Quante librerie hanno riaperto, nelle 13 Regioni in cui è possibile farlo? E come sono andate le vendite dei primi due giorni di riapertura dei negozi? L’approfondimento de ilLibraio.it, con le interviste ai protagonisti. Senza dimenticare che non sono mancate le voci critiche nella categoria. E che tutta la filiera del libro, colpita pesantemente dall’emergenza covid-19, attende di capire quali aiuti arriveranno dal governo nel “decreto aprile”

“Non è un gesto simbolico ma il riconoscimento che anche il libro è un bene essenziale”. Il ministro dei Beni e le Attività Dario Franceschini ha commentato così, a caldo, l’annuncio del premier Giuseppe Conte, che nei giorni scorsi ha comunicato la decisione di far riaprire librerie (e cartolibrerie), ovviamente rispettando i protocolli di sicurezza, a partire da martedì 14 aprile.

Le ordinanze regionali 

Non in tutta Italia, però. Sì perché all’annuncio di Conte hanno fatto seguito le ordinanze regionali: e così la Lombardia, il Piemonte, la Campania e il Trentino (ma non l’Alto Adige) hanno fermato la riapertura delle librerie (fino al 3 maggio), mentre in Emilia Romagna lo stop è limitato a Piacenza e Rimini (e relative provincie), come pure a Medicina e nella frazione di Ganzanigo; nel Lazio la riapertura è slittata al 20 aprile, e in Sardegna al 26; infine, in Veneto le librerie hanno riaperto, ma solo per due giorni a settimana.

La divisione tra i librai

Va anche detto che, dopo oltre un mese di chiusura forzata (periodo nel quale da un lato librai e libraie si sono attivate con le consegne a domicilio – tra gli altri, è nato il progetto “Libri da asporto”, servizio finanziato da diverse case editrici -, e dall’altro hanno intensificato la comunicazione social con la propria comunità di lettori), la possibilità di riaprire (limitata ad alcune regioni, come abbiamo visto), non è stata accolta positivamente da tutti i librai.

Se l’Associazione Italiana Librai (a cui aderiscono oltre 1200 negozi), che già da giorni chiedeva la riapertura, ha accolto molto positivamente la novità (come pure l’Associazione Italiana Editori), le oltre 150 librerie che hanno firmato la lettera aperta dal titolo “Siamo librai, non simboli”, frutto del lavoro di discussione sviluppato all’interno del neonato gruppo LED – Librai Editori Distribuzione in rete (su Minimaetmoralia.it il testo completo dell’appello e l’elenco dei firmatari), hanno espresso critiche e dubbi.

La lettera aperta del presidente dei librai Ambrosini

“Il libraio da sempre è un commerciante particolare, che vende beni ma soprattutto le idee che quei beni contengono, e attraverso il suo lavoro aiuta comunità, territori, a costruire una propria identità culturale e sociale“. A parlare è il presidente dell’Ali (Associazione Librai Italiani) Paolo Ambrosini, che in una lettera aperta (qui in versione integrale, ndr), a sua volta, si è rivolto ai suoi colleghi, come detto divisi sul tema riapertura. E ha parlato del lavoro che la stessa Ali sta facendo per garantire che l’apertura avvenga nel pieno rispetto delle norme sanitarie richieste. Non solo. Ambrosini ha ricordato che “aprire non significa rinunciare agli strumenti emergenziali che il governo ha varato che sono confermati”. Quest’ultima, una preoccupazione sentita da molti proprietari di librerie indipendenti.

I primi dati sulle vendite di chi ha riaperto

Dai primissimi dati (forniti dall’Ali), nelle 13 regioni in cui è stata permessa la riapertura – Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna (con l’esclusione, come detto, di Piacenza e Rimini), Toscana, Marche, Abruzzo, Umbria, Molise, Puglia, Basilicata e Sicilia – le librerie indipendenti hanno aperto con una percentuale che oscilla attorno al 60%, mentre le grandi catene stanno riaprendo più lentamente.

