“Il libro parla abbastanza poco di razionalità, moltissimo di emotività. Gli scacchi sono senz’altro un gioco intelligente, ma i giocatori sono esseri umani e dalle loro varie imperfezioni, paure, superstizioni, manie, reazioni irrazionali c’è moltissimo da imparare, perché sono le stesse emozioni che proviamo noi, giocatori della vita”. Lo scrittore Raul Montanari parla con ilLibraio.it del suo nuovo libro, “L’amore non è un arrocco – Capire la vita grazie agli scacchi”: “Non c’è nessun bisogno di conoscere il gioco per appassionarsi a questa lettura e divertirsi anche molto” – L’intervista
Quando parliamo di Raul Montanari, scrittore (e direttore di un’apprezzata scuola di scrittura creativa) classe 1959, parliamo di un autore con una trentina fra romanzi, saggi e libri di racconti all’attivo. Uno scrittore prolifico, dunque, che ha firmato anche opere teatrali, sceneggiature e importanti traduzioni dalle lingue classiche e moderne, da Sofocle a Shakespeare, da Poe a Cormac McCarthy.
Montanari pubblica ora con Baldini + Castoldi un (breve) libro molto particolare, L’amore non è un arrocco – Capire la vita grazie agli scacchi, un testo in cui il nostro “intreccia gli scacchi con la vita” (Dario Voltolini), infiltrando “la razionalità dei primi nella seconda e accoglie l’imponderabilità di questa nei primi”.
Premessa importante: per apprezzare (e capire) L’amore non è un arrocco non c’è nessun bisogno di conoscere le regole degli scacchi. Del resto, l’autore stesso, a cui abbiamo posto alcune domande, ci tiene a precisare: “Che c’entro io con gli scacchi? È presto detto, la storia tragicomica di una vocazione fallita…”.
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Montanari, il libro è dedicato alla memoria di Rosolino Feraboli, “che per noi era semplicemente Rosolino e lavorava al bar della Società Scacchistica Milanese, il club che ho frequentato dai tredici ai sedici anni”: come scrive all’inizio, fu il primo a dirle, “con una delicatezza indimenticabile”, che non aveva il talento per diventare un campione. Ovviamente lei non la prese bene… ma come cambiò, da quel giorno, il suo rapporto con gli scacchi?
“Le rispondo con un’immagine: quel giorno alzai la testa dalla scacchiera e mi accorsi di due cose. Che da tre anni non facevo che studiare la tecnica e la psicologia del gioco, tutte le sue sottigliezze, ma nel frattempo la vita era andata avanti, dentro e fuori di me. Mi resi conto però anche del fatto che il mio modo di guardare il mondo era cambiato grazie agli scacchi, perché mi avevano dato strumenti più potenti e più sottili per capire me stesso e gli altri. Sono quelli che metto a disposizione di chi leggerà il libro”.
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Visti i risultati, dagli scacchi ripiegò sulla letteratura. I primi le hanno insegnato a “prendere decisioni più razionali, imparare ad analizzare le situazioni della vita come se fossero posizioni sulla scacchiera, essere obiettivo nei giudizi, formulare piani ingegnosi per risolvere i problemi e così via”. Invece cos’ha imparato dalla scrittura?
“Questa è una bellissima domanda. Di solito si pensa che sia il lettore a imparare dal libro che legge, ma in realtà anche l’autore impara dal libro che scrive. Che cosa? A pensare il mondo in forma narrativa. Per esempio, tutti sappiamo cos’è la gelosia: è un’emozione che proviamo, in diverse forme, fin da quando siamo bambini. Eppure se uno scrittore mette in scena dei personaggi e li pone nella condizione di vivere questo sentimento, costringe se stesso a ‘pensare’ la gelosia in un modo diverso, perfino sorprendente, che gli insegna qualcosa in più. Certo ci vuole molta onestà narrativa: lo scrittore deve lasciare che i personaggi agiscano secondo la loro natura al punto di scappargli di mano, senza obbligarli a eseguire come burattini la trama che lui ha in mente per loro”.
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Lei spiega: “Un’eredità preziosa che gli scacchi mi hanno lasciato è stata questa scoperta: ci sono alcune grandi leggi strategiche e psicologiche del gioco, riguardanti sia l’approccio generale alla partita sia i meccanismi decisionali che stanno dietro ogni mossa, che si applicano perfettamente alla vita. Trascendono gli scacchi e diventano proposte sapienziali, aforismi offerti alla meditazione, ispirazioni capaci di guidarci nel nostro viaggio nel mondo”. Ha scritto questo libro, a metà tra saggio e manuale, per offrire, in 33 brevi capitoli, spunti utili alla vita di tutti i giorni: che reazioni sta ricevendo?
“La prima reazione è la sorpresa. Molte persone hanno preso in mano il libro con un po’ di diffidenza, dicendo: ‘Io però non gioco a scacchi, io non so niente degli scacchi’, e hanno scoperto che davvero non c’è nessun bisogno di conoscere il gioco per appassionarsi a questa lettura e divertirsi anche molto. Poi quello che sta colpendo i lettori è l’aspetto narrativo di quello che si presenta com un ‘saggio’ ma è pieno di racconti, aneddoti, confessioni personali. Infine la scoperta più importante: il libro parla abbastanza poco di razionalità, moltissimo di emotività. Gli scacchi sono senz’altro un gioco intelligente, ma i giocatori sono esseri umani e dalle loro varie imperfezioni, paure, superstizioni, manie, reazioni irrazionali c’è moltissimo da imparare perché sono le stesse emozioni che proviamo noi, giocatori della vita”.
Un’ultima curiosità, quali sono i romanzi in cui gli scacchi giocano un ruolo importante che ha più amato?
“L’elenco sarebbe lungo ma ne voglio citare uno solo: La difesa di Luzin del grande Vladimir Nabokov. Penso di aver letto tutti i romanzi che trattano il tema, ma questo è forse l’unico che resiste alla tentazione di appoggiarsi troppo scopertamente agli aspetti simbolici degli scacchi, col risultato di darne una visione ingenua. Se dovessi consigliare invece un libro di cui gli scacchi sono il cuore nascosto, cioè ispirano la storia e perfino il titolo pur non essendo esplicitamente citati, sarebbe Il giocatore invisibile di Giuseppe Pontiggia”.
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