Ci sono segni di finzione fin dai primordi dell’umanità e basta osservare un bambino nel suo quotidiano gioco del “facciamo finta che” per capire che si tratta di un istinto primordiale, che ha già dentro di sé quando viene al mondo. Ma a che scopo? Jonathan Gottschall nel suo saggio offre una serie di risposte sorprendenti – Leggi un capitolo

Passiamo più tempo immersi in un universo di finzione che nel mondo reale. “L’isola che non c’è” è la nostra vera nicchia ecologica, il nostro habitat. Nessun altro animale dipende dalla narrazione quanto l’essere umano, lo “storytelling animal”. Questo strano comportamento, che ci porta a mettere al centro della nostra esistenza cose che non esistono, è innato e antichissimo; ci sono segni di finzione fin dai primordi dell’umanità e basta osservare un bambino nel suo quotidiano gioco del “facciamo finta che” per capire che si tratta di un istinto primordiale, che ha già dentro di sé quando viene al mondo. Ma a che scopo? Jonathan Gottschall, autore del saggio  “L’istinto di narrare – Come le storie ci hanno reso umani”, studia la narrazione da molti punti di vista e ha un’idea originale e affascinante per spiegare come si sia sviluppata questa strana abilità. Appoggiandosi, da letterato, alle ricerche più avanzate della biologia e delle neuroscienze, Gottschall evoca i ben tangibili vantaggi del mondo fantastico, e lo fa con il piglio del grande narratore. Raccontando storie, ad esempio, i bambini imparano a gestire i rapporti sociali; con le fantasie a occhi aperti esploriamo mondi alternativi che sarebbe troppo rischioso vivere in prima persona, ma che risulteranno utilissimi nella vita reale; nei romanzi e nei film cementiamo una morale comune che permette alla società di funzionare col minimo possibile di contrasti; e poi è provato che la letteratura ci cambia, fisicamente e in meglio. Qualsiasi insegnante sa bene che per far comprendere un concetto bisogna vestirlo di una trama. Il potere universale della finzione è probabilmente la nostra caratteristica più distintiva, il segreto del nostro successo, ciò che ha reso l’uomo un animale diverso dagli altri, permettendo a lui solo di vivere contemporaneamente molte vite, accumulare esperienze diverse e costruire il proprio mondo con l’incanto dell’invenzione…

Ed ecco un estratto da “L’istinto di narrare – Come le storie ci hanno reso umani” di Jonathan Gottschall, pubblicato per gentile concessione di Bollati Boringhieri

“Gli esperti di statistica concordano nel ritenere che, se solopotessero disporre di un certo numero di scimmie immortali e le chiudessero in una stanza con una  macchina da scrivere facendo sì che battano sui tasti per tanto, tantissimo tempo, alla fine gli animali partorirebbero una riproduzione perfetta dell’Amleto, con tutti i punti, le virgole e persino le imprecazioni al posto giusto. È importante che le scimmie in questione siano immortali: gli statistici riconoscono che ci vorrebbe davvero molto tempo.Altri sono invece piuttosto scettici. Nel 2003 alcuni ricercatori dell’Università di Plymouth, in Gran Bretagna, hanno predisposto un test pilota per verificare la cosiddetta teoria della scimmia infinita: «pilota» in quanto ancora non possediamo le schiere di superscimmie viventi in eterno né l’orizzonte temporale infinito necessari per un test definitivo. Tuttavia questi ricercatori disponevano di un vecchio computer e di sei macachi crestati del Sulawesi. Hanno messo il computer nella gabbia degli animali e hanno chiuso la porta. Le scimmie inizialmente hanno fissato lo sguardo sul computer e vi si sono affollate intorno mormorando. Lo hanno accarezzato con le palme delle mani, hanno cercato di ammazzarlo a sassate, si sono accovacciate sulla tastiera, si sono irrigidite e hanno evacuato. Poi hanno avvicinato la tastiera alla bocca per sentire se avesse un buon sapore: non ce l’aveva, dunque l’hanno sbattuta sul pavimento urlando. A un certo punto hanno preso a colpire i tasti, dapprima con lentezza poi più velocemente. I ricercatori sono rimasti in attesa.

Dopo un’intera settimana, e poi un’altra, quelle scimmie sfaticate ancora non avevano scritto l’Amleto, nemmeno la prima scena. Ma il loro lavoro d’équipe aveva fruttato qualcosa come cinque pagine di testo, che gli orgogliosi ricercatori hanno rilegato con una bella copertina in cuoio, dopodiché hanno postato su Internet il facsimile protetto da copyright di un libro dal titolo Notes Towards the Complete Works of Shakespeare. Ne cito un passaggio rappresentativo:

 Sssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssssnaaaaa aaaAaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaasssssssssssssssssssssssssssssssssssfs

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Assfsssssssssssggggggggggaavmlvvssajjjlsssssssssssssssssssssssssa

 La scoperta più rilevante prodotta dall’esperimento è statache i macachi crestati del Sulawesi preferiscono di gran lunga la lettera s rispetto a tutte le altre lettere dell’alfabeto, benché le implicazioni di questa scoperta rimangano tuttora ignote. La zoologa Amy Plowman, responsabile dello studio, ha sobriamente concluso: «Il lavoro è stato interessante, ma di scarso valore scientifico, salvo il fatto di mostrare che la “teoria della scimmia infinita” è infondata». In sostanza, pare proprio che il grande sogno degli statistici, quello di leggere un giorno una copia dell’Amleto sfornata da una superscimmia immortale, non sia altro che pura fantasia.Ma forse il circolo degli statistici troverà consolazione nello studioso di teoria letteraria Jiro Tanaka, il quale sottolinea che l’Amleto, sebbene non sia stato scritto da una comune scimmia, è comunque stato scritto da un primate, una grande scimmia antropomorfa per essere specifici. In un qualche momento delle remote ere preistoriche, scrive Tanaka, «da una serie non propriamente infinita di australopitechi simili a scimpanzé è derivato un assortimento ancora meno infinito di ominidi bipedi, e poi da queste prime schiere di bipedi è derivato un altro gruppo piuttosto definito di primati meno pelosi. E, in un lasso di tempo assolutamente non infinito, uno di questi primati ha effettivamente scritto l’Amleto».

E molto tempo prima che qualcuno di loro pensasse di scrivere l’Amleto o i romanzi «Harmony» e la saga di Harry Potter – molto prima che potessero anche solo immaginare il fatto stesso di scrivere – questi primati si stringevano intorno al fuoco raccontandosi a vicenda un sacco di invenzioni su intrepide creature animali e giovani amanti, eroi generosi e scaltri cacciatori, capi villaggio e sagge donne anziane, fantasie sull’origine del sole e delle stelle, sulla natura degli spiriti e delle divinità e su tante altre cose.

Decine di migliaia di anni fa, quando la mente umana era giovane e i nostri progenitori ancora poco numerosi, ci raccontavamo storie. E ora, decine di migliaia di anni dopo, ora che la nostra specie domina in tutto il pianeta, la maggior parte di noi ancora discute energicamente intorno ai miti sull’origine delle cose e ancora ci emozioniamo per una sbalorditiva quantità di racconti di finzione che leggiamo sui libri, vediamo a teatro o sugli schermi: storie di crimini, storie di sesso, storie di guerra, storie di intrighi, storie vere e storie false. Abbiamo, come specie, una vera dipendenza dalle storie. Anche quando il nostro corpo dorme, la mente sta sveglia tutta la notte, narrando storie a se stessa”.

(continua in libreria…)

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