Il fatturato medio della prima giornata ha dato buoni risultati, attestandosi sui livelli di venduto simili a metà aprile 2019. In alcuni territori il dato ha avuto un sensibile incremento. “Come Associazione esprimiamo soddisfazione per questi primissimi dati, che confermano l’affetto degli italiani per le nostre librerie. Ringraziamo, inoltre, i nostri collaboratori e i tutti i clienti per la grande collaborazione nel rispettare tutte le nuove regole igienico-sanitarie richieste dal momento”, ha commentato il presidente Paolo Ambrosini.

La nostra intervista a Scioscia (Il Libraccio)

E continuiamo a parlare di come stanno andando le librerie che hanno deciso di riaprire ieri, nelle Regioni in cui è possibile farlo.

Da subito Edoardo Scioscia, co-fondatore del Libraccio (49 negozi in diverse Regioni), si è attivato, insieme al responsabile sicurezza e al medico aziendale. Al momento hanno potuto riaprire 18 librerie della catena che dirige. A ilLibraio.it racconta: “Dopo aver ascoltato il premier Conte ci siamo immediatamente messi al lavoro per riaprire le nostre librerie, con tutte le cautele del caso. Ci siamo attrezzati, sanificando tutto, anche i condizionatori. Non ci siamo fatti trovare impreparati: avevamo infatti già comprato 10mila mascherine da distribuire nelle nostre sedi”.

A proposito del dibattito in corso tra i librai italiani, per Scioscia “ogni libreria è e deve essere libera di scegliere se riaprire o meno. Noi ci siamo adeguati a tutte le ordinanze locali, senza polemiche, nel pieno rispetto dei ruoli, e consapevoli del difficilissimo momento che vive il Paese“. E ancora: “Siamo commercianti e non missionari, che vendono un bene essenziale, e come tutti i beni essenziali in vendita in questo drammatico momento, per essere venduti necessitano di uno spirito di servizio verso la comunità, uno spirito di servizio consapevole che metta al centro del progetto la salute di chi deve operare nei commerci e la salute di chi deve recarsi nelle librerie“.

A Scioscia domandiamo quanto è costata la sanificazione: “Nel nostro grande negozio di Roma, di circa 1200mq, abbiamo speso 625 euro più Iva. Nelle librerie più piccole, da 250mq, la spesa è stata pari a circa 200 euro“.

Ma come hanno reagito i librai del Libraccio alla decisione del gruppo? “Abbiamo 472 librai assunti a tempo indeterminato. Non abbiamo obbligato nessuno a tornare a lavoro. Assicurando ai nostri lavoratori il rispetto di tutte le condizioni di sicurezza, abbiamo proposto loro di tornare in negozio. In 420 hanno accettato; allo stesso tempo, rispettiamo la scelta di chi preferisce attendere prima di tornare a lavoro“.

Per tutti i librai della catena è stata attivata la cassa integrazione. Scioscia su questo punto tiene a chiarire che, “riaprendo, i librai non perdono la cassa integrazione, che viene rimodulata e si riadattata al monte ore. Per il lavoratore c’è un beneficio econocomio, perché il proprietario pagherà più ore lavorate”. Scioscia è comunque anche consapevole del fatto che, “con ogni probabilità, gli incassi realizzati, soprattutto in questa prima fase, non saranno tali da remunerarle pienamente“. Allo stesso tempo, non manca l’ottimismo. Lo conferma il fatto dal 16 aprile al Libraccio ci sarà un nuovo assunto: “Abbiamo deciso di mantenere un impegno preso prima dello scoppio dell’emergenza, per la nostra sede di Busnago”. Il nuovo librario, per legge, non usufruirà della cassa integrazione.

Ma com’è andata nei primi due giorni di riapertura dei 18 negozi? “Non male. Per ora, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, la perdita a livello di incasso va dal 30 al 50%. Ma siamo fiduciosi. Fiducia che ci arriva dall’appoggio e dal sostegno dei clienti, che si mettono in fila senza protestare. Sono solidali, ci ringraziano per il servizio offerto e non si lamentano. Anzi, spesso comprano più di un libro“.

Certo, stando alle direttive la sosta in negozio deve essere brevissima (l’articolo 1 comma dd del Dcpm del 10 aprile è chiaro su questo punto: “il lettore non potrà girare fra gli scaffali, dovrà limitarsi all’essenziale”): “I clienti sono abituati a girare a lungo negli scaffali, ma in questa fase non è possibile farlo. Purtroppo bisogna adeguarsi“. E a conferma dell’interesse a garantire la sicurezza di lavoratori e acquirenti, in una lettera inviata ai dipendenti Scioscia ha spiegato: “Ci permettiamo di consigliare ai colleghi di diminuire la densità fra presenza di operatori e clienti e metri quadri. Pensiamo più opportuno un rapporto di 3 persone per 70mq, contro il rapporto 3 persone 40mq autorizzato dal decreto”.

