Come racconta il saggio di Richard Francis, dal punto di vista evoluzionistico, lasciarsi addomesticare dall’uomo conviene agli animali. ilLibraio.it ha parlato con l’autore: “L’addomesticazione è una sorta di assicurazione contro l’estinzione”. Ma attenzione: il successo evolutivo non equivarrebbe al benessere degli individui…

Molte specie antenate degli attuali animali domestici si sono estinte. Altre, come il lupo – progenitore riconosciuto di tutti i nostri cani – vivono ancora allo stato selvatico, ma non possono certo vantare la consistenza numerica e l’onnipresenza dei loro discendenti domestici. Dal punto di vista evoluzionistico, insomma, lasciarsi addomesticare dall’uomo conviene: è una sorta di assicurazione contro l’estinzione. La domesticazione è un fenomeno evoluzionistico vistosamente accelerato, nel quale la prossimità con l’uomo agisce come un potente fattore selettivo. Nel suo saggio pubblicato da Bollati Boringhieri, ‎AddomesticatiRichard Francis ci accompagna in un viaggio alla scoperta del mondo della domesticazione. Lo abbiamo intervistato.

All’inizio dell’Antropocene, l’era dell’uomo sulla terra, la domesticazione aveva benefici sia per l’uomo sia per gli animali. Francis, è ancora così?
“Dal punto di vista evolutivo la risposta è decisamente sì. I nostri animali domestici sono molto più comuni dei loro antenati selvatici. I progenitori di cavalli, bovini e cammelli si sono estinti, eppure i loro discendenti addomesticati sono tra i grandi mammiferi più diffusi sulla terra. I cani sono molto più numerosi dei lupi, e lo stesso vale per i gatti domestici rispetto ai gatti selvatici. Bisogna tenere presente, però, che il successo evolutivo non equivale al benessere degli individui: una discrepanza particolarmente evidente negli allevamenti industriali moderni”.

Spesso si dice “homo homini lupus”. Esiste un riscontro nel significato etologico di questo detto?
“No, nel modo più assoluto. Questa massima è falsa per due motivi. In primo luogo, i lupi sono creature altamente sociali, con livelli molto bassi di aggressività verso gli altri membri del branco. In secondo luogo, gli esseri umani sono i mammiferi più sociali del pianeta e nel complesso si mostrano piuttosto altruisti verso i membri del proprio gruppo. Tanto i lupi quanto gli esseri umani riservano invece una maggiore ostilità agli individui che non fanno parte della loro rete sociale”.

lupi

Come si può fermare la “mano pesante dell’uomo” nel processo di domesticazione, che ha recentemente portato alla selezione artificiale di razze con incidenze di patologie genetiche ereditarie, ormai considerate endemiche?
“Il primo passo è semplice: bisognerebbe evitare l’endogamia, gli incroci tra individui strettamente imparentati tra loro. Molti problemi dei cani di razza pura derivano da questa pratica, che aumenta la diffusione di tratti recessivi deleteri. Oltre a ciò, dovremmo smetterla di creare intenzionalmente dei ‘mostri’ selezionando fenotipi estremi. Mi riferisco per esempio al muso schiacciato di carlini e bulldog, ai gatti senza pelo o con più dita del normale, alle varie razze di maiali in cui le scrofe partoriscono più maialini di quanti non possano allattarne”.

Parliamo del migliore amico dell’uomo, il cane. Secondo lei è vero, come si dice, che i cani e i loro “padroni” tendono spesso ad assomigliarsi, nel carattere e nell’aspetto?
“A mio avviso si tratta di una leggenda nata da un errore cognitivo molto comune nell’uomo, il cosiddetto ‘pregiudizio di conferma’. In sostanza è la tendenza a mettere in risalto gli esempi positivi ignorando quelli negativi”.

cane

Con l’avanzare della robotica nella vita domestica, l’uomo avrà ancora bisogno degli animali?
“Se li chiamiamo animali da compagnia, un motivo c’è. Non li teniamo in casa per ragioni pratiche, di conseguenza non corrono alcun pericolo di essere rimpiazzati dai robot”.

Come si concilia l’auto-domesticazione dell’uomo, che lei descrive nel libro come selezione per la mansuetudine, con l’evidente bellicosità tra le nazioni?
“La nostra socialità è legata al gruppo e ci consente di vivere in comunità molto più ampie rispetto agli altri animali, comunità grandi addirittura come nazioni. Questa nostra caratteristica innata, però, non si estende agli individui che sono percepiti come estranei al gruppo. Di fatto è proprio la socialità di gruppo, e il comportamento cooperativo coordinato che ne deriva, a rendere possibili i conflitti tra gruppi diversi: le guerre sono manifestazioni di aggressività e violenza tra gruppi, non lotte tra singoli individui”.

(Traduzione di Francesca Pe’)

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