“Le città invisibili” di Italo Calvino è un poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. Quando scrisse il romanzo, nel 1972, l’autore parlò di “crisi della vita urbana”, e definì le città invisibili “un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili”. E se oggi, in piena quarantena da Coronavirus, il viaggiatore descritto nel libro finisse in una delle nostre città? Come la descriverebbe?

Quando il viaggiatore arriverà a Vironia, la riconoscerà per via del silenzio. Di certo sarà già stato in altri luoghi silenziosi: paesini di montagna, borghi arroccati, sperdute località di mare. Ma, questa volta, il silenzio gli parrà subito diverso, più pervasivo e meno concreto, una nota costante che vibra in ogni cosa che c’è: i palazzi, i binari dei tram, i marciapiedi, le biciclette parcheggiate. Perfino i dialoghi tra le persone gli sembreranno, a tutti gli effetti, privi di qualsiasi suono. Forse sarà per le mascherine che coprono le bocche e ovattano le voci, forse sarà per quel filo di diffidenza che serpeggia nei loro occhi, o forse, ancora, sarà semplicemente per quella distanza che tutti si ostinano a mantenere: a occhio e croce, si direbbe un metro.

In ogni caso va detto subito: per quanto spopolata, Vironia non è una città vuota, né tanto meno una città fantasma. Qualcuno l’ha erroneamente definita “post apocalittica”, ma per un viaggiatore attento ed esperto sarà chiaro che si tratta semplicemente di una città in agguato: immobile e col respiro sospeso, proprio come gli animali che aspettano pazienti di capire se muoversi in una situazione di pericolo.

A prima vista, Vironia ricorderà gli scenari tipici di una metropoli a Ferragosto. Eppure, a ben guardare, non si scorgerà nulla del torpore e della noia estiva, bensì uno spirito di vita sfinita, che esploderà nei pochissimi luoghi ancora attivi: si segnalano farmacie, supermercati, piccoli alimentari, banche, poste, raramente qualche forno, gli ospedali.

A Vironia hanno cominciato a convivere asfalto e natura in un equilibrio che fa pensare ad alcune località coloniali dell’India del Sud: flora e architettura si assomigliano, si fondono in un unico panorama in cui il profilo delle cattedrali si mescola a quello delle catene montuose. Si potrebbe addirittura dire che abbiano stretto una strana forma d’amicizia, che abbiano imparato a convivere senza farsi la guerra.

A scandire la giornata, come un muezzin a Istanbul, il suono di qualche sirena, a cui segue sempre – e su questo non ci sono dubbi – un momento di preghiera. 

Ma è alla sera che Vironia mostra tutta la sua bellezza. Alle 18, qualche volta, dai balconi – a cui di frequente è legato uno striscione su cui campeggia la scritta Andrà tutto bene affiancata da un arcobaleno – si affaccia qualcuno e si mette a cantare. Spesso è in tuta, oppure in pigiama, insomma un abbigliamento informale e un po’ trasandato, che però ne acutizza l’aspetto simpatico e bonario. Gli altri lo seguono, e tutti all’improvviso si ritrovano a intonare la stessa canzone. La maggior parte si riprende con il telefono, e intanto si commuove e si agita sventolando le braccia. Dura solo qualche minuto, poi torna il solito silenzio. In quel momento è fortemente suggerito sfruttare le ultime ore di luce per spiare all’interno delle finestre rimaste aperte: c’è chi inizia a impastare, chi si mette a fare yoga, chi si ferma su una poltrona a sfogliare un libro. Molti, davanti a uno schermo, se la chiacchierano di gusto. Qualcuno piange, soprattutto bambini, ma non solo bambini.

Intanto è quasi ora di cena, si sente un buon odore di cucinato: è un rider che aspetta sotto un portone. Deve consegnare un paio di pizze bollenti.

Si fa buio lentamente e, alzando gli occhi, si vedono stelle che raramente si potrebbero vedere in una città: tante, e luminose. Ed è allora, in piena notte, che il viaggiatore lo sentirà chiaramente: è la nostalgia che fa battere il cuore di Vironia. E capirà che può chiamarla Vironia, o Milano, o Roma, o Napoli, o Padova, o Bologna, o Perugia, o Catania; perché tanto quella città silenziosa di confini non ne ha, e nemmeno popoli che la abitano, e forse nemmeno esiste per davvero: è soltanto un tempo passeggero, in cui qualsiasi viaggiatore è destinato a non arrivare mai. 

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