“Noi ci stiamo rimboccando le maniche, ma è inevitabile che senza aiuti da parte del governo sarà molto difficile resistere. Per ora stiamo spostando debiti, dialogando da settimane con banche e fornitori“, conclude il co-fondatore del Libraccio.

libraccio

Parla l’Ad di Ubik

Abbiamo parlato anche con Tiberio Sarti, amministratore delegato di Ubik (rete di 95 librerie in franchising, presente su tutto il territorio italiano), che si dice soddisfatto: “Ieri hanno riaperto 50 negozi su 95. Tutti quelli delle Regioni dov’è possibile riaprire”. A Sarti chiediamo se i librai Ubik sono stati contenti, o meno, della decisione del governo: “Va tenuto conto che le librerie in franchising sono quasi tutte a gestione familiare. Non avremmo mai potuto obbligarli a riaprire, anche a livello contrattuale. Qualcuno, sì, ha riaperto manifestando dei dubbi; altri hanno scelto di aprire con orario ridotto; ma, in generale, la gran parte dei librai ha accolto positivamente la notizia. Tutti sono stati prescrittivi verso i clienti, e guanti e mascherine sono state fornite dai librai a chi entrava sprovvisto. Giustamente le libraie e i librai sono state rigorose”.

E com’è andata con le vendite? “Ieri, stando ai dati che ho raccolto, direi piuttosto bene. In media i negozi hanno incassato l’80% di un giorno feriale di questo periodo dell’anno. E anche questo secondo giorno mi sembra stia andando bene. Lo ammetto, ero più pessimista, mi aspettavo incassi in calo del 50 o 70%, staremo a vedere come andrà nei prossimi giorni, mi auguro che il trend resti positivo”.

La scelta di Giunti al Punto

E le altre catene? Domani in Toscana riaprono 3 librerie Giunti al Punto, a Firenze, Prato e Pistoia. “Abbiamo adottato un protocollo più severo rispetto alle prescrizioni del Dpcm del 10 aprile – spiega in una nota Martino Montanarini, amministratore delegato del gruppo Giunti. Nelle ore appena trascorse abbiamo avviato ovunque, nelle nostre librerie, importanti opere di sanificazione realizzate da aziende specializzate e librai e clienti saranno ovviamente dotati di dispositivi di protezione individuale”. Presto, probabilmente già nel giro di una settimana, saranno aperti circa 40 dei 230 punti vendita, su tutto il territorio nazionale, ovviamente nel rispetto delle diverse ordinanze regionali.

L’appello di Lagioia al governo

In un intervento ospitato da Internazionale, dal titolo Una proposta per evitare il disastro nel mondo del libro, Nicola Lagioia, scrittore e direttore del Salone del libro di Torino (a proposito: davvero difficile, al momento, fare ipotesi sul futuro prossimo della manifestazione…), ha argomentato: “Sui giornali e in rete c’è stato un vivace dibattito che, se da una parte dimostra quanto il tema appassioni, dall’altra rischia di eclissare una questione di maggiore portata. Ritengo che gli argomenti di chi vuole riaprire siano sensati quanto quelli di chi preferisce non farlo, ma sono anche convinto che questa sia l’occasione per un discorso più ampio. Non vorrei che si scambiasse, insomma, un analgesico per la cura, perché il vero problema è che l’intera filiera del libro rischia letteralmente di crollare su se stessa. Centinaia di famiglie si ritroverebbero in questo caso sul lastrico nei prossimi mesi, la cultura del nostro paese riceverebbe un danno epocale, e non sarà una riapertura anticipata a scongiurare ciò che, più che un pericolo, sta diventando una ragionevole certezza…”.

