Francesco Pecoraro torna al romanzo con “Solo vera è l’estate”, ambientato all’ombra del G8 di Genova. Un libro, di cui pubblichiamo un estratto, che ci riporta all’estate del 2001…

Giacomo, Enzo, Filippo sono amici, uniti da un legame che risale ai tempi dell’antagonismo giovanile svaporati in un incerto, precario tentativo di stabilità borghese. Sono legati da Biba, il polo invisibile della loro cerchia di conforto.

È il 20 luglio 2001, Roma è stesa sotto la coltre d’afa di un’estate immobile. Enzo, Giacomo e Filippo sono diretti verso Anzio, una serata come mille altre. È il 20 luglio 2001, e in macchina sulla Pontina verso il mare la radio passa le cronache del G8 a Genova. Biba è lì, partita con l’idea di vedere cosa succede, si ritrova testimone diretta della macelleria dei suoi coetanei. Sopraffatta dall’odore del sangue, dai corpi annientati dallo Stato, seduta in Piazza Alimonda dove un lenzuolo bianco steso a terra segnala la fine della speranza, Biba prova solo paura e disaffezione e decide di non restare un minuto in più, di tornare a Roma: meglio, ad Anzio, dove i tre amici sono riuniti nella loro piccola bolla di conforto a casa dei genitori di Enzo. La mattina del 21 luglio li vede riuniti forse per l’ultima volta nel loro assetto regolare: Biba racconta quel che ha visto… niente sarà più come prima, niente cambierà mai davvero…

francesco pecoraro

Francesco Pecoraro, romano, scrive da una ventina d’anni, poesie, saggi su arte e architettura pubblicati da riviste specializzate e racconti. Con il suo romanzo La vita in tempo di pace (Ponte alle Grazie) è stato finalista al Premio Strega 2014 e ha vinto il Viareggio. Sempre per Ponte alle Grazie sono usciti Lo stradone (2019) e i racconti di Camere e Stanze (2021).

Ora Pecoraro torna al romanzo con Solo vera è l’estate, il ritratto di una generazione sconfitta.

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

Enzo

Su questo pianeta la vita di solito sopravvive in quel piccolo intervallo di temperatura dove si colloca l’acqua in forma liquida, tra ebollizione e congelamento. Ma per gli umani l’intervallo di sopravvivenza è più ristretto, pressappoco una cinquantina di gradi centigradi sopra lo zero e una trentina sotto, forse meno, anzi sicuramente meno, mentre il comfort, cioè lo stare bene, ci è concesso solo tra i 15 e i 25 gradi. Sotto i 15 abbiamo freddo, sopra i 25 abbiamo caldo, mentre l’umidità è preferibile sia tra il 45 e il 75%. Perché le cose stiano così non si sa.

Si sa che a luglio dalle nostre parti, quando si installa l’anticiclone delle Azzorre, noi cattolici e mediterranei si rimane dentro una specie di bolla d’alta pressione, un’immensa vescica d’aria calda e ferma che ci isola dalle correnti settentrionali, quelle che trascinano le nuvole veloci sui cieli del Nord, là dove Europa è diversa e verde e morale e piena ancora di cervi e di protestanti, cosparsa di crocifissi cinquecenteschi ulcerati e sofferenti al limite della concezione realistica del dolore, che noi bellamente neghiamo. Così, imprigionati dentro le nostre trappole climatico-culturali, per difenderci dalla cappa di calore non ci resta che esporci alle deboli brezze serali, oppure rinchiuderci in ambienti climatizzati, oppure meglio cercare il mare, andare verso il mare, restare il più possibile nell’acqua e dentro la brezza della riva, in attesa che la bolla di alta pressione scoppi, portandosi via anche l’estate.

Perché è dell’Estate che stiamo parlando, cioè della stagione che per noi è stata definita «identitaria», l’unica che i catto-mediterranei ritengono valga la pena di vivere, eventualmente soffrendo, ma di una sofferenza che è anche piacere. Piacere del caldo, del sudore, di bermuda & infradito, della spossatezza e dei sonni meridiani, delle serate lunghe, all’aperto, seduti ai tavolini di bar e ristoranti, in piazze e piazzette che in questa stagione si svelano ogni volta accoglienti, intime, vivibili, i negozi chiusi, le voci, le risate delle donne.

Oggi si è andati vicini al limite termico superiore, ma grazie ai complicati meccanismi di termo-regolazione di cui siamo dotati, quasi tutti sono riusciti a reggere anche questa giornata. Ma come al solito qualcuno non ce l’ha fatta: un certo numero di anziani, privi di aria condizionata o incapaci di accenderla e di regolarla, sono andati in ipertermia e sono morti.

Nel primo pomeriggio ci saranno stati 35 gradi. Umidità attorno al 70%. Un inferno. I condizionatori dei negozi su strada tutto il giorno hanno sparso sul marciapiede di questa grande antica città periferica rigagnoli di condensa. È brutto quel bagnaticcio che già comincia a bordarsi di un’alga verdissima e aliena. Si tratta di acqua distillata dai corpi umani presenti nei locali climatizzati, acqua in precedenza bevuta e poi sudata e traspirata e dunque evaporata nell’aria e poi catturata e riconvertita in forma liquida e pura, quindi sversata sull’asfalto, dove si ricontamina e fa il verde. Penso questo, di quell’acqua.

