Su ilLibraio.it l’introduzione di Ilaria Gaspari a “Vogliamo vivere – I Gruppi di Difesa della Donna a Milano, 1943-1945 – Le reti femminili antifasciste all’origine dello stato sociale”, una ricerca dedicata a uno dei capitoli meno conosciuti dell’antifascismo e della partecipazione femminile alla Resistenza, corredata di fotografie, documenti e testimonianze
Al futuro possibile
un’introduzione di Ilaria Gaspari
“Nella trascorsa guerra, con la nostra saviezza, quanto facevan gli uomini patimmo lunga pezza”.
Non sono parole che leggerete nelle pagine centrali di questo libro, in cui pure si intrecciano molte voci di donne che raccontano proprio della stessa sofferenza, e soprattutto della reazione a quella sofferenza: una reazione vitale, generosa, intelligente e industriosa; una reazione viva, attiva, la leva che azionando una forza irresistibile riassesterà l’intero progetto sociale di comprensione delle donne, in un moto autentico di emancipazione che eredita l’esperienza del movimento pacifista contro la prima guerra mondiale e passa per conquiste rivoluzionarie come il diritto di voto, riscrivendo le condizioni della partecipazione politica femminile.
Sono parole molto più antiche, pronunciate per la prima volta in un teatro di Atene. Presumibilmente da dietro una maschera, il primo a scandirle fu l’anonimo attore che interpretava il personaggio di Lisistrata durante le feste Lenee del 411 a.C. Ma anche se probabilmente la sua prima voce sarà stata maschile, secondo l’uso teatrale dell’epoca, Aristofane riesce a conferire una potenza terribilmente moderna alle parole di Lisistrata, alla sua prospettiva di donna in rivolta: la scena è sua, sua la denuncia dell’assurdità dell’esclusione delle donne dal discorso pubblico perché la guerra non è affar loro.
Non è così, e Lisistrata sa dimostrarlo. Si tratta, certo, del personaggio di una commedia satirica del V secolo a.C.; e ci sarà pure, nello sciopero che indìce (chiamando le donne a rifiutarsi agli uomini finché non saranno cessate le guerre) uno scherzoso sottinteso scollacciato. Ma c’è qualcosa di vero, e profondo, qualcosa che si rivela al di là delle circostanze particolari, nelle parole che pronuncia. Sono parole in cui vibrano generazioni e generazioni di voci femminili inascoltate. Per la prima volta sulla scena di un teatro, la guerra è affare da donne, in una rivendicazione sorprendente per chiarezza e concisione.
Quando il commissario incaricato dall’assemblea degli uomini di sciogliere l’incontro fra facinorose chiede cosa c’entrino le donne con la guerra, Lisistrata risponde senza farsi pregare: “A doppio titolo e piú, c’entriamo! Prima, v’abbiamo partoriti i figliuoli; mandati, quindi, li abbiamo opliti.” Come in una canzone di lotta femminile, continua: “Su, compagne, le secchie posiamo al suol: venuto è il nostro turno: diamo alle compagne aiuto.” E il coro insiste sulla baldanza di affrontare, unite, qualsiasi circostanza: hanno coraggio le donne, conoscono il peso del bene collettivo.
“Unione… unione e ancora unione, ecco la nostra preoccupazione maggiore, ecco la parola d’ordine dei Gruppi di difesa della donna”: queste parole compariranno venticinque secoli dopo nel numero di “Noi Donne” dell’ottobre 1944. Finalmente una rappresentanza dei Gruppi di difesa della donna era stata riconosciuta nei Comitati di liberazione nazionale.
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Come nella storia immaginaria della Lisistrata, in quella reale dei Gdd a decidere di associarsi sono donne che dormono sole mentre gli uomini sono al fronte, dispersi, caduti o nascosti; ma anche donne che vivono sole, o insieme; donne che, in ogni caso, all’altezza del ‘43 conoscono ormai bene i lutti, i sacrifici, la fame, che portano il peso della guerra. Nella Lisistrata ribaltano i rapporti di potere in una farsesca alleanza con Afrodite, trasformano in arma di ricatto la debolezza presunta del proprio ruolo al fine di ottenere la pace.
Nella Storia vera, viva, che questo libro racconta con una immediatezza sorprendente, entrano da protagoniste nella Resistenza attraverso la solida alleanza orizzontale che creano. Nel manifesto dei Gruppi la consapevolezza pragmatica delle fatiche della guerra è al centro del progetto di associarsi. E non è un caso: queste donne si sono incontrate nei lunghi turni di lavoro, o in fila davanti ai negozi per aggiudicarsi i beni razionati. La precarietà insostenibile di un presente violento è premessa della solidarietà: la sopravvivenza non è lotta individuale, non riguarda solo sé e la propria famiglia, ma si rivela un’impresa condivisa, collettiva, di cui i Gdd riconoscono il valore. Così come conoscono il valore del lavoro e della sua dignità, che perseguono con istanze che oggi ci appaiono straordinariamente (tristemente, in un certo senso) attuali.
