Un libro e una rosa. Così è conosciuta dai più la festa catalana di Sant Jordi, patrono della Catalogna, nonché “dia del llibre” da molto prima che l’Unesco dichiarasse il 23 aprile Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore… La scrittrice e traduttrice Roberta Marasco racconta su ilLibraio.it il senso più profondo di questo appuntamento: “L’importante è che i libri siano una grande festa. La festa di chi li legge, prima di tutto”

Un libro e una rosa. Così è conosciuta dai più la festa catalana di Sant Jordi, patrono della Catalogna, nonché dia del llibre da molto prima che l’Unesco dichiarasse il 23 aprile Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore. E la rosa? La rosa non viene solo regalata da qualche libraio intraprendente per l’acquisto di un libro. La rosa è il fiore che secondo la leggenda, che qui in Catalogna nessun bambino può non sapere, nasce dal sangue sgorgato dal corpo senza vita del drago, quando il cavaliere Jordi salvò la bella principessa e con lei il paese di Montblanc.

All’origine dell’usanza di regalare una rosa potrebbe esserci anche la Fira dels Enamorats, che si teneva a Barcellona nel XV secolo, quando il Palau de la Generalitat si riempiva di coppie e di fiori; o l’amor cortese che si accompagna alla cavalleria rappresentata dal santo. Quale che sia l’origine dell’usanza, a Sant Jordi la rosa, simbolo di passione, è quasi sempre accompagnata da una spiga, simbolo di fertilità. Il rosso della rosa e il giallo della spiga compongono così i colori della bandiera catalana, spesso presente anche sul nastro che lega insieme le rose, oltre che appesa ai balconi di molte case.

Sant Jordi in Catalogna è un giorno feriale, ma ciò non impedisce che sia prima di tutto una grande festa. È la festa dell’orgoglio nazionale, della cultura catalana, a riempire le strade di libri e di rose. E che sia una festa sentita e vissuta lo dimostra il fatto che è praticamente impossibile, quel giorno, scendere in strada senza imbattersi in un banchetto di libri e di rose. In tempi di crisi, poi, i venditori di rose si moltiplicano, e non c’è quasi scuola che non ospiti davanti alle sue porte un banchetto di libri usati che andranno a finanziare qualche gita di fine anno o qualche altra attività scolastica. Il vero Sant Jordi infatti non è, almeno secondo me, quello più fotografato e celebrato che invade le Ramblas, non è quello degli autografi e degli scrittori famosi, ma quello che nasce spontaneamente a ogni angolo di strada, quello un po’ truffaldino delle rose che durano il tempo di aver riscosso gli euro, quello galante di chi dispensa rose perfino in banca e dal fruttivendolo. È quello dei libri vissuti e rivenduti, dei libri che si fanno orizzonte e mappa di ogni centro abitato, che si tratti di una metropoli o di un pugno di case.

La Diada di Sant Jordi non trova la sua forza nei proclami ufficiali, non è (solo) una grande operazione editoriale o una colossale campagna vivente per fomentare la lettura. La forza della Diada è nei draghi di cartapesta che decorano le pareti delle biblioteche rionali, nelle recite scolastiche in cui qualche genitore malcapitato finisce infilzato da una spada e qualche altro dall’imbarazzo, chiamato a leggere davanti alla classe del figlio.

La festa del libro catalana nasce dalla strada, dall’inventiva, dall’amore per il proprio paese e per la propria cultura. Il 23 aprile è la festa di tutti. Forse solo una partita del Barça riesce a raccogliere una partecipazione così entusiasta e incondizionata, perché la festa del libro non si discute, non si critica, vi si partecipa e basta.

E in un momento in cui la nostra letteratura rischia di farsi seppellire dalle polemiche e dai litigi sempre più sterili e dannosi, sarebbe bello riuscire a raccogliere il messaggio di questa festa. L’importante non è che a regalare un libro sia un uomo o una donna, che il libraio ci aggiunga una spiga o una rosa. L’importante è che i libri parlino di noi, che ci appartengano, che raccontino la nostra storia, che rappresentino il nostro passato e il nostro futuro. L’importante è non prenderli e non prenderci sempre e necessariamente troppo sul serio. L’importante è che i libri siano una grande festa. La festa di chi li legge, prima di tutto. Così in una sorta di versione libresca del Carnevale, per un giorno il lettore scende in piazza e si prende il potere di fare dei libri quel che gli pare, di venderli o comprarli, ribaltando i ruoli, senza regole, perché sui banchi di Sant Jordi sparsi in ogni angolo di Catalogna non c’è spazio per la critica letteraria o per le recensioni o per le classifiche. Ciascuno compra e vende e legge quel che gli pare, quando gli pare e come gli pare. E chissà che non sia proprio questa, alla fine, la strada per salvare il grande drago sofferente dell’editoria.

 

IL LIBRO E L’AUTRICE – Le regole del tè e dell’amore (in libreria per Tre60) è l’ultimo libro di Roberta Marasco. L’amore di Elisa per il tè risale alla sua infanzia. È stata sua madre a insegnarle tutte le regole per preparare questa bevanda e ad associare, come per gioco, ogni persona a una varietà di tè. Daniele, il suo unico grande amore, è tornato dopo tanto tempo. Ma Elisa ha imparato da sua madre a non fidarsi della felicità, a non lasciarsi andare mai, perché il prezzo da pagare potrebbe essere molto alto. Prima di tutto dovrà trovare se stessa, poi potrà capire se Daniele può renderla felice. Quando trova per caso una vecchia scatola di tè con un’etichetta che riporta la scritta ROCCAMORI, il nome di un antico borgo umbro, Elisa ne è certa: si tratta del tè proibito della madre, quello che le fece provare solo una volta e che, lei lo sente, nasconde più di un segreto. Forse proprio lì, in quel borgo antico, Elisa potrà trovare le risposte che cerca e imparare a lasciarsi andare e a fidarsi dell’amore, guidata dall’aroma e dalle regole del tè…

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