Gli appelli al governo delle associazioni di categoria

Non è il primo appello che arriva al governo dalla filiera del libro, colpita duramente dal coronavirus. Nelle scorse settimane le principali associazioni di categoria, a partire dall’Aie, in più occasioni si sono rivolte alla politica: “Avete dimenticato il libro. Ma siamo sicuri che lo ricorderete nel decreto di aprile”, hanno scritto nel giorno dell’approvazione in Parlamento del Decreto Cura Italia il presidente dell’Associazione Italiana Editori Ricardo Franco Levi e i quattro vicepresidenti: Andrea Angiolini (presidente del gruppo Accademico Professionale), Giovanni Bonfanti (presidente del gruppo Educativo), Diego Guida (presidente del gruppo Piccoli Editori) e Marco Tarò (presidente del gruppo degli Editori di Varia). Criticando la “mancanza di aiuti specifici per il mondo del libro nelle prime misure varate per far fronte all’emergenza”. E argomentando: “L’editoria italiana, che non ha mai ricevuto aiuti diretti, è oggi allo stremo. Siamo sicuri che il governo interverrà nel decreto di aprile con un fondo a sostegno. Non possiamo permetterci, quando ripartiremo, un mondo senza libri”.

“Risorse aggiuntive per la filiera del libro”

Per ora, l’unica apertura è arrivata dal ministro  dei Beni Culturali e del Turismo Dario Franceschini, che nel “decreto aprile” vorrebbe “avere risorse aggiuntive per tutta la filiera del libro e l’editoria”. Alla vigilia del decreto, infatti, il ministro, come riporta l’Ansa, ha sottolineato l'”assoluta gravità dell’impatto di questa crisi, che rischia di essere a lungo termine, su tutto il mondo della cultura“. Staremo a vedere se (e come) si passerà dalle parole ai fatti.

Chi avrebbe voluto aprire ma non può…

Tra chi avrebbe voluto aprire (ma non può, almeno fino al 3 aprile, a seguito dell’ordinanza del governatore della Lombardia Fontana) c’è Pietro Linzalone, titolare della libreria Trittico di Milano (in via San Vittore). Interpellato dall’agenzia Agi ha espresso una posizione netta, che non troverà d’accordo alcuni suoi colleghi: “Per com’è messa la lettura in questo Paese, ci è stato imposto di diventare presidi socio-culturali, ma un negotium è un’impresa, e il profitto è la misura della bontà di un business”. A suo avviso “è un dovere essere aperti se si ha la possibilità di farlo, in sicurezza. Una volta tutelati i dipendenti, il titolare deve essere in negozio perché questa è la sua mission. Il presidio socio-culturale esiste nel momento in cui c’è una vetrina aperta sulla strada, altrimenti si va a fare un altro lavoro”.

La libreria romana che ha scelto di trasformarsi in punto di raccolta e smistamento di beni primari 

E tra chi, invece, per il momento ha deciso di non riaprire (pur potendo, stando alle normativa della Regione Lazio) c’è la Libreria Teatro Tlon di Roma, nata nell’ottobre del 2016 nella zona Piramide-Ostiense, che ha scelto di non riprendere la normale attività commerciale, ma di trasformarsi in punto di raccolta e smistamento di beni primari.

Nicola Bonimelli e Michele Trionfera, i due librai, spiegano: “La libreria è uno spazio sociale. Al momento questa socialità non è possibile, ma possiamo declinarla in solidarietà: mettiamo a disposizione i nostri spazi per le iniziative solidali del territorio. Nello stesso tempo, decidiamo di non riaprire la libreria come punto vendita e invitiamo i nostri clienti ad acquistare online sui nostri canali. Così proviamo a impedire una pericolosa mobilità: ora più che mai, per essere solidali bisogna essere responsabili”.

Le attività proprie della libreria romana andranno avanti, come nel corso del mese di marzo, con le consegne a domicilio e la conversione delle tipiche attività divulgative in iniziative social. Allo stesso tempo, in collaborazione con il Municipio VIII di Roma, già attivo con le iniziative di sostegno alla cittadinanza previste dal servizio Municipio Solidale – che vanno dalla spesa a domicilio alla diffusione sul sito dei tutorial per rimanere allenati – la libreria diventa un punto di raccolta e smistamento di beni primari che i cittadini vorranno condividere con la parte della comunità più bisognosa.

 

nota: il Libraccio ci ha gentilmente fornito le immagini che corredano questo articolo

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