Airbnb. A proposito, anche all’impatto (su Milano e più in generale) della piattaforma statunitense sono stati dedicati non pochi interessanti libri (e inchieste giornalistiche)…

Restando ai libri, e detto di alcuni recenti saggi come quelli di Tozzi, Massa e Niessen (molti altri ne potremmo citare), passiamo ai romanzi.

Copertina del libro Trilogia della rabbia, una delle biografie letterarie dedicate a Luciano Bianciardi a cento anni dalla nascita

Se nei mesi scorsi il centenario dalla nascita dell’autore ha spinto molti a ricordare, e ci si augura anche a (ri)leggere, La vita Agra di Luciano Bianciardi, va detto che non pochi romanzi italiani degli ultimi anni hanno come sfondo Milano e il suo hinterland: come non citare Jonathan Bazzi, classe ’85, cresciuto nella periferia sud della città, a Rozzano, che ha debuttato nel 2019 con Febbre (Fandango), in cui ha raccontato la scoperta della sieropositività e la non certo facile adolescenza a Rozzangeles, luogo ostico e da cui scappare?

Bazzi è poi tornato in libreria l’anno scorso con Corpi minori (Mondadori), “un testo corale che si srotola tra le strade di Milano raccontando le conseguenze dell’amore e dell’età adulta” (qui la nostra intervista, ndr). Negli ultimi mesi, tra l’altro, in più occasioni l’autore ha polemizzato contro il caro affitti in città (“Inizio a pensare che il mio futuro non sarà più qui”).

 Febbre di Jonathan Bazzi

C’è poi la Milano narrata da Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio (redattrice de ilLibraio.it, ndr) nel loro romanzo d’esordio (scritto a quattro mani) Non è questo che sognavo da bambina, uscito per Garzanti nell’autunno del 2021. Un libro generazionale, che ha per protagonista la 25enne fuorisede Ida e che parla, in chiave tragicomica, di precariato giovanile, stage in agenzie di comunicazione (in cui domina il gergo del marketing digitale), di sbronze e innamoramenti, di amicizia, invidie e delusioni, e in cui i quartieri e i locali frequentati da Ida giocano un ruolo centrale nella trama: “Milano? L’abbiamo dipinta con tratti crudeli – l’affitto caro, e via dicendo – ma l’averla ricostruita così dettagliatamente è comunque un gesto quasi d’amore. Il nostro sguardo è curioso rispetto alla città, rispecchia il modo contraddittorio con cui noi ci rapportiamo a Milano. Il costo, la corsa alla performance: Ida si ritrova sempre a dover performare, e questo atteggiamento ci viene effettivamente trasmesso. Intenzionalmente però non voleva essere un ritratto del tutto negativo, ma riflettere quello che abbiamo vissuto. La città la spinge al massimo, ma talvolta la accoglie anche, specie nei momenti fuori dall’ufficio, quando si prende più spazio. Non solo attraverso i locali, ma entra nella narrazione anche attraverso le descrizioni del clima. Milano alla fine è anche la sua casa“, hanno spiegato le autrici a Limina.

copertina del romanzo non è questo che sognavo da bambina

Milano fa da sfondo a un altro debutto narrativo recente, Il profilo dell’altra, romanzo di Irene Graziosi edito da e/o uscito lo scorso anno (qui la nostra intervista, nrd): una storia di formazione e di amicizia che mostra da vicino l’impatto delle nuove dinamiche nell’era dei social e dei creator (influencer non usa più, soprattutto a Milano!).

Nel 2021 l’autrice, oggi responsabile editoriale della nuova rivista digitale lucysullacultura.com (che ha sede in zona Stazione Centrale), e che in precedenza si è occupata del progetto Venti (con Sofia Viscardi), aveva parlato del suo rapporto con Milano, in cui è arrivata nel 2015, in un’intervista con il magazine Zero: “(…) Ho visto Milano cambiare nel tempo. Lo scorso anno, quando tutto si è fermato, Milano era frenetica. Fermarmi è stato incredibile: ho capito molte cose su me stessa, come volevo vivere, e anche sulle questioni politiche…”. E ancora: “La politica milanese sacrifica in nome del glamour e della comunicazione l’autenticità dei luoghi. Milano è iper privatizzata, è stata venduta a pezzi ai migliori offerenti. Ci sono marchi che brandizzano interi quartieri, metro, disegni sui muri, per le strade. Tutta la città è spazio pubblicitario, respiri l’aria della comunicazione costante. Milano è faticosa da questo punto di vista…”.

