Il “metodo Montessori” è ancora attuale. Lo conferma una raccolta di scritti che arriva in libreria. Su ilLibraio.it il capitolo “Premi e castighi per i nostri bambini”

Il “metodo Montessori” è ancora attuale. Lo conferma il fatto che l’editore Garzanti abbia raccolto una serie di scritti di Maria Montessori (Chiaravalle, Ancona, 1870-Noordwijk, L’Aia, 1952) in un saggio dal titolo La scuola è libertà (prefazione di Vittorino Andreoli).

Su ilLibraio.it proponiamo il capitolo “Premi e castighi per i nostri bambini”, dedicato all’educazione dei più piccoli.

Basta applicare tali principi e si vedrà nascere nel bambino una calma che caratterizza e quasi rischiara tutte le sue azioni. Nasce veramente «un nuovo bambino» moralmente più elevato di quello che viene trattato come un impotente e un incapace. Un senso di dignità accompagna quella avvenuta sua liberazione interiore: il fanciullo si interessa oramai alle sue proprie conquiste rimanendo indifferente alle tante piccole tentazioni esterne che avrebbero prima così irresistibilmente stimolato i suoi sentimenti inferiori.

Devo confessare che questa esperienza mi empì di meraviglia. Ero stata io pure sotto l’illusione di uno dei più assurdi procedimenti dell’educazione comune: avevo creduto anch’io che per spingere il bambino a uno sforzo elevato di lavoro e di tranquillità fosse necessario di incoraggiare con un premio esteriore i suoi più bassi sentimenti, come la ghiottoneria, la vanità e l’amor proprio. E fui io pure stupita, constatando poi che il bambino a cui è permesso elevarsi abbandona spontaneamente i suoi bassi istinti. Allora esortai le maestre a desistere dai comuni premi e castighi – che non erano più adatti ai nostri fanciulli – e a limitarsi a dirigere dolcemente il loro lavoro.

Ma niente era più difficile per la maestra che rinunciare a vecchie abitudini e ad antichi pregiudizi.
Specialmente una di esse si industriava, quando ero assente, a rimediare alle mie idee, introducendo un po’ dei metodi ai quali era stata avvezzata. Così un giorno, in una visita improvvisa, sorpresi un bambino, tra i più intelligenti, con una gran croce greca d’argento sostenuta da un vistoso nastro bianco appuntata sul petto; e un bambino seduto in una poltroncina in mezzo alla stanza.

Il primo era stato premiato, il secondo era in castigo. La maestra, almeno in mia presenza, non interveniva con nessuna azione, così le cose rimasero come le trovai. Tacqui, e mi misi a osservare. Il bambino della croce si muoveva avanti e indietro trasportando oggetti dal suo tavolino al tavolo della maestra, affaccendato e intento; e passava più volte innanzi alla poltroncina del castigato. Gli cadde in terra la croce e il fanciullo della poltroncina la raccolse e la guardò bene da tutti i lati, poi disse al compagno: «Vedi che t’è caduto?». Il bambino si voltò e guardò l’oggetto con indifferenza; la sua espressione sembrava dire: «Non m’interrompete» e la voce disse: «Che me ne importa?». «Non t’importa?» soggiunse con grande calma il castigato. «Allora me la metto io.» E l’altro rispose: «Sì, sì, mettila tu» con un tono che sembrava dire: «Ma lasciami in pace!». Il ragazzo della poltrona si appuntò lentamente la croce sul petto, la guardò bene, e si accomodò sulla poltroncina più comodamente, distendendo le braccia sui braccioli. Le cose rimasero così, ed era giusto. Quel pendaglio poteva soddisfare il castigato, non il bambino attivo, contento del suo lavoro.

Un giorno conducevo in una visita a un’altra Casa dei Bambini una signora, la quale lodò molto i fanciulli, e infine in loro presenza aprì una scatola donde trasse molte medagliette d’ottone tutte rilucenti e legate con un nastrino rosso. «La signora maestra le appunterà sul petto dei bambini più buoni e più bravi», disse. Io, siccome non avevo l’obbligo di istruire questa signora sui miei metodi, tacqui; la maestra prese la scatola. Allora un piccino di quattro anni, intelligentissimo, che sedeva tranquillo al primo tavolino, corrugando la fronte e in atto di protesta, si mise a gridare più volte: «Ai maschi no, però; non però ai maschi!».
Quale rivelazione! Il piccino aveva già la coscienza di essere tra i più buoni e i più bravi, benché nessuno glielo avesse fatto rilevare, e non voleva essere offeso da quel premio. Non sapendo come difendersene, invocò la sua qualità di maschio!

In quanto ai castighi, ci siamo più volte trovate innanzi a bambini che disturbavano gli altri, senza dare ascolto alle nostre esortazioni; essi venivano subito osservati in modo particolare dal medico, ma ben spesso si trattava di fanciulli normali. Ponevamo allora un tavolino in un angolo della sala e vi isolavamo il fanciullo, facendolo sedere in una poltroncina di prospetto ai compagni, e dandogli tutti gli oggetti che desiderava. Questo isolamento è riuscito sempre a calmare il fanciullo: dalla sua posizione vedeva l’insieme dei compagni, e la loro maniera d’agire era una lezione oggettiva efficacissima sul contegno, come non potevano esserlo le parole della maestra; a poco a poco rilevava i vantaggi di essere in compagnia, e desiderava di far come gli altri. Abbiamo ricondotto così alla disciplina tutti i bambini che ci sembravano in principio ribelli. Il fanciullo isolato era per lo più oggetto di cure speciali, come se fosse un bisognoso o un malato: io stessa, quando entravo, andavo prima di tutti dritta a lui, facendogli carezze come a un bambino; dopo mi rivolgevo agli altri interessandomi al loro lavoro, come se fossero stati uomini. Non so che cosa avvenisse nella loro anima: ma certo fu sempre definitiva e profonda la «conversione» degli isolati. Essi diventavano poi orgogliosi di saper lavorare e di avere un contegno dignitoso, e per lo più serbavano un tenero affetto per la maestra e per me.

(continua in libreria…)

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