Nel suo nuovo saggio Remo Bodei indaga a fondo sul limite, concetto “controtempo” per eccellenza, che la nostra società sembra aver dimenticato e rimosso. E che invece risulta più prezioso che mai per una convivenza civile e all’altezza dell’umano…

Nel tempio di Apollo a Delfi, accanto alla celeberrima frase “Conosci te stesso”, ce n’era un’altra che recitava così: “Nulla di troppo”. Nel mondo antico, andare oltre i limiti stabiliti dalla divinità era considerata hybris, tracotanza, orgoglio da punire come dimostra il caso del folle volo di Icaro. Tutta la filosofia classica insiste sull’ideale di medietà come virtù che rifiuta gli estremi: est modus in rebus, appunto. Anzi, la perfezione di ciascun essere è proprio avere un limite. L’infinito è invece un ideale negativo, da rifiutare, perché confuso, amorfo, disarmonico.

La modernità cambia tutto: rompe i ponti con il passato, infrange i tabù imposti dalla tradizione e dalle religioni, cerca avventurosamente di penetrare negli arcana della natura, del potere e del sacro per svelarli e metterli in discussione. Il limite è fatto per essere rifiutato perché gli uomini sono segnati dalla «mala contentezza» come dimostrano due campioni della modernità quali Machiavelli e Hobbes. Il limite diventa fragile, provvisorio, si sposta in avanti al pari dell’uomo, è fatto per essere oltrepassato. Il «progresso» non coincide più con la trasgressione né con la hybris ma ha a che fare con il superamento dei limiti.

remo bodei limite

E la post modernità? Qui non è più in discussione il superamento del limite ma l’idea stessa di umano, almeno per come l’abbiamo conosciuto sinora. Ma oggi esistono ancora dei limiti invalicabili che condizionano le nostre vite? Limiti di ordine biologico, morale, religioso, sessuale, ambientale? O siamo entrati in un’era dove tutto, almeno in apparenza, è possibile? I progressi di alcune discipline (biotecnologia, informatica, medicina, neurochirurgia, farmacologia…) suggerirebbero di sì. Ma è davvero cosi? Il filosofo Remo Bodei, nella collana del Mulino “Parole controtempo”, dedica una riflessione approfondita proprio al Limite, concetto che la nostra contemporaneità sembra quasi aver dimenticato e rimosso.

Tra filosofia, storia e stili di vita, l’autore tratteggia un identikit avvincente del limite il cui superamento è inscritto nella natura dell’uomo. La stessa modernità occidentale, scrive, «è stata intesa, non senza enfasi, come una consapevole e sistematica violazione dei termini prefissati, che avrebbe trasformato l’uomo in superbo e libero creatore del proprio destino, teso a negare la propria finitudine, ad auto trascendersi nello sforzo di diventare sempre più simile a Dio». Ma è vero, si chiede l’autore, che le principali civiltà del nostro tempo hanno voluto cancellare i limiti, o semplicemente li hanno spostati in avanti? O non è vero piuttosto che talora li hanno semplicemente nascosti, o riproposti in modo ancora più rigido come avviene nel caso dell’applicazione letterale della sharia (che significa letteralmente ritorno alla “strada battuta”)? E davvero sono caduti tutti i muri che hanno finora diviso le civiltà, o non è vero piuttosto che altri ne sono sorti (la barriera costruita per impedire il passaggio di migranti indesiderati alla frontiera tra Stati Uniti e Messico) e altri ancora permangono come quelli tra la Cisgiordania e Israele, o quello che divide le due Coree?

A ben guardare, nel mondo globale è sempre più faticoso accordare pacificamente le diverse identità e differenze culturali e tracciare una linea di demarcazione tra buono e cattivo, lecito e illecito. Siamo di fronte a un «politeismo di valori» secondo Bodei che porta allo scontro tra posizioni per principio incompatibili e tollerate solo per quieto vivere. Come regolarsi, dunque? Dove trovare i fondamenti di un’etica (anche laica) condivisa se non esistono più per nessuno limiti da rispettare? Bodei cita Dostoevskij e la Gaia Scienza di Nietzsche per dire che l’esclamazione «Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso» non è un grido di giubilo ma un terribile fardello in capo agli uomini chiamati alla terribile responsabilità di vivere in un modo «privo di stabili punti di riferimento e tendenzialmente votato al nichilismo».

Di fronte all’evanescenza del limite, tratto tipico del presente, anche la libertà, in definitiva, si risolve in una trappola dalle catene invisibili ma non meno opprimenti.

 

 

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