copertina del libro il profilo dell'altra

Si potrebbero fare molti altri esempi di opere narrative pubblicate di recente che vedono co-protagonista il capoluogo lombardo nella sua contrastante versione contemporanea (basti pensare al noir, che per definizione sa mostrare i lati oscuri delle città. E se negli anni ’60 spiccavano i gialli di Giorgio Scerbanenco, con le indagini di l’investigatore Duca Lamberti, e più avanti sono arrivati diversi altri autori noir, Guanda negli ultimi due anni ha pubblicato con successo i primi due romanzi di Gian Andrea Cerone, Le notti senza sonno e Il trattamento del silenzio, che vedono indagare l’UACV, l’Unità di Analisi del Crimine Violento. Certo servirebbe un altro articolo per approfondire la narrativa noir che negli ultimi decenni è riuscita efficacemente a mostrare ambiguità e storture del capoluogo lombardo…).

“(…) Negli ultimi due decenni è stato ridisegnato lo skyline, e con lui interi quartieri. La Milano della nebbia e del panettone è sparita. È passata anche quella da bere, delle televisioni, sostituita oggi da quella della moda, del design, degli influencer e delle week. Le fabbriche sono location o coworking. In un paese spesso rivolto a un passato glorioso e a tradizioni eterne, è facile deridere una città che abbraccia il nuovo senza troppi pensieri, perché l’età dell’oro per i milanesi è sempre domani. E in questa corsa verso il futuro Milano non guarda in faccia a nessuno perché, da vera seduttrice, non giudica ma si specchia negli occhi di chi guarda: accogliente o terribile, attraente o respingente, liberatoria o fagocitante, aperta o omologata…”.

the passenger milano

È stato presentato così il numero dedicato a Milano dalla rivista The Passenger, edita da Iperborea,  uscito a novembre 2022. Tra i contributi, quelli di autrici e autori come Gianni Biondillo, Ivan Carozzi, Paolo Cognetti e Nadeesha Uyangoda. Spazio, tra gli altri, a un reportage di Marco Missiroli, che nei suoi ultimi romanzi, Fedeltà e Avere tutto (entrambi editi da Einaudi) ha dedicato pagine significative alla Milano di oggi.

Sottobosco orizzontale. Milano

Alla città (e soprattutto ai suoi lati oscuri) non sono dedicati solo articoli, video, post sui social e libri, ma anche podcast: l’ultimo arrivato è Sottobosco orizzontale, che Carlo Annese ha realizzato con Marta Cosentino e prodotto, con la sua Piano P, per Rai Radio3: si tratta di una serie che, in cinque episodi, cerca di “raccontare i margini di una città sempre più polarizzata e per molti insostenibile“. Scrive Annese: “Anziché fare analisi a tavolino e immaginare scenari, siamo andati nelle case, nei cortili e nelle strade a registrare voci e suoni autentici, per descrivere la situazione reale attraverso l’esperienza di chi la vive. Più di venti testimonianze diverse, dal Giambellino a piazza Stuparich, dal quartiere Lulli-Porpora a piazzale Selinunte, dalla coda infinita per il Pane Quotidiano alla consegna dei pacchi alimentari a Primaticcio, dall’occupazione delle ex docce pubbliche di via Esterle a quella di un ex stabilimento farmaceutico di Cinisello Balsamo”.

Prima della rivolta Michele Turazzi

Questo sul complicato presente. E il futuro? Prova a immaginarlo Michele Turazzi, in uscita per nottetempo con il noir (“ambientato in un futuro ipotetico ma non improbabile”) Prima della rivolta. La trama non ci porta neanche troppo in là, nel 2045, tra 22 anni, quando gli effetti del riscaldamento globale sono ormai estremi (il mare ha conquistato le coste, la Pianura Padana sperimenta temperature eccezionalmente alte, le giornate torride si alternano a estenuanti periodi di piogge…): colpita da una spinta migratoria sempre più forte, la Milano immaginata da Turazzi, classe ‘86 e già autore del reportage narrativo Milano di carta (il Palindromo, 2018), è ormai “una città sovrappopolata e scossa da pulsioni sociali contrastanti”: da un lato gli Antagonisti, che propugnano l’avvento di un nuovo socialismo; dall’altro i Frontisti, che vogliono preservare lo status quo; in mezzo, un’immensa massa anonima che cerca di sopravvivere un giorno alla volta

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