“I libri che fanno la felicità” (in uscita l’11 aprile) della libroterapeuta Rachele Bindi spiega come si può essere felici leggendo un libro. E aiuta a capire come scegliere il testo giusto al momento giusto – Su ilLibraio.it un estratto

Leggere è un passatempo piacevole, che non deve portare a fuggire dal mondo reale, ma, al contrario, invitare a fare nuove esperienze, anche attraverso le vicende “che non ci sono ancora accadute e che magari non ci accadranno mai nella vita reale”.

È per questo che Rachele Bindi, psicologa e psicoterapeuta che gestisce percorsi di libroterapia per la ricerca del benessere psicologico, scrive un libro in cui spiega che, proprio grazie alla libroterapia, si può non solo essere felici leggendo un libro, ma anche imparare a trovare quello giusto per ogni momento della propria vita.

I libri fanno la felicità, questo il titolo del libro, pubblicato da Vallardi, nel quale la Bindi guida il lettore attraverso un cammino, letterario (attraverso classici della letteratura o romanzi contemporanei) e interiore, che conduce, passo dopo passo, a quelle verità profonde e durature che sono l’ingrediente indispensabile per una vita felice.

Per esempio, secondo la famosa libroterapeuta, grazie a Virginia Woolf riusciremo a dimenticare la frenetica agenda della giornata, con Arundhati Roy ci perderemo nella meraviglia delle piccole cose, sulla scia di Philip Roth impareremo a rivalutare gli affetti familiari, insieme a Stephen King sconfiggeremo le nostre paure proprio come fanno i ragazzini protagonisti di It.

Nel percorso da lei indicato per imparare a conoscere meglio se stessi e a essere felici grazie ai libri, tra le altre cose, è indicato come necessario il passare del tempo da soli e non temere la solitudine, l’imparare a comunicare i propri bisogni e ciò che si sente dentro e nel dubbio, leggere molto.

I libri che fanno la felicità

Per gentile concessione dell’editore su ilLibraio.it pubblichiamo un estratto del libro:

Leggere libroterapicamente: un metodo

Da ormai quasi un decennio mi occupo di libroterapia, ho anche un biglietto da visita che lo dimostra – «Rachele Bindi, esperta in libroterapia» – e che spesso finisce per fare da segnalibro alle mie letture.

Mi fa ancora sorridere ammettere che è nato tutto quasi per caso: da un lato il mio analista che negli anni della terapia didattica mi ripeteva che dovevo trovare un modo per usare tutti i libri che leggevo, ed era propenso a discuterne ad ogni occasione; dall’altro un paio di opportunità favorevoli, tra le quali un seminario da tenere alla Biblioteca delle Oblate a Firenze, in una sala piena di libri antichi, che a mio avviso non poteva che essere un seminario sulla libroterapia, tenuto da me che ancora non vantavo altra esperienza in materia se non il grosso lavoro di studio che avevo avviato leggendo qualunque testo riuscissi a reperire sull’argomento.

Mi sono resa conto da subito di aver trovato qualcosa di importante per me, così ho deciso di approfondire, strutturando un metodo utilizzabile in più contesti, che potessi proporre sia nella mia pratica clinica con i pazienti in studio, sia in altre situazioni, dalla scuola all’azienda, e non solo.

Ho iniziato a cercare articoli scientifici, manuali, libri che parlassero di biblioterapia (questo è il nome con cui è spesso chiamata questa pratica, mutuato dal mondo anglosassone) e mi sono ritrovata tra le mani tantissimo materiale, che spesso però si basava su metodi diversi, su visioni differenti da quella che intuivo essere la mia.

Alcuni testi sono stati pietre miliari in questo percorso verso il mio metodo, come per esempio La cura Schopenhauer di Irvin Yalom. Yalom è un collega americano che ha scritto un interessante manuale sulla terapia di gruppo, che stavo studiando proprio quando in libreria ho visto il suo romanzo su Schopenhauer. L’ho comprato per pura curiosità e mi sono poi resa conto che nella storia s’intravedeva, al di là della trama, un’idea molto simile a quella che mi guidava, un uso della lettura che non aveva nulla a che fare con i libri di selfhelp o con i manuali psicoeducativi, ma che si poneva altri obiettivi.

Un altro testo che mi è stato fondamentale è invece un libro di settore, arrivato dagli Stati Uniti proprio quando mi facevo venire i primi dubbi sulla sensatezza delle mie intenzioni e valutavo se fosse davvero il caso di provare a dire la mia. Il testo è Bibliotherapy Sourcebook, a cura di Rhea Joyce Rubin, ed è una raccolta di articoli sulla libroterapia dagli anni Trenta agli anni Settanta del secolo scorso, che mi ha fatto capire che, in una materia in cui esistevano così tante visioni e così tante voci, ci poteva essere spazio anche per le mie.

Così ho iniziato a buttare giù le mie idee e a costituire il mio primo gruppo di libroterapia e nello stesso tempo la utilizzavo in studio nelle sedute individuali.

