“Durante la manifestazione per la giornata internazionale della donna, la statua di Indro Montanelli a Milano è stata ricoperta di vernice rosa. Il giorno dopo è bastato un getto d’acqua ben direzionato a lavarla via tutta. Purtroppo…”. Su ilLibraio.it l’intervento della scrittrice e insegnante Giusi Marchetta che, da docente di storia, risponde a chi chiede di considerare la distanza dalla mentalità dell’epoca…

Durante la manifestazione per la giornata internazionale della donna, la statua di Indro Montanelli a Milano è stata ricoperta di vernice rosa. Il giorno dopo è bastato un getto d’acqua ben direzionato a lavarla via tutta. Purtroppo.

Il gesto delle attiviste femministe ha fatto molto discutere in rete e ha riportato all’attenzione del pubblico un episodio raccapricciante che, a fasi alterne, riemerge dalle nebbie di un passato coloniale mai abbastanza condannato e viene prontamente ricacciata indietro senza che discuterne porti a un effettivo cambiamento nel modo in cui ci rapportiamo alla questione.

I fatti sono ormai alla portata di tutti: partito volontario per l’Etiopia, Montanelli sposò, o meglio, comprò una ragazza dodicenne o quattordicenne chiamata Destà (un “leasing” da 350 lire frutto di contrattazione come lui stesso definì il contratto).

La “moglie etiope” rappresentava una pratica comune durante il colonialismo e il giornalista la racconta in diverse occasioni come un normale episodio di vita quotidiana reso possibile dalla distanza geografica: per una dodicenne etiope cose come l’infibulazione e il matrimonio combinato erano considerati la norma. Anzi, per citare la famosa rubrica in cui Montanelli racconta il fatto, “nei paesi tropicali una ragazza di quattordici anni è già donna e a vent’anni è vecchia”. È una rubrica che risale al 2000 ed è scritta sotto forma di risposta a una lettera di una certa Rossella che dichiara di avere diciotto anni.

Anche io avevo diciotto anni nel 2000. A Rossella vorrei rispondere anch’io.

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Cara Rossella, io non so se tu esisti davvero o non sia stata un semplice fantoccio inventato per mettere il punto una volta per tutte a una questione gravosa. Importa poco perché altre diciottenni del 2000 esistono e tutte abbiamo visto Indro Montanelli in televisione. Tutte abbiamo letto qualcosa che ha scritto. Tutte abbiamo vissuto col mito del padre del giornalismo e del libero pensatore. A questa personalità della Patria è stata dedicata una statua. Una Rossella esistente passa oggi con i suoi bambini per la piazza e i suo figli pensano quello che distrattamente si pensa davanti a un omaggio di pietra o di bronzo: ecco un importante personaggio storico. Credo anch’io che sia la verità: solo che non è tutta.

Sono un’insegnante di Storia e forse per questo mi diverte quasi leggere tutti i commenti a difesa di Montanelli che sostengono di considerare la distanza dalla mentalità dell’epoca. Mi chiedo di quale epoca si stia parlando. La trasmissione in cui Elvira Banotti spiega a Montanelli la ferocia dell’atto è del 1969. “La stanza” in risposta a Rossella è del 2000. In tutti quegli anni non c’è mai stata una riconsiderazione di quello che era accaduto, mai un passo indietro, mai una dichiarazione di rammarico.

E se si torna ancora più indietro, agli anni trenta in cui il “matrimonio” è avvenuto, lo stesso giornalista ne parla come di un’esperienza africana, che andava bene per le quattordicenni etiopi in quanto etiopi. Già negli anni ’60 era possibile inquadrare questo pensiero come frutto di una mentalità coloniale e razzista. Lo aveva fatto benissimo la stessa Banotti in trasmissione. Anni dopo Enzo Biagi intervistando Montanelli sarebbe rimasto in silenzio davanti al racconto dello stesso episodio. Cosa che trovo enormemente interessante.

Esiste una distanza storica che va considerata per capire il pensiero corrente in un’epoca (lo impariamo a scuola e da insegnante mi commuove quasi vedere ribadito un concetto appreso a scuola): quella mentalità però viene studiata dalle epoche successive e il pensiero viene inquadrato per quello che rappresenta. In questo senso il problema non è Montanelli del ’35: è Montanelli del 2000 e, soprattutto, è la statua dopo la sua morte. È fermare nel tempo l’immagine di quel pensiero, onorarla e tramandarla ai figli di Rossella perché la penna non può più scrivere.

Durante una delle guerre della mia adolescenza ricordo un giornalista causare un piccolo dissenso perché annunciando l’apertura di un’inchiesta su alcuni militari italiani che avrebbero abusato di ragazzine tra i dodici e i quattordici anni ricordò ai telespettatori che i quattordici anni nei Balcani non erano gli stessi che in Italia. Ricordo di aver pensato anch’io per un attimo che no certo, non era la stessa cosa.

È evidente che qualcosa nel 2019 impedisce ancora di dedicare a Destà la statua che merita. La Storia è stata impietosa con lei e con le sue sorelle, ma ammettere che oggi il mondo è cambiato e riconosce l’ingiustizia di quanto accaduto è forse chiedere ancora troppo. Si potrebbe però almeno essere onesti con la trasmissione del passato: tenere la statua di Montanelli con la vernice rosa che gli cola addosso perché i figli di Rossella, passando, possano chiedere perché quella statua è così strana e colorata. Perché il mondo pensava che fossero normali cose tremende, diremmo, e vogliamo ricordarci che non è più così.

 

L’AUTRICE – Giusi Marchetta, nata a Milano nel 1982, è cresciuta a Caserta, poi si è trasferita a Napoli. Oggi vive a Torino dove è insegnante. Per Terre di Mezzo ha pubblicato le raccolte di racconti Dai un bacio a chi vuoi tu (2008), con la quale ha vinto il Premio Calvino, e Napoli ore 11 (2010). Il suo primo romanzo, L’iguana non vuole, è stato pubblicato nel 2011 da Rizzoli. Nel 2015 è uscito, per Einaudi, Lettori si cresce. Il suo ultimo romanzo è Dove sei stata, Rizzoli. Per Add ha curato il libro collettivo Tutte le ragazze avanti!

Qui tutti gli articoli scritti da Giusi Marchetta per ilLibraio.it.

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