Dagli sconvolgenti racconti delle ragazze sfuggite in queste settimane ai miliziani che stanno conquistando l’Iraq, al romanzo di Ronald Balson, in cui è descritto l’orrore (reale) di una villa polacca trasformata in un bordello-lager durante gli anni del nazismo…

In “Volevo solo averti accanto”, sconvolgente romanzo d’esordio di Ronald Balson (pubblicato in Italia nel gennaio scorso da Garzanti – qui la trama), l’autore, tra l’altro, in un capitolo racconta l’orrore (reale) di una villa polacca trasformata in un bordello-lager durante gli anni del nazismo, quando i gerarchi segregavamo le ragazze ebree, per poi violentarle o addirittura ucciderle per il proprio piacere. Scene orribili, che tornano alla mente leggendo i racconti altrettanto sconvolgenti e reali delle poche fortunate ragazze yazide che sono riuscite a sfuggire all’Isis. Domenica, ad esempio, il Corriere della Sera ha riportato la testimonianza di una 17enne che per circa 20 giorni è stata ridotta alla condizione di schiava dello Stato Islamico in Iraq: “Ho paura per le oltre 50 donne delle nostre famiglie rimaste con i persecutori. Devono essere furiosi per la mia fuga, se ora scoprono che parlo ai giornalisti potrebbero prendersela con loro”, ha spiegato la ragazza, che non ha voluto rivelare il suo nome.
 
Sarebbero centinaia le yazide rapide e vendute in queste settimane ai combattenti dell’Isis. Ha raccontato ancora la 17enne a proposito del calvario suo e di molte altre donne: “(…)  I nostri carcerieri ci hanno preso gli scialli e i veli perché qualcuna ha provato a usarli per impiccarsi. Quando scelgono una donna la prendono per la mano. Quasi  tutte gridano, implorano di restare, di essere uccise piuttosto. Non c’è troppa violenza, due guardiani spintonano quelle che resistono di più, le scortano alla porta.  Loro piangono, quasi sempre piangono… Poi è finita. Tutte quelle che sono state prese non sono più tornate. Dicono che alcune sono state portate in Siria, date in spose ai guerriglieri…”.
Tornando al romanzo di Balson, che si svolge tra la Chicago di oggi e la Polonia degli anni dell’Olocausto, anche i nazisti rapivano le donne ebree e se ne servivano per il proprio piacere. Il capitolo citato all’inizio è ambientato in una villa che “in tempi migliori avrebbe ospitato la crème de la crème dell’aristocrazia di Cracovia”, ma che “quella notte brulicava di nazisti…”.
Ed ecco due brevi brani che rendono bene l’atmosfera che si respirava in quella villa…
 
