“Chi piange la scomparsa dei ‘padri di una volta’ in fondo piange la crisi del concetto di virilità. La virilità è l’identità stessa del maschio e chi vuole negare la propria identità è un ladro o una spia! Ma il punto è: cosa significa essere virili? Nessuno di noi – e con noi intendo gli uomini che cercano di evolversi e far progredire il proprio rapporto con i concetti di genere e parità sessuale – ha intenzione di femminilizzarsi. Non stiamo tentando di negare noi stessi, anzi è vero l’esatto contrario: stiamo faticosamente cercando di cambiare la connotazione culturale dell’idea di virilità…”. Su ilLibraio.it la riflessione di Marco Bonini, attore e sceneggiatore, in libreria con il suo primo romanzo, “Se ami qualcuno dillo”

A Napoli mi è capitato un fatto. Ero lì per presentare il mio romanzo e, al termine dell’evento, dal fondo della sala un signore distinto sulla settantina ha chiesto di intervenire. Sembrava accorato, sinceramente, mentre cercava di contenere la disapprovazione. Ma si vedeva che ribolliva: dopo avermi ascoltato parlare per più di mezz’ora del paradossale percorso di “rinascita” di un maschio “vecchio stampo” che trasforma il proprio sguardo sulle donne e su se stesso, quel signore distinto obiettava che è proprio per colpa di “quelli come me” che non “ci sono più i padri di una volta”. 

Io a quel signore ho risposto: “È vero che non ci sono più i padri di una volta. Ma non credo sia un male. Il problema semmai è che non ci sono ancora i padri di questa volta!“. Quel che non ho aggiunto in quell’occasione, e questo articolo me ne offre l’opportunità proprio oggi che dei padri – ma quali padri? – è la festa, è che in realtà i “nuovi padri” esistono già, sono già “nati” da un po’ ma, come tutte le minoranze emergenti, fanno fatica a farsi riconoscere e a assegnarsi un’identità precisa.

Qualcuno ha iniziato a chiamarli “mammi”, ma quel qualcuno non ha capito proprio un bel niente. Il fatto è che, come succede sempre quando non si trova una soluzione immediata a un problema si tende a ricorrere a quella che chiamo “la soluzione nostalgica“. Chi piange la scomparsa dei “padri di una volta” in fondo piange la crisi del concetto di virilità. La virilità è l’identità stessa del maschio e chi vuole negare la propria identità è un ladro o una spia! Ma il punto è: cosa significa essere virili? 

Nessuno di noi – e con noi intendo gli uomini che cercano di evolversi e far progredire il proprio rapporto con i concetti di genere e parità sessuale – ha intenzione di femminilizzarsi. Non stiamo tentando di negare noi stessi, anzi è vero l’esatto contrario: stiamo faticosamente cercando di cambiare la connotazione culturale dell’idea di virilità.

Possiamo dire che vorremmo modificare la carta costituzionale dello Stato Patriarcale: vogliamo mantenere in vigore tutti gli articoli psicologici, politici e biologici che definiscono l’identità maschile, abrogandone per obsolescenza tutti gli articoli maschilisti e sessisti, residui di una visione del mondo che non esiste più e che non intendiamo più avallare. 

Mi spiego meglio, tanto per capirci. 

Noi non vogliamo più essere il padre padrone “di una volta”, ma vogliamo comunque essere il padre. 

– Al padre autoritario che impone la sua guida identitaria con la paura opponiamo il padre autorevole, che si guadagna il ruolo di maestro con la persuasione, l’inclusione affettiva e l’esempio emotivo. Non estorce educazione, la incoraggia.

– Al leader politico che impone l’appartenenza alla Nazione con bastone, censura, esclusione e purghe opponiamo il leader politico che offre appartenenza con la persuasività delle argomentazioni e degli obiettivi e che coglie le opportunità dalle differenze.  

– Al maschio celodurista, al latin lover che conquista militarmente la donna e, prevaricandola, la possiede opponiamo l’amante che dimostra la sua virilità affrontando eroicamente la relazione con la complessità femminile, aprendosi al confronto, all’ascolto, allo scambio. 

– All’idea svilente della donna che si concede sessualmente opponiamo la realtà libera e piena della donna che sceglie di vivere e condividere il proprio piacere con chi vuole, in un comune gioco sessuale ed emotivo che diletterà entrambe le parti. 

È un progetto ambizioso, una rivoluzione necessaria, e la strada è appena iniziata, ma è un obiettivo che riempie di senso la vita di tutti noi, uomini e donne.

In sintesi: noi non vogliamo essere meno virili, vogliamo semmai esserlo di più. Non vogliamo essere meno maschi, vogliamo diventare più maschi. Non vogliamo festeggiare la festa dei mammi, ma nemmeno abbiamo più intenzione di festeggiare la festa del “papà di una volta”. Stiamo cercando di festeggiare la festa del papà… di questa volta!   

L’AUTORE E IL SUO PRIMO LIBRO – Marco Bonini, classe 1972, romano (“da cinque generazioni da parte di padre e nove da parte di madre”) è laureato in filosofia, e ha studiato per diversi anni danza classica e moderna prima di dedicarsi alla recitazione. Attore e sceneggiatore, scrive per il cinema e la televisione. Nel 2015 ha firmato con Edoardo Leo la sceneggiatura di Noi e la Giulia, vincitore di due David di Donatello, due Nastri d’Argento e del Globo D’Oro della stampa estera come migliore commedia dell’anno. È tra i protagonisti della trilogia di Sydney Sibilia, Smetto quando voglio.

Se ami qualcuno dillo, in libreria per Longanesi, è il suo primo romanzo. La trama ci porta a Roma negli anni Ottanta. Marco, dieci anni, è innamorato cotto. Daniela è la bambina più bella del cortile e lui se la guarda tutti i giorni dal balcone. L’amore non corrisposto lo sta consumando, ma in casa c’è qualcuno molto più irritato di lui. Sergio, suo padre, non crede ai propri occhi: il suo figlio maggiore, rimbambito appresso a una femmina? Poi un pomeriggio, imbambolato dall’apparizione di Daniela sul terrazzo di fronte, Marco si lascia sfuggire una biglia che precipita per sette piani, centrando il parabrezza della macchina della signora Lelle. Sergio esce, guarda di sotto e finalmente urla contro il figlio il suo inappellabile Primo Comandamento: “Lo vedi a innamorasse che succede?… solo guai! Lascia stà le donne, so’ solo ’na perdita de tempo”. La trama avanza. Nell’estate del 2000 Marco ha ventotto anni, fa l’attore, guida una decappottabile inglese e non si innamora più da un pezzo. Poi una mattina un telefono squilla in una stanza buia e cambia tutto. Sergio ha avuto un infarto, è in coma e potrebbe non risvegliarsi. La storia di Marco e di suo padre inizia da qui, dall’attimo in cui sfiorano la fine. L’infarto non uccide il corpo di Sergio ma resetta il suo cervello: al risveglio il vecchio Sergio, l’uomo tutto d’un pezzo che non sapeva fare una carezza ai suoi figli o dire ti amo a sua moglie (la quale, non a caso, l’ha lasciato), non c’è più. Al suo posto è arrivato un alieno, imprevedibile, folle e delizioso come un neonato che deve imparare da capo tutto del mondo degli uomini. Il nuovo Sergio non sa leggere né scrivere, ma balla, ride e sa quando fare una carezza o una dichiarazione d’amore. Sergio sa essere finalmente felice e sa insegnarlo agli altri. Marco è ancora in tempo per apprendere la nuova lezione?

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