“Lo strano caso dell’apprendista libraia” (Garzanti) dell’esordiente Deborah Meyler è stato proclamato ‘romanzo dell’anno’ dai librai americani… – Leggi un capito

Deborah Meyler è convinta che l’esperienza più bella della sua vita sia stata lavorare in un negozio di libri e ha deciso di raccontarla. “Lo strano caso dell’apprendista libraia”, il suo romanzo d’esordio pubblicato in Italia da Garzanti (già uscito con successo negli Usa, dov’è stato pubblicato da Simon and Schuster e dove è stato proclamato ‘romanzo dell’anno’ dai librai), racconta il fascino intramontabile delle librerie. L’autrice, infatti, dopo tanti sacrifici è riuscita a salvarne due a New York. Quanto a Esme, la 23enne aspirante libraia protagonista del libro, è incinta e non sa cosa fare; il fidanzato Mitchell, infatti, l’ha lasciata prima che potesse parlargli del bambino…

Ed ecco un estratto dal romanzo, pubblicato per gentile concessione di Garzanti…
Sull’altro lato della strada c’è la Civetta, la libreria dove vado sempre a farmi un giretto. È molto facile non notarla, tuttavia ha radici profonde nella città, e mi piace pensare che condivida qualcosa delle imprese più grandi e più antiche. Un’epoca può ignorare ciò che un’altra aveva amato, e magari l’epoca successiva tornerà a innamorarsene. I musei e le biblioteche servono proprio a salvare dall’oblio, ma dispongono anche di una flotta di piccoli, insignificanti imbarcazioni altrettanto fondamentali. La Civetta è piccola, e di sicuro è molto malandata, ma è piena di nobili intenzioni. La prima cosa che mi ha colpito di quella libreria è stato il nome. Non sembra ideato per attirare fiumi di clienti, e non la distingue da qualsiasi altro negozio di New York. Non c’è neanche un’indicazione che la faccia riconoscere come libreria: potrebbe benissimo essere un bar, o un negozio di animali. Mi piace andarci. È il mio paradiso: qui non mi devo mettere alla prova, come sono costretta a fare di continuo alla Columbia. Posso fare un giretto, oppure limitarmi ad ascoltare. Resta aperta fino a tardi, ogni tanto anche fin dopo mezzanotte. Io di solito ci vado verso sera, quando sono troppo stanca per lavorare ancora. Hanno esattamente il genere di libri che ti aspetteresti: i poeti e gli scrittori che prima o poi ti capiterà di leggere – Milton, Tolstoj, Flaubert, Hegel e Joyce -, ma anche i più assurdi cataloghi e libri di critica. E poi, è chiaro, c’è anche l’odore rassicurante di carta, nuova o vecchia, che ricorda a chiunque la prima volta che si è infilato il naso dentro un libro. Ma quello che mi piace di più è la compagnia: mi piace la gente che lavora lì e i clienti che arrivano a tarda sera per farsi un giretto e scambiare due chiacchiere. George, il laconico e gentile proprietario, è quasi sempre al suo posto, e un po’ meno spesso anche un ragazzo all’incirca della mia età di nome David. Di domenica la responsabile è Mary, che di solito arriva con il cane, Bridget, un enorme pastore tedesco. Ero convinta che la semplice presenza di quel bestione avrebbe scoraggiato i clienti a entrare, ma a quanto pare è l’esatto contrario. La gente entra apposta per vedere Bridget, e finisce per comprare un libro. Di sera il responsabile è Luke, un ragazzo che indossa spesso una bandana. Ha le spalle larghe e non ama parlare. Deve avere una trentina d’anni. Quando è al bancone, senza George nei paraggi, Luke ogni tanto si mette a suonare la chitarra. Mi fa un cenno di saluto quando entro, ma non mi viene mai in mente nulla da dirgli. Mi piace accovacciarmi sull’economica moquette marrone e curiosare nello scaffale di libri d’arte mentre Luke prova e riprova i suoi pezzi. Lui non mi vede perché in mezzo c’è il reparto Sudest asiatico, ma io lo sento.
Il negozio è piccolino, sarà largo poco più di tre metri, e al centro c’è una scala che porta al mezzanino. Ci sono libri su entrambi i lati della scala, in pile precarie, e non sono molti i clienti che hanno il coraggio di inerpicarsi fin lassù, tra le cataste di volumi impolverati. Il pianterreno è pieno di libri ammassati qua e là, che ogni tanto mi diverto a riordinare di nascosto. Ci sono diverse sezioni classificate con etichette di vecchia data, ma confluiscono incessantemente l’una nell’altra come seguendo i flussi della marea: la mitologia si infiltra nella storia, i gialli si mescolano alla religione, mentre la sezione femminista è perennemente minacciata dall’invasione dei libri erotici dallo scaffale di sopra. E quando i libri sugli scaffali sono troppi, anziché essere impilati accanto alla propria sezione, vengono disposti in doppia fila, e l’ordine alfabetico indica semplicemente che i titoli con la A e con la Z sono gli estremi in mezzo ai quali si racchiude la confusione più assoluta.
Mi piacerebbe sapere quando ha aperto; sembra più vecchio della maggior parte dei negozi dell’Upper West Side. Pare quasi che abbia rinunciato al suo splendore per una sorta di comoda trasandatezza, un po’ come Venezia, dove forse non c’è mai stata una fase di splendore immacolato, con l’oro lucido, il legno intatto e la vernice non scalfita. Con ogni probabilità, il negozio ha avuto questo adorabile aspetto stropicciato sin da quando ha aperto per la prima volta la sua porticina sulla Broadway.
(continua in libreria…)

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