Oggi, 20 luglio dell’anno globale 2001, fatale e ormai perso nel tempo e tuttavia dopo tanti anni ancora – come tutto ciò che accade, o viene fatto accadere – storicamente operativo, dicevo oggi fa molto caldo in tutta la Penisola, a Genova come a Roma. Un mese fa si è insediato il governo Berlusconi II, che tuttora risulta il più lungo della storia della Repubblica e quello che maggiormente ha inciso sulla mentalità e sul futuro del Paese.

A Enzo forse importerebbe qualcosa del Berlusconi II, non fosse per le mille cose su cui è impegnato e da cui è distratto. Poche quelle essenziali per le sue ambizioni e per il suo vivere, molte le altre, roteanti nella Rete in fase di rapidissima espansione e già capace di sostituirsi a quasi tutto ciò che ancora esiste nelle tre dimensioni, cui ne conferisce una quarta, quella webbica, forma di esistenza platonica delle cose e delle persone e delle idee e dell’immensa quantità di cazzate che l’umano è capace di produrre, che vanno rapidissimamente mescolandosi assieme nel cyber-spazio fino a regalarci, dopo vent’anni, l’inestricabile dimensione fisico-mentale dell’oggi.

In questi anni sta cominciando qualcosa di grosso e sta finendo molto altro, tra cui la civiltà borghese, che ha guidato la democrazia italiana dal Dopoguerra fino alla fine del XX secolo. Da qui a due mesi il mondo sarà sconvolto da qualcosa di ancora più grosso, da cui deriveranno la seconda guerra in Iraq e l’Afghanistan e l’Iran e la Siria e Guantanamo e l’ISIS e Londra e Atocha e Charlie Hebdo e Bataclan e centinaia di bombardamenti e migliaia di missili e di attentati, di atrocità, morti, ferimenti sgozzamenti decapitazioni, migrazioni di massa, in una catena di conflitti che ancora dura e che è difficile lasciare fuori dai libri che si stanno scrivendo, anche se molti ci riescono lo stesso. Tra le ultime cose che fino al 20 luglio 2001 la civiltà borghese novecentesca ha prodotto c’è il movimento no-global. Bisogna studiarlo bene per capire cosa c’è dentro, ma a uno sguardo superficiale si può dire che ancora contiene elementi di analisi del presente messi insieme su base ideologica e con una certa coerenza di dati. Nel luglio del 2001, dopo la conferenza internazionale di Seattle del ’99 e gli scontri fisici che ne sono seguiti, il pensiero no-global gode di un certo riscontro tra le masse, giovanili e non.

Come sempre in questi casi, sull’essere più o meno coscienti dei problemi globali posti dalla nuova fase di un capitalismo in perenne ristrutturazione, tra i giovani la vince l’essere cool del movimento. Niente nella vita giovanile del XX e del XXI secolo è stato importante come il riflesso gregario dell’essere cool, o essere considerati tali nella propria casa di appartenenza politica e sub-culturale. Contro la forza super-nazionale del capitalismo – pure matrice di situazioni affascinanti, come la mobilità globale, la lingua franca dell’Impero e l’aumento esponenziale della connettività – i no-global sono pacifisti, ambientalisti, fautori dello sviluppo sostenibile (parola già in uso da anni), propongono il consumo critico, la de-crescita felice, sono anti-proibizionisti e contrari all’alta velocità ferroviaria – in Italia soprattutto simbolizzata dalla tratta Torino-Lione – ma non all’aumento esponenziale dei viaggi aerei, di cui solo dopo un decennio si prenderà coscienza dell’enorme spreco di energia.

Fin da giovedì 19 luglio una grande massa di persone, ormai genericamente definite no-global, sta confluendo a Genova per opporsi al G8, in cui vedono ciò che effettivamente è: un luogo di coordinamento della politica internazionale e di chi ne regge le fila, in definitiva del grande capitale finanziario. Non occorrono prove per questa affermazione. I no-global lo sanno. Lo sanno tutti.

Al governo Berlusconi II occorre invece mostrare di saper controllare la situazione e possibilmente stroncare il movimento sul nascere. Non tanto perché ritenuto pericoloso, quanto perché si capisca chi è che adesso comanda. Per fare questo lavoro ci sono il vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini, presente in quei giorni a Genova, il ministro degli Interni Pisanu, carabinieri e forze di polizia incoraggiati ad agire dal senso di immunità indotto dall’aria di destra neo-fascista che si respira nelle caserme, dove gli agenti già da mesi si salutano aperta- mente a braccio alzato e mano tesa. Dire la Storia così come la sto dicendo ha il puro scopo di evocare un clima, un grande caldo di sangue e l’incredibile violenza dello Stato, mai davvero punita nei suoi reali responsabili…

© 2023 Adriano Salani Editore – Milano

(continua in libreria…)

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