Piotr Cywinski, direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, pubblica “Non c’è una fine”, un libro che vuole trovare una soluzione, anche solo approssimativa, al dilemma della memoria – Su ilLibraio.it un estratto

“Vi parlo questa sera di un argomento, l’immensità del quale vorrei che realizzaste appieno…”.

Sono queste le parole, pronunciate dal Ministro degli Esteri del Governo polacco in esilio, Edward B. Raczynskid su radio Londra martedì 17 dicembre 1942, con cui il mondo venne a sapere dello sterminio sistematico degli ebrei da parte dei nazisti.

A distanza di più di 60 anni, Piotr Cywinski, Direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, pubblica con Bollati Boringhieri, nella sua versione italiana, Non cè una fine. Tra­smettere la memoria di Auschwitz con cui tenta di trovare una soluzione, anche solo approssimativa, al dilemma della memoria.

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Il Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau riceve ogni anno oltre un milione di visitatori: persone che vogliono in qualche modo avere esperienza diretta, per quanto sbiadita dal tempo, di ciò che fu lo sterminio sistematico di sei milioni di uomini donne e bambini da parte dei nazisti.

Questo libro racconta, descrive, si interroga, scava nell’animo, con voce poetica e un’immensa carica di profonda pietas. Cerca di trasmettere la memoria dell’indicibile e del non-credibile, per giunta in un tempo nel quale i testimoni diretti, per motivi anagrafici, stanno rapidamente venendo meno.

Quelle scritte da Cywinski sono pagine toccanti che andrebbero lette e meditate prima di un “Viaggio della Memoria“, per capire che lì non si troveranno risposte, ma altre domande, e per realizzare che all’uscita del museo non ci sarà una lezione da portarsi a casa, perché del percorso in cui si entra visitando Auschwitz non c’è una fine.

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Il libro, nella sua versione italiana, porta una postfazione dedicata ai “Viaggi della Memoria” in partenza dall’Italia e al loro significato, scritta da Carlo Greppi, storico torinese, volto di Rai Storia e autore di diversi libri sulla Shoah.

 

Per gentile concessione dell’editore, riportiamo alcuni estratti dal libro:

Epitaffio

Abbiamo una cupa premonizione,
perché sappiamo.
Załmen Gradowski, Sonderkommando, Birkenau 1944

Stavamo valutando, in un gruppo di lavoro internazionale, se modificare l’esposizione principale. C’erano molte voci e diverse opinioni. Un’esposizione che deve essere testimonianza significativa del genere umano può essere modificata solo se si è convinti che il cambiamento abbia un senso. Altrimenti si corre il rischio di tradire le vittime, di distorcere il significato della Shoah, di oscurare l’aspetto umano. L’eccellente studiosa della Shoah Havi Dreyfuss chiese subito: «Cosa ci sarà alla fine dell’esposizione? Come sarà la fine?» Per poter essere presente all’incontro aveva fatto un lungo volo da Israele, e questa fu l’unica domanda che pose. O forse è l’unica che ricordo. Non c’è una fine. Non può essercene una. Sarebbe una soluzione troppo semplice. Inoltre non saprei dove una fine potrebbe essere collocata. All’uscita dell’ultima baracca? Lasciando Birkenau? Sul bus che se ne va da Auschwitz? O a casa, molti giorni dopo, quando la quotidianità inizia a oscurare le immagini del passato? O quando riponi questo libro nello scaffale. Non c’è una fine.

Postfazione

Non sapevamo cosa voleva dire partire

di Carlo Greppi

Carlo Greppi (1982) è storico e scrittore, collaboratore di Rai Storia; da anni organizza viaggi della memoria con l’associazione Deina. Tra le sue pubblicazioni, l’ebook La nostra Shoah. Italiani, sterminio, memoria (2015), i saggi L’ultimo treno. Racconti del viaggio verso il lager (2012) e Uomini in grigio. Storie di gente comune nell’Italia della guerra civile (2016), e il romanzo per ragazzi Non restare indietro (2016), che racconta l’esperienza di un treno della memoria verso Auschwitz.

Stando ad Auschwitz giudichiamo molto di
più di una specifica generazione, giudichiamo
l’umanità.

Piotr M.A. Cywiński

Andare a ritroso, a cavallo dell’immaginazione, a evocare
dei fatti di cui non si è stati osservatori è un compito
arduo. È un compito che deve essere dettato dal
cuore, non dall’obbligo: occorre una particolare forza
di volontà e sensibilità.
Non forzateci la mano, non chiamateci indifferenti,
createci spazi e lasciateci tempo, affinché a nostro
modo possiamo sognare o rivivere quel novembre
1938, quel gennaio 1942 e quel dicembre 1944.

Gianluca, 18 anni, Liceo «Gioia» di Piacenza, 2013

«Non c’è una fine», è vero, non c’è e non ci sarà mai, neanche se la memoria di Auschwitz e quella della Shoah iniziassero a incurvarsi in una maniera per noi oggi imprevedibile e tutta questa storia finisse nelle pieghe inesplorate dell’oblio, un giorno. Oltre 3 200 000 visite solo negli ultimi due anni. Di qui a pochi mesi, le persone che avranno visto Auschwitz dal 1945 a oggi saranno cinquanta milioni. E siamo di fronte a cifre che continuano a salire. Forse un giorno scenderanno, ma questa storia rimarrà a interrogare l’Europa che, come scrive Cywiński, nella Shoah «perse sé stessa». Non c’è una fine ma, per i ragazzi, per un milione di ragazzi all’anno – sette visitatori su dieci – attraversare Auschwitz è un inizio. Abbiamo avuto la sfacciata fortuna di vederlo accadere in questo quindicennio, in loro, in decine di migliaia di individualità, e in noi. Perché se ce l’avessero detto, tanti anni fa, quando ci stavamo entrando noi, nell’età adulta, se ci avessero detto che Auschwitz sarebbe stata una parte fondamentale della nostra vita, non so se saremmo saliti su uno di quei treni. Forse avremmo preferito di no, perché nessuno di noi sapeva che cosa potesse significare sentirsi in qualche modo a casa, ad Auschwitz, sentire il dolore immenso e il senso di responsabilità scatenati da quel Luogo come un qualcosa che ci riguarda molto da vicino, qualcosa che ti sommerge e che grida ma che allo stesso tempo ti parla, e ti costringe a fare i conti con il lato terribile dell’essere umano, che procede mano nella mano con quello meraviglioso, e con le infinite gradazioni che esistono tra i due estremi. Perché è vero che ad Auschwitz non è facile trovare risposte. Ma senza le domande che abbiamo imparato a farci laggiù, nel profondo di quel Luogo e nel profondo dell’esperienza di noi stessi, senza le domande e i dilemmi che questo libro meraviglioso schiude ai nostri occhi, saremmo persone alle quali manca qualcosa di enorme.

Trasmettere la memoria di Auschwitz
Traduzione e cura di Carlo Greppi
© Piotr M. A. Cywiński
© 2012 Państwowe Muzeum Auschwitz-Birkenau, Oświęcim
© 2017 Bollati Boringhieri editore
Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86
Gruppo editoriale Mauri Spagnol

 

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