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Se non fosse per il prezioso lavoro di tessitura di testimonianze sommerse che offre questo libro, voci e nomi che si sono intrecciati dal ’43 e oltre, in un’avventura approdata al progetto della Costituzione rischierebbero di perdersi nell’inerzia della dimenticanza. E della Resistenza ci rimarrebbe, pur importantissima, solo una parte della storia: quella della lotta partigiana.
I nomi delle donne partigiane, come ricorda Ardemia Oriani nella postfazione, sono per lo più noti: molto meno conosciuti rimangono quelli delle appartenenti ai Gruppi di difesa della donna che in molti casi, dopo la liberazione, tornarono alle proprie vite in anonimato. Ma fra le promotrici dell’impegno dei Gdd, impegno composito in cui certo il Partito comunista e donne di primo piano ebbero da subito un ruolo fondamentale, cui però si interseca un’azione composita, in un intreccio di gruppi ed esperienze diverse, ci sono donne destinate a un futuro di deputate o di sindacaliste, donne di alto profilo politico – Ada Gobetti, Lina Merlin, Teresa Noce, Lina Fibbi e tante altre – e, accanto a loro, donne di cui proprio questo volume aiuta a ricordare i nomi e le storie.
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Per fortuna, questo lavoro onora l’impegno delle tante che appaiono nelle sue pagine: i loro nomi, impressionanti da leggere in sequenza nell’indice analitico – un lungo appello enciclopedico, una catena di solidarietà che passa per i cognomi e i soprannomi – ci permettono di ricordarle, di riconoscerne le singole biografie per come si sono intessute, ognuna a modo proprio, alla Storia in una fase cruciale la cui memoria non dovremmo sprecare perdendola, sminuendola o cancellandola in revisionismi distorti. E ci permettono, addirittura, questi nomi, di vederle: possiamo immaginarne i sorrisi, a partire da quelli aperti, allegri, che brillano nelle fotografie. Possiamo pensare alla ragazza giovanissima che portava il soprannome lombardamente affettuoso di “Cicetti”, operaia alla Marelli di Crescenzago. Possiamo immaginarla, la Cicetti, in sella alla sua bici, a distribuire in refettorio i volantini alle donne di un’altra fabbrica, la De Micheli, le quali la sera stessa “tutte soddisfatte, annunciano che a mezzogiorno c’è stata a parlare da loro una ‘partigiana’, suscitando un grande entusiasmo fra tutte le donne.”
Possiamo ricordarci che la storia è fatta di scelte, slanci di coraggio. Di biciclette e di ragazze giovanissime: come la Ciccetti, ragazza coraggiosa che entusiasmò le operaie con il racconto di un futuro possibile, in cui le sofferenze del presente si potessero trasformare in desideri realizzati.
IL LIBRO – Vogliamo vivere – I Gruppi di Difesa della Donna a Milano, 1943-1945 – Le reti femminili antifasciste all’origine dello stato sociale, firmato da Roberta Cairoli, Roberta Fossati e Debora Migliucci per Enciclopediadelledonne.it (introduzione di Ilaria Gaspari, prefazione Primo Minelli e postfazione Ardemia Oriani), è una grande ricerca dedicata a uno dei capitoli meno conosciuti dell’antifascismo e della partecipazione femminile alla Resistenza, corredata di fotografie, documenti e testimonianze.
Chi erano, quante, e come si organizzarono sul territorio le migliaia di attiviste che parteciparono ai Gruppi di Difesa della Donna, nati nella Milano occupata e distrutta dalle bombe nell’autunno del 1943, con l’obiettivo di mobilitare il maggior numero di donne e coinvolgerle nella lotta di liberazione contro la repressione nazifascista. Si proponevano di coordinare le iniziative clandestine delle forze femminili già impegnate nella Resistenza – fino a quel momento sparse, isolate o individuali – e di organizzare e reclutare nuove volontarie.
Nell’ultimo periodo di guerra, condividendo i rischi della illegalità e della clandestinità, le donne dei Gdd instaurarono una stretta collaborazione con il Comando Piazza e con il Corpo Volontari della Libertà (Cvl), preparando l’assistenza insurrezionale con le proprie infermiere e staffette, curando depositi di materiale, scorte di viveri, preparando alloggi e mense in relazione con il Cnl e il Clnai. Con l’uscita dalla clandestinità, dopo il 25 aprile 1945, i Gdd passarono il testimone all’Udi (Unione Donne Italiane) e si espressero sul giornale Noi donne. La sigla cambiava, ma, nella nuova prospettiva di pace e di ricostruzione, i soggetti femminili coinvolti nelle attività restavano in gran parte i medesimi.
Accanto all’assistenza ai reduci dai campi di concentramento e di sterminio, queste attiviste maturavano il progetto già tratteggiato durante i 18 mesi di attività illegale dei Gdd, della costruzione di un welfare italiano di largo respiro e le attiviste presero la strada dell’assistenza sociale, del sindacato, dell’impegno politico, mentre alcune uscirono dalla vita politica diretta.
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