Negli anni seguenti mi sono trovata a presentare libri, a lavorare con il mondo dell’editoria, a tenere gruppi libroterapici in diverse città italiane e anche, esperienza per me veramente toccante, in un penitenziario minorile e in uno di massima sicurezza.

Ho anche iniziato a formare dei colleghi su questo metodo, elaborando le mie riflessioni in un manuale per addetti ai lavori.

I libri che da sempre mi facevano compagnia erano finalmente diventati qualcosa di molto utile, non soltanto per me, ma anche per tutte le persone con cui avevo occasione di lavorare.

Il lavoro di libroterapeuta, anche se in Italia non è una professione riconosciuta ma solo una metodologia, mi ha dato occasione di conciliare la psicoterapia con la lettura, permettendomi di aiutare le persone a imparare a leggere libroterapicamente, ovvero a leggere se stesse mentre leggono il libro.

Spesso leggiamo senza troppi pensieri, lasciando che la storia scorra e ci trasporti, arrivando alla fine del romanzo senza alcuna partecipazione cosciente al processo.

La lettura libroterapica presuppone invece un impegno consapevole da parte del lettore, perché gli si chiede di interrogarsi sul significato profondo della storia e sulle proprie ricadute personali, riflettendo quindi su se stesso.

In questo modo, la lettura libroterapica può soddisfare i bisogni degli individui apportando benefici virtualmente infiniti, tra cui promuovere il cambiamento e il benessere attraverso l’apprezzamento estetico (la bellezza solleva lo spirito), e favorire la stimolazione intellettuale, che porta a un senso di compiutezza e a una maggiore capacità di argomentare i nostri bisogni nella relazione con gli altri.

Le storie che leggiamo ci forniscono materiale sia per scrivere la storia della nostra vita, sia per aumentare il nostro kit di strumenti necessari al benessere della psiche, migliorando la nostra capacità di adattamento e le conseguenti opportunità di cambiamento e crescita. Questo succede perché, confrontandoci con materiale narrativo che non appartiene al nostro vissuto, siamo comunque in grado di interiorizzarlo, facendolo diventare una sorta di esperienza vicaria, che arricchisce il nostro bagaglio esperienziale.

Leggere una storia riflettendo su me stessa può rafforzare la mia sensazione di normalità, alleviando la solitudine (nella consapevolezza che anche altre persone possono vivere situazioni simili alle mie), e permettermi di valutare i miei valori, atteggiamenti e comportamenti.

Conclusa la lettura, e soprattutto la riflessione che ne segue, avrò un maggiore senso di autostima, o sarò motivato a fare nuove esperienze, oppure ancora sarò riconnesso con il mondo che mi circonda e anche, magari, con persone che prima di leggere consideravo troppo diverse da me.

La lettura, dunque, s’incastra perfettamente in quel percorso volto alla conoscenza di noi stessi che abbiamo definito come processo di individuazione. Nelle storie che leggo posso trovare spunti archetipici che stimolano i miei complessi a tonalità affettiva, li arricchiscono attraverso l’aggregazione di contenuti nuovi (legati alle vicende lette che magari io non ho mai esperito in prima persona) e mi portano a riflessioni su me stesso e sugli effetti che questi contenuti producono in me.

Mentre le possibilità della nostra riflessione personale sono legate a ciò che, nell’arco della nostra vita, riusciamo a esperire in prima persona o come racconto delle persone con cui siamo in relazione, la narrativa può diventare per noi una finestra aperta sulla dimensione simbolico-archetipica che ogni scrittore arricchisce con la sua opera. In questo modo il nostro confronto con gli archetipi presenti nei testi letterari si svolge in un ambiente protetto per l’individuo, che avendo a che fare con un’esperienza vicaria può interromperla quando vuole o portarla avanti scegliendo di volta in volta quanto mettersi in gioco e quanto disvelare di se stesso.

Siamo fatti di storie e abbiamo bisogno di materiale narrativo creato da altri per avere spunti, nuove parole, nuove possibilità di raccontarci e di confrontarci con quelle vicende che non ci sono ancora accadute e che magari non ci accadranno mai nella vita reale, ma la cui riflessione profonda arricchisce la nostra psiche e ci aiuta a conoscere meglio il nostro daimon.

La lettura mette in moto nella nostra psiche dei meccanismi molto simili a quelli che avvengono nelle sedute di psicoterapia, ma nella nostra vita quotidiana, complice la censura dell’Io di cui abbiamo già parlato, può darsi che gli esiti di questo processo non ci siano così palesi o addirittura ci sfuggano completamente.

Nelle pagine che seguono impareremo a leggere tenendo accesa una metariflessione sulla nostra lettura, cosa che sicuramente renderà un po’ più faticoso l’atto di leggere, ma ci permetterà di fruire appieno dei suoi benefici psicologici. In questo modo lavoreremo per massimizzare le opportunità di essere felici che, secondo la scienza, dipendono esclusivamente da noi e dai nostri sforzi personali.

(continua in libreria…)

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