“Per quanto infelici possiamo sentirci, abbiamo il potere di scegliere la felicità. Essere felici non è un colpo di fortuna: ci sono sofferenze che non scegliamo, ma a volte siamo noi a generarne altre. Il dolore non è (solo) un’ingiustizia: esiste anche per spingerci a tirare fuori la parte migliore di noi, per superarlo”. Quello di Gaia Rayneri è “Un libro di guarigione” dove la guarigione non è solo quella dell’autrice ma è anche, e soprattutto, quella di ognuno di noi. “Se superiamo le nostre ferite, la vita ha una fonte inesauribile d’amore da offrirci: quella può diventare la nostra nuova fonte di felicità permanente”, racconta la scrittrice, intervistata da ilLibraio.it

Disturbo borderline di personalità“. Questa è la diagnosi che viene consegnata a Gaia all’età di ventiquattro anni. Con i suoi ventiquattro anni, Gaia ha con sé anche la sua indipendenza economica, una casa in cui vive da sola, dei buoni amici e un libro di successo appena pubblicato, Pulce non c’è (Einaudi, da cui, a proposito di successo, è stato tratto anche un film). E poi, Gaia ha dentro un dolore grande che spesso le toglie ogni energia, anche quella che serve per vivere.

Così, nella diagnosi di “borderline”, che finalmente dà un nome alla sua sofferenza, Gaia si rifugia cercando – con rigore quasi scientifico – una cura tra i sintomi elencati nel DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).

Oggi Gaia di anni ne ha trentasei e, in questo tempo, ha trasformato i suoi sintomi in draghi. Draghi perché fanno paura, è vero, ma – insieme – nascondono tesori straordinari, come insegnano miti classici e leggende antiche. È di questi draghi che l’autrice racconta in Un libro di guarigione (HarperCollins Italia), libro che è il suo libro di guarigione ma che è anche, e soprattutto, il nostro.

Nelle oltre trecento pagine – pietre preziose da custodire sul comodino, a massimo un braccio allungato di distanza – Gaia Rayneri attraversa le risposte della psicoterapia, l’attenzione al corpo della meditazione orientale, il respiro profondo della mindfulness e le definizioni di Freud, Jung, Seneca e Foucault. Ma, soprattutto, attraversa il dolore come unica via verso una felicità vera, più grande di un solo, unico, momento di leggerezza. Felicità che lei oggi conosce, malgrado le previsioni.

Un libro di guarigione ci insegna che la sofferenza non è malattia ma è vita, ed è nostra la responsabilità di imparalo. Un libro di guarigione ci insegna che, come esseri umani, siamo tanto immensi da non poter stare in definizioni da manuale e che, per questo, abbiamo il dovere di ascoltarci per esistere, al di là di diagnosi e giudizi.
E, ancora, Un libro di guarigione parla di lavoro, di identità di genere, di tempo, di paure, di corpo, di aspettative e, in definitiva, di amore. Un libro di guarigione parla di vita e, per questo, ha dentro proprio tutto.

Rayneri_UnLibroDiGuarigione

Come sta?
“Grazie per questa domanda, così semplice ma così potente. Sono diventata una persona felice, anche se sembrava fossi condannata a vivere con un disturbo incurabile. La mia felicità è fatta di momenti di gioia, e di altri in cui posso solo accettare che il dolore fa parte della vita. Ma ora so che spesso attraversarlo è un modo per preparare il terreno a una felicità sempre più grande”.

Questo non è solo un libro ma è un Libro di guarigione. Cosa ha significato scriverlo?
“Prima di tutto liberarmi da uno stigma, da una visione che mi incasellava: quella che accomuna il dolore alla malattia, e che mi aveva convinta che in me ci fosse qualcosa che non andava, che fossi un po’ strana o ‘matta’. Poco a poco, scrivendo, ho cominciato a capire che la mia unicità, come quella di ognuno di noi, non era da correggere, ma era un superpotere. Dovevo solo abbracciarla fino in fondo, avere il coraggio di viverla e proteggerla. Così, ho cominciato a prendere consapevolezza che la ‘mia’ guarigione non era solo la mia, ma poteva diventare una guarigione anche per gli altri. È stato come scavare dentro di me per liberare il terreno dalle macerie, dal dolore che avevo vissuto e dal modo in cui avevo cercato di curarlo, per raggiungere una fonte di energia sempre più profonda: la connessione con il mio sé più autentico, la mia anima, la forma della vita”.

Il suo è un libro autobiografico e che, quindi, parla di lei. In realtà, però, è un libro che più che mai parla di e a chi lo legge. A dimostrare questo dialogo c’è un’introduzione che spiega al lettore come affrontare le pagine. Se dovesse scegliere un insegnamento, un consiglio cardine da consegnare ai lettori, quale sarebbe?
“Che per quanto infelici possiamo sentirci, abbiamo il potere di scegliere la felicità. Essere felici non è un colpo di fortuna: ci sono sofferenze che non scegliamo, ma a volte siamo noi a generarne altre. Il dolore non è (solo) un’ingiustizia: esiste anche per spingerci a tirare fuori la parte migliore di noi, per superarlo. Al tempo stesso, la felicità non è un traguardo da raggiungere, ma qualcosa che possiamo generare in ogni istante del nostro cammino, prima di tutto con la consapevolezza. Credo che tutti vorremmo vivere in un mondo più felice, ma per crearlo possiamo mettere in circolo la felicità per primi: lavorando su noi stessi e generando sempre più benessere e luce da offrire a noi e a chi è intorno a noi”.

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In Oceano Mare Baricco fa dire a una delle sue protagoniste, una bambina tanto fragile da non essere compatibile con la vita: “Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c’è, tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela, io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio. Ce la farò, vero?”.  Ecco, allo stesso modo la vita che racconta nel libro, che poi è la sua, è fatta di lunghi anni e molti momenti di buio ma anche, e insieme, di una voglia incontenibile di vivere. A un certo punto racconta di aver “cominciato a ringraziare”: per le coperte morbide, per l’acqua calda nella vasca, per il profumo del bagnoschiuma, per il dolore. In più, nei ringraziamenti, scrive questa dedica bellissima: “A tutte le persone che fanno parte del mio cammino, e a quelle che in tutto il mondo stanno lasciando andare la via dei condizionamenti per lasciar risplendere la propria luce”. Oggi, qual è il più grande “grazie” che vorrebbe dire?
“Ci sono tantissime cose a cui sono grata. Per dirne una che le racchiude tutte, sono grata alla vita, al cammino della vita: alle sue leggi invisibili, alla sua struttura profonda, al modo in cui si trasforma quando ci trasformiamo noi, alle sue sfide e al suo nutrimento. E soprattutto al fatto che, se scegliamo l’amore, la vita sembra rispondere con sempre più amore”.

Come racconta, spesso si è mossa all’interno dello spazio di una diagnosi. “Per molti anni, prima di essere un’umana che soffre, io sono stata innanzitutto una borderline”. Le definizioni, che a volte ci danno sollievo perché sembra ci aiutino a trovare un’identità, quasi sempre limitano, soffocano e riducono la complessità che ciascuno di noi è. Oggi, cos’è che la definisce?
“Potrei dire che sono una scrittrice, perché è il mio lavoro e adoro vivere di creatività, ma non sarebbe tutta la verità. Mi sento innanzitutto una persona in continua trasformazione, alle prese con il gioco sacro di scavare nelle proprie ombre per liberare sempre più luce. Quando scrivo, scrivo prima di tutto per dare voce a questa luce”.

Domanda usata e abusata ma che, a lei, è necessaria: cos’è la felicità?
“Per me la felicità ha a che fare con l’autenticità: il coraggio di essere noi stessi e fare ciò che ci piace davvero, il coraggio di sentire ciò che sentiamo (al di là di ciò che abbiamo imparato su cosa ‘dovremmo’ sentire) e seguirlo fino in fondo, per scoprire dove ci porta. E anche con la conoscenza delle leggi della vita, la capacità di accettarle e di lasciar andare le parti di noi che non ci permettono di essere felici, perché ci spingono ad agire in base alle nostre paure e non in base all’amore. Se superiamo le nostre ferite, la vita ha una fonte inesauribile d’amore da offrirci: quella può diventare la nostra nuova fonte di felicità permanente”.

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