(…)
“Buonaseraaa, Hauptscharführer”, farfuglia. Il whisky continua a colargli sulla canottiera. “Mi hai portato un altro appetitoso bocconcino?”
“Ogni cosa a suo tempo, amico. Speravo che potessi darmi qualche informazione su una graziosa ragazza con cui sei appena stato.” Gli mostro la foto di Beka.
“Chi, questa?” grugnisce. “Andata, ma credimi, non ti sarebbe piaciuta. Era una troia gelida come la morte.”
Sentirlo parlare in quel modo di mia sorella mi fa salire il sangue alla testa, ma mi sforzo di mantenere la calma.
“Per caso sai dove si trova?”
Lui si tira su, cerca di concentrarsi e indica la foto. “Adesso ti racconto. Questa brutta troia per poco non mi ha rovinato il fine settimana”, sogghigna, “non voleva che la toccassi.”
Grugnisce ancora. “Ho capito subito che era ebrea, così volevo insegnare a quella maiala qualcosina sulla nostra razza superiore.” Si piega e raccoglie il coltello dal mucchio di vestiti. “Non sai quanto diventano romantiche quando sentono questa gelida lama sulle tette candide”, dice ridendo e agitando in aria l’arma. Poi la lancia, mandandola a finire in fondo al letto. “Degradare queste arroganti ebree è terribilmente erotico, non trovi? Non so, mi eccitano da morire. Così l’ho presa per i capelli, l’ho fatta chinare, ho allargato le gambe e ho piazzato il suo bel culo sul mio palo. ‘Su, assaggia un po’ di alto comando tedesco’, ho detto. E lei mi ha risposto: ‘Te lo sogni’, si è girata e mi ha sputato in faccia. Capisci?
Una lurida ebrea che sputa a un ufficiale tedesco. E l’ho mollata per pulirmi subito il viso.”
Poi prende un altro sorso di whisky, si asciuga le labbra e continua a biascicare. “Lei era sulla porta, così io sono saltato giù dal letto con il coltello in mano. ‘Oh, e invece lo assaggerai’, le ho detto, ‘eccome se lo assaggerai, per intero, in tutti i suoi venti centimetri, e poi inciderò le mie iniziali sul tuo bel culetto bianco.’ Ho tentato di agguantarla, ma lei è stata più veloce ed è schizzata via. Allora ho cercato di farle lo sgambetto, ma lei ha iniziato a strisciare per terra per tutta la stanza. Finalmente l’ho messa all’angolo e stavo per prenderla lì, per terra, ma quella bestia si è spostata. Si è alzata in piedi di scatto e mi ha guardato con quegli occhi indemoniati.
‘Questa ragazza ebrea non sarà mai tua’, ha detto, e si è buttata di sotto. Dal secondo piano. Stupida troia. È atterrata sul cemento, si è spaccata il cranio.”
(…)
(…)
In cima alla grande scalinata c’è una sala con molte sedie e una serie di ragazze in abito da sera, in attesa di ricevere le attenzioni dei dignitari in visita. Sono molto giovani, tutte con gli occhi terrorizzati. Beka, però, non è tra loro. Qualcuna, quando le passo davanti, si sforza di sorridere. Prendo per mano una ragazza bionda, esile e slavata, con addosso una camicia da notte di seta che non le arriva nemmeno alle ginocchia. Lei si alza obbediente e mi segue nel corridoio. Ha la mano di una bambina, avrà sedici, diciassette anni. La villa ha diverse camere da letto, almeno una dozzina, e da dietro la sfilza di porte chiuse si sentono versi orgiastici. Troviamo una camera libera, la faccio entrare e chiudo la porta. Lei resta in piedi in silenzio, in attesa che la inviti a seguirmi a letto, o che le dica quali perversioni desidero che soddisfi.
“Come ti chiami?” le chiedo.
Lei abbassa gli occhi. “Come, scusi?” dice poco dopo in polacco. “Cosa vuole che faccia?”
Ripeto la mia domanda, stavolta in polacco. “Per favore, dimmi come ti chiami”, ma lei continua a fissare il pavimento.
Voleva rendere il più impersonale possibile quella terribile esperienza», lo interruppe Catherine con un filo di voce.
Io devo assolutamente sapere chi è. “Dimmi come ti chiami e da dove vieni”, insisto alzando il tono.
“Mi chiamo Lucyna e vengo da Nowy Targ.”
“Sei ebrea?”
Lei deglutisce, spalanca gli occhi e inizia a sbottonarsi la camicia scoprendo il seno, le guance rigate di lacrime.
“Fermati, rivestiti”, le dico, e tiro fuori la foto di Beka.
“Sto cercando una ragazza, questa qui.”
Lei non sa cosa fare. Prende la foto e inizia a fissare prima me e poi Beka, più volte. Annuisce. “Sì, la conosco, è arrivata con me la settimana scorsa. È qui.”
“Dov’è?”
“Per favore, signore, io sono solo una ragazza di campagna. Non so cosa facciano le altre, ma sarò felice di offrirle i miei servigi. Non mi faccia domande, non so nulla.”
(…)

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