Che cos’è la paronomasia? Ecco il significato e alcuni esempi (letterari e non) di questa figura retorica di suono, che grazie alla sua musicalità è molto utilizzata nel linguaggio quotidiano

La paronomasia è un figura retorica di suono utilizzata in poesia e letteratura, e molto comune anche nei modi di dire e nelle frasi fatte, che consiste nell’accostare due parole dal suono molto simile (dette “paronimi”) ma di diverso significato.

Esistono due tipi di paronomasia, che prendono il nome di apofonica e isofonica. Nel caso della paronomasia apofonica la variazione tra le parole si trova nella loro radice comune; nel caso della paronomasia isofonica, invece, variano vocali o consonanti che non appartengono alla sillaba su cui cade l’accento.

Generalmente, comunque, entrambe riguardano una differenza fonetica minima tra i termini interessati, tant’è che l’uno differisce dall’altro solo per una o due lettere.

L’etimologia della parola deriva dal greco paronomasía, il cui significato coincide con quello che gli attribuiamo oggi: pará significa “vicino”, mentre ónomasia è il corrispettivo di “denominazione”.

La paronomasia, che venga usata nella comunicazione scritta o verbale, ha la funzione di attirare l’attenzione di chi legge o ascolta (e per questo trova utilizzo anche in campo pubblicitario). Si tratta di una figura retorica che conferisce infatti una certa musicalità al testo e, in base al suo significato, anche una sfumatura di giocosità, a volte a sfondo umoristico (caratteristica che la rende adatta ai modi di dire).

La difficoltà nel pronunciare vicine più parole dal suono simile è infine ciò che rende la paronomasia una figura retorica presente anche negli scioglilingua, e il cui risultato è ancora più efficace se i due termini hanno un significato molto lontano tra di loro (come nel celebre modo di dire “Dalle stelle alle stalle”).

Esempi di paronomasia

Esempio di paronomasia nell'arte

Essendo la paronomasia una figura retorica di suono, non ha un vero corrispondente nell’arte figurativa. Lo schema del suo funzionamento però è simile a quello usato da Andy Warhol nella creazione della celebre opera ‘Marilyn Monroe (Marilyn)’ del 1967. L’immagine di Monroe cambia infatti in ogni dipinto, ma solo per il colore, così come nella paronomasia sembra di trovarsi quasi di fronte alle stesse parole, diverse solo per una o poche lettere.

Ecco alcuni esempi di paranomasia presenti in frasi fatte o modi di dire usate nel linguaggio quotidiano:

  • carta canta
  • capire fischi per fiaschi
  • via vai
  • volente o nolente
  • il troppo stroppia
  • parenti serpenti
  • scelta svelta
  • senza arte né parte
  • spendere e spandere
  • chi non risica non rosica
  • sesto senso
  • via vai
  • fare la fame
  • dalle stelle alle stalle
  • amore amaro

Alcuni esempi di scioglilingua in cui si può ritrovare la paronomasia sono “Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa” e ancora “Apelle figlio di Apollo fece una palla di pelle di pollo; tutti i pesci vennero a galla per vedere la palla di pelle di pollo”.

Veniamo invece agli esempi di paronomasia in poesia:

“…

e non mi si partía d’innanzi al volto,
anzi impediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar piú volte volto

…”
(D. Alighieri, Canto I, Inferno)

“Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.

…”
(E. Montale, Cigola la carrucola nel pozzo, Ossi di seppia)

Rosa, riso d’Amor, del Ciel fattura,
rosa del sangue mio fatta vermiglia,
pregio del mondo e fregio di natura

…”
(G. Marino, Elogio della rosa, Adone)

“…

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi

…”
(E.Montale, Meriggiare pallido e assorto, Ossi di seppia)

“…
Scrisse musiche inedite, inaudite,
oggi sepolte in un baule o andate
al màcero. Forse le riinventa
qualcuno inconsapevole, se ciò ch’è scritto è scritto.

(E. Montale, Tuo fratello morì giovane, Satura)

“…

Quivi stando, il destrier ch’avea lasciato
tra le piú dense frasche alla fresca ombra,
per fuggir si rivolta, spaventato
di non so che, che dentro al bosco adombra:
e fa crollar sí il mirto ove è legato,
che de le frondi intorno il piè gli ingombra:
crollar fa il mirto e fa cader la foglia;
né succede però che se ne scioglia.

…”
(L. Ariosto, Orlando furioso)