Tutto ha inizio da un telaio: i miti delle donne greche che usano l’arte della tessitura per trovare soluzioni a problemi scomodi, ma anche la storia dell’informatica e l’invenzione dei primi computer, il cui funzionamento fu ispirato al meccanismo a schede perforate del telaio Jacquard. Ne parla nel suo nuovo libro Loreta Minutilli – Su ilLibraio.it un estratto da “Le tessitrici – Mitologia dell’informatica”

Che legame c’è tra Ada Lovelace, la geniale matematica figlia di Lord Byron, e la metamorfosi di Aracne trasformata in ragno da Atena? O tra le Supplici di Eschilo e le sei donne che hanno programmato l’ENIAC, il primo computer della storia?

Tutto ha inizio da un telaio: i miti delle donne greche che usano l’arte della tessitura per trovare soluzioni a problemi scomodi, ma anche la storia dell’informatica e l’invenzione dei primi computer, il cui funzionamento fu ispirato al meccanismo a schede perforate del telaio Jacquard.

 Loreta Minutilli

Attraverso la narrazione intrecciata delle donne che hanno inventato la programmazione e dei miti sulla tessitura, nel libro Le tessitrici – Mitologia dell’informatica (effequ) di Loreta Minutilli (nella foto sopra) prende forma una mitologia dell’informatica in cui le vite dimenticate delle programmatrici del passato vengono sfilate e disfatte perché, passando sotto la lente del mito, possano raccontare qualcosa sul futuro.

L’autrice, che vive a Bologna, dove ha studiato astrofisica, è da sempre contesa tra scienza e letteratura, ha firmato due romanzi, Elena di Sparta (Baldini+Castoldi) e Quello che chiamiamo amore (La Nave di Teseo), oltre a diversi racconti. Ha collaborato con varie riviste letterarie e si occupa della direzione editoriale de Il Rifugio dell’Ircocervo.

le tessitrici mitologia dell'informatica

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto:

La storia cominciava sempre con Penelope già succube, già impegnata a gestire una minaccia avanzante. Io volevo sapere cos’era successo prima: come avevano fatto i proci a entrare nella reggia di Ulisse, a piazzarsi nelle sue stanze e a familiarizzare con i suoi servitori. Certo, il re era lontano, ma non aveva lasciato guardie fedeli a proteggere la sua regina? E lei non era stata capace di dare gli ordini giusti per restare al potere?

La sottomissione di Penelope mi pareva una colpa sotterranea – quasi che, in fondo, fosse responsabile della sua condizione di vittima, per essere stata debole e aver perso il controllo della sua vita. E quella colpa mai esplorata è la prima delle ambiguità con cui il personaggio ha smosso la mia fantasia.

Secondo altre versioni del mito[1], Penelope lascia entrare i pretendenti in casa di proposito: perché ne ha voglia, suo marito non torna e lei è stufa di aspettare. Ha bisogno di vivere un pezzo di vita propria, e allora si circonda di uomini belli e giovani che vogliono solo lei e li accoglie, li nutre, gioca con le loro aspettative e i loro sentimenti. È il suo modo di esercitare potere. AlcuniC’è chi dice che si accoppiò con tutti i pretendenti, e nacque un figlio che era il figlio di tutti: il dio Pan[2].

Cambiando angolo di osservazione, la figura di Penelope si sfilaccia e si deforma. Un punto solo rimane costante da ogni prospettiva: a un certo punto si siede al telaio e comincia a tessere.

Durante i turni di lavoro al Mark I, Grace Hopper comincia a sviluppare una certa insofferenza verso il lungo lavoro di impostazione necessario a far funzionare la macchina su un nuovo problema. Vorrebbe avere la possibilità di conservare un software collaudato e ben funzionante per poterlo riutilizzare, ma è una lotta che non riesce a vincere, soprattutto perché non è totalmente autonoma. Divide i turni con Bloch, il collega che non voleva occupare la scrivania accanto alla sua ma che dopo le ha insegnato tutto e ha imparato a sua volta molte cose da lei. A volte Bloch interferisce con l’hardware, cambia delle piccole cose, e il mattino dopo il software preparato da Grace non funziona più. A quel punto Bloch è a casa a dormire e non può spiegarle cos’ha fatto esattamente: Grace deve disfare e rifare e cercare una soluzione, da sola. “Nessun altro ci aveva mai pensato, ma nessuno era pigro quanto me[3]”, avrebbe dichiarato in seguito. Non ha molto tempo per approfondire l’idea: dopo la guerra, nonostante l’ENIAC abbia parzialmente oscurato le potenzialità del Mark I, le prestazioni del calcolatore continuano a essere richieste in molti ambiti diversi e il lavoro arriva senza interruzioni.

Gli intoppi però continuano a esserci: un giorno Grace, mentre cerca l’inspiegabile errore che ha inceppato il codice, si trova a scandagliare tutta la poderosa struttura della macchina. Alla fine trova una falena in uno dei relè. La attacca sul logbook, il quaderno dove vengono segnate minuziosamente tutte le operazioni effettuate dal computer. È il primo bug che viene chiamato con il suo nome[4].

[1] Apollodoro, Epitome 39.

[2] vedi per approfondire la postfazione di Maria Grazia Ciani al suo romanzo La morte di Penelope, Ponte alle Grazie, 2019.

[3] Oral history of Captain Grace Hopper, intervistata da Angeline Pantages, dicembre 1980, a cura del Computer History Museum [TdA].

[4] Grace Murray Hopper, The First Bug, in «Annals of the History of Computing»,vol. 3 #3, 1981, pp. 285-286. URL: americanhistory.si.edu/collections/search/object/nmah_334663

(continua in libreria…)

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