“Ho deciso che avrei scritto ‘Gli Sbagliati del Dubai’ leggendo una frase scritta su un muro di Gratosoglio, periferia sud di Milano. Dove abito: ‘Spero sia un abbaglio, tutta questa oscurità’…”. In un tempo difficile, in cui la precarietà e il relativismo hanno preso il posto dell’eternità dentro l’adolescenza, in cui i ragazzi sono fragili, e in cui cresce sempre più il numero di Neet, Daniela Palumbo racconta su ilLibraio.it cosa l’ha spinta a scrivere il suo nuovo libro, che narra le storie di un gruppo di giovanissimi di periferia

Ho deciso che avrei scritto Gli Sbagliati del Dubai leggendo una frase scritta su un muro di Gratosoglio, periferia sud di Milano. Dove abito.

Spero sia un abbaglio, tutta questa oscurità.

Sono anni che è lì, sui muri scrostati delle Torri del Gratosoglio: brutto il quartiere, brutte le case, ma non tutte le persone, le persone sono uguali dappertutto, brutte e belle. Però se vivi lì – io ci vivo accanto, giusto il tempo di sapere come ci si sente a starci in mezzo, giusto il tempo di ringraziare Dio perché non ci stai dentro – rischi di abituarti a pensare che il buio, la bruttezza, la sciatteria, la sciagura, sia tutt’uno con il tuo destino. Il rischio c’è.

Uno su mille ce la fa, si cantava. Nella palestra di quartiere dove vado io ci andava anche Mahmood, lui ce l’ha fatta. Poi, come ha potuto, è scappato.

Nelle periferie come quella di Gratosoglio – che non è neppure la peggiore, tutt’altro – mediamente  si vive aspettando il miracolo. O aspettando la roba. O portandola ad altri.

La scuola la perdi di vista presto. Oppure, quando ci vai, con tutto quello che ti porti dietro, è lei a fare in modo di perderti di vista. A scuola si scaricano pesi, oggi. Il compito educativo è finito, è iniziato quello selettivo. Non è tutta così la scuola. La tengono in piedi gli insegnanti che cambiano il destino dei ragazzi e delle ragazze con i pesi. Io ne ho visti molti. Ma stanno facendo in modo che si stanchino.

Attenzione, tutto questo, poi, non è neppure vero. Perché io ho conosciuto ragazzi e ragazze che da dentro, dalle periferie, stanno facendo, da soli, il miracolo. Completamente soli. Ma fanno cose, si organizzano, fanno rete con la parte sana del quartiere, e continuano a studiare, e chiedono cultura e servizi. Li inventano. È una minoranza, è un miracolo, ma ci sono.

Per tutti e tutte gli altri c’è l’oscurità che hanno scritto sul muro di Gratosoglio.

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Eppure, chi ha scritto su quel muro, prima di quell’oscurità si è appuntato una speranza, spero sia un abbaglio, ha scritto. Quando la lessi mi sembrò che dentro quella disperazione ci fosse una possibilità, un chiarore, un bagliore. Un’attesa.

E l’attesa non è mai altro dalla speranza.

In Italia i ragazzi e le ragazze che sono chiamati Neet (non studiano, non lavorano, non sono in percorsi di formazione) sono oltre 2 milioni. Gli ultimi dati Istat (2021) dicono che questo maledetto fenomeno interessa il 24% dei ragazzi e delle ragazze italiani. Uno su quattro. Quasi centomila nell’ultimo anno sono usciti da percorsi lavorativi o di studio. Questa condizione riguarda più donne che uomini. 25% sono donne, 21,3% sono uomini. È il dato peggiore in Europa, solo dopo Turchia, Macedonia e Montenegro. Gli sbagliati del Dubai sono creature di confine con quel primato. Vivono in una periferia qualunque. E le luci che li illuminano sono quelle del centro commerciale. Eppure hanno il mare, dentro.

Sfuggono, gli adolescenti fragili, alla rabbia di essere iscritti nei perdenti solo quando sono riconosciuti, visti, amati per quello che sono. Ed è quella la salvezza, se arriva. Arriva quando qualcuno – adulti di riferimento in genere – offre loro un’alternativa alla colonna sonora della società che ci divide in vincenti e perdenti.

I ragazzi e le ragazze del romanzo intravedono questa possibilità. Quando ho visto quella scritta su un muro ho semplicemente ascoltato la domanda di speranza che c’era dentro, e ho voluto che ci fosse qualcuno dall’altra parte dell’oscurità che gli dicesse: sì, è un abbaglio, e anche se non lo fosse, il buio non è invincibile.

Loro otto, nel buio, questo si chiedono: è invincibile?

Mentre scrivevo di Diego, Flavio, Leti, Sestina, Vic e gli altri, sapevo che avrei dovuto rispettarli: dovevano essere credibili. E nel tratteggiarli mi è venuta in mente una cosa dell’adolescenza, mia, di tutti.

Quando ero adolescente qualunque emozione e sentimento io sentissi, era eterno. E di conseguenza tutto quello che sentivo lo era, importante, fondante, unico, rispetto al resto del mondo.

Questa eternità, l’ho capito da adulta, ci consentiva di guardare al mondo con la passione della prima volta, del per sempre, con lo stupore dell’infinito che coinvolge ogni fibra del nostro corpo. Era così. Era bianco o nero, era amici o nemici, era NOI e VOI.

In fondo, amavo la nostra diversità rispetto agli adulti, e non capivo la loro incoerenza.

Oggi la precarietà, il relativismo ha preso il posto dell’eternità dentro l’adolescenza. I luoghi sono precari, la vita lo è perché lo è il lavoro, l’amore, il clima, la pace, i social, la scuola, la salute, il futuro. Nella modernità liquida, che ci ha insegnato a guardare Bauman, è inscritto parte del disorientamento e della paura che rende fragili i nostri figli e figlie. Il naufragio dell’eternità per gli adolescenti è devastante perché il loro orizzonte sta dentro la categoria dell’infinito. E l’infinito ci rende uguali di fronte al mistero della vita. Invece, oggi le nostre vite hanno costruito le fondamenta sulla disuguaglianza sociale. E se un altro ha di più, lo si odia. Si esce la sera, nell’oscurità, si arriva in centro, dalla periferia, per fare male. C’è un capitolo del libro, il numero 18, che ha un titolo (come tutti i capitoli del libro) che richiama un’altra frase scritta su un muro di città: Un cane ferito prima o poi morde.

Vic Leti Diego Valentino Maya Leonardo Sebastiano Sestina, arrivano al mare. Quello che hanno dentro, l’infinito. È un giorno senza adulti, si portano dietro come un fagotto ingombrante l’eternità che cercano di riconoscere in loro, di fermare, dentro un buio magico, che li salva, perché reca l’attesa del futuro.

Daniela Palumbo gli sbagliati del dubai

L’AUTRICE Daniela Palumbo è autrice e giornalista. Scrive per il mensile Scarp de’ tenis, storico giornale di strada della Caritas Ambrosiana. Ha pubblicato il primo libro nel 1998 e da allora ha avuto numerosi riconoscimenti e premi (Il Battello a Vapore, Minerva, Giovanni Arpino, Gigante delle Langhe, Laura Orvieto e altri). Apprezzata nel mondo della scuola e del sociale, i suoi romanzi toccano spesso corde delicate e vicende dolorose, con delicatezza e un occhio attento al racconto umano. Per la casa editrice Paoline ha anche progettato e curato due collane di narrativa per ragazzi, e nel 2015 si è fatta voce di Liliana Segre nel toccante Fino a quando la mia stella brillerà.

daniela palumbo

Daniela Palumbo

Per la collana HotSpot del Castoro (copertina realizzata da Quasirosso) arriva ora in libreria Gli sbagliati del Dubai, una storia di crescita e formazione di un gruppo di ragazzi di oggi, in fuga con tutta la complessità e imperfezione delle loro relazioni ed emozioni, e di quel bisogno di orizzