Dario Fo torna in libreria con “Storia proibita dell’America” e ci mostra ancora una volta il “rovescio della medaglia” della “storia”…

Torna in libreria Dario Fo con Storia proibita dell’America (Guanda), in cui il premio Nobel affronta, con l’irriverenza che lo contraddistingue, la storia dell’unica tribù pellerossa che non si arrese mai: i Seminole, società matriarcale e pacifica, nemica della schiavitù. Spazio a protagonisti indimenticabili: come John Horse, un nero scatenato capace di truffare i bianchi e di conquistare alla causa del suo popolo gli schiavi delle piantagioni facendo comizi-spettacolo. O come Mae Tiger, condottiera meticcia che organizzerà una decisa ed energica azione culturale. O ancora James Billie, veterano seminole del Vietnam che dovrà affrontare, al ritorno in patria, il nemico più insidioso, la droga, e per difendere la sua gente sbaraglierà le truppe del narcotraffico. Una storia di resistenza umana e comunitaria lunga secoli, dai primi insediamenti in Florida allo sbarco dei conquistadores spagnoli, alle battaglie contro le truppe inglesi e poi statunitensi, scritta come un romanzo.

Su ilLibraio.it  un estratto (per gentile concessione di Guanda):

L’incredibile storia di Alexander McGillivray

In quale parte del mondo, in quale epoca, un uomo può essere contemporaneamente:

Sovrintendente Generale della nazione Creek per la Corona di Spagna
Agente degli Stati Uniti per gli affari indiani
Generale di Brigata dell’Esercito degli Stati Uniti
Colonnello dell’Esercito di sua Maestà Britannica
Partner commerciale nell’esportazione di pellicce
Grande Capo delle Nazioni Seminole e Creek?

In questa situazione si trovò Alexander McGilli­vray, che visse tra il 1770 e il 1792 in Florida e din­torni.

Alexander McGillivray nasce il 15 dicembre 1750, come Hoboi-Hili-Miko («Good King Child», Figlio del Buon Dio), nel villaggio di Little Tallas­see della tribù Coushatta sul fiume Coosa, nei pres­si dell’odierna Montgomery, in Alabama.

Suo padre, Lachlan McGillivray, era un commer­ciante scozzese (del clan McGillivray, di nobile lignaggio) che aveva fatto da mediatore nelle tratta­tive fra Creek e bianchi. Il padre di Alexander ave­va sposato Sehoy Marchand, una mezzosangue fi­glia di Jean Baptiste Louis DeCourtel Marchand, un ufficiale francese, e di Sehoy Creek, una donna meticcia Creek del prestigioso «Wind clan», clan del Vento, di cui anche McGillivray faceva parte per discendenza materna.

Da bambino, Alexander vive per qualche tempo con il padre ad Augusta. Studia latino e greco e fa ap­prendistato in un’impresa commerciale a Savannah.

Torna a Little Tallassee nel 1777, dopo che i go­verni rivoluzionari di Georgia e South Carolina hanno confiscato la proprietà del padre che si era schierato con gli inglesi. Il padre fa ritorno in Sco­zia, mentre lui resta in America. Qualche anno più tardi Alexander, commerciando con gli indiani, diventa loro consigliere e riesce a convincerli della necessità di creare una confederazione di tribù che tratti con i colonialisti come nazione unita.

L’idea ha successo, ma non solo: McGillivray di­mostra una rocambolesca capacità di trattare con­temporaneamente con Spagna, Francia, Inghilterra, Stati Uniti e tribù indiane. Riesce a racimolare una discreta fortuna, si compra una fattoria e riceve sti­pendi mensili per i vari incarichi che svolge per conto delle potenze coloniali.

Nel 1782 muore Emistigo, capo della confedera­zione indiana che nel frattempo aveva preso il no­me di nazione Muscogee. McGillivray viene eletto al suo posto dall’assemblea delle tribù confederate. Proclama l’indipendenza, redige una costituzione e dota il nuovo stato di una bandiera nazionale. Se­condo alcuni, ai suoi ordini rispondono diecimila guerrieri armati di arco e fucile.

Nella suddivisione dei territori americani, sanci­ta dai trattati tra le potenze coloniali, la Spagna possiede, ormai solo formalmente, i territori della Florida.

Nel giugno 1784 McGillivray riesce a far ricono­scere dalla Spagna, con la firma del trattato di Pen­sacola, la sovranità della nazione Muscogee su oltre dodicimila chilometri quadrati di territorio.

Inoltre, agli indiani viene garantita la libertà di commerciare pellicce, senza l’obbligo di venderle soltanto ai mercanti muniti del permesso elargito dal re di Spagna. Possono così avere a che fare legalmente con i mercanti inglesi spuntando prezzi più alti (miracolo della libera concorrenza!).

Riuscire a far riconoscere la sovranità della nazio­ne Muscogee fu un notevole traguardo, che peserà sugli eventi successivi. Fino ad allora la Spagna non aveva riconosciuto a nessun popolo nativo la sovra­nità sui territori ancestrali. La sola affermazione di questo principio era una vittoria che provava, ancora una volta, l’abilità diplomatica di McGillivray.

Nel 1790 Alexander si reca come ambasciatore Muscogee a New York, dove insieme ad altri ventinove capi indiani firma il trattato di New York. È il primo trattato del governo americano dopo la proclamazione della Costituzione degli Stati Uniti, e stabilisce che i fiumi Altamaha e Oconee da quel momento saranno il confine delle terre Muscogee. Gli Stati Uniti si assumono anche l’impegno di co­stringere i coloni bianchi, che hanno illegalmente occupato i territori indiani, a liberare quelle zone abbandonandole.

Questo trattato però è anche considerato un atto discutibile. Infatti contiene una clausola secondo la quale gli indiani della Florida devono restituire gli schiavi neri fuggiti dalle piantagioni dopo la grande rivolta del 1774 – più di millecinquecento – e quelli fuggiti via via negli anni successivi.

La clausola comunque non viene rispettata da­gli indiani: secondo alcuni perché i Seminole abor­rono la schiavitù e quindi si rifiutano di adempiere all’accordo, dando ulteriore prova di quanto i neri fossero membri del loro popolo a tutti gli effetti; ma potrebbe anche darsi che McGillivray non pensasse che la restituzione degli schiavi si potesse davvero realizzare. Forse la postilla sugli schiavi era stata accettata solo per indurre a far riconosce­re la sovranità della nazione Muscogee anche agli Stati Uniti.

C’è chi usa questo pretesto per presentare Ale­xander McGillivray come uno spregiudicato avven­turiero, tant’è che teneva in una propria piantagio­ne la bellezza di sessanta schiavi… Qualche ricerca­tore però fa notare che c’è modo e modo di inter­pretare il significato di schiavo, perché i Seminole spesso ricorrevano a questo termine per invalidare le pretese dei bianchi riguardo agli schiavi fuggiti: «No, mi spiace, quell’uomo non è fuggito dalle vo­stre piantagioni: egli è nostro schiavo da quando è nato qui nelle nostre terre».

Alexander McGillivray muore il 17 febbraio 1793, di malattia. Ma prima del decesso riesce a di­ventare anche massone (quando si dice uno che non si fa mancare niente!).

Due dei suoi nipoti, William Weatherford e Wil­liam McIntosh, sono stati leader importanti della nazione Creek, e hanno combattuto l’uno contro l’altro nella Guerra dei Red Stick.

 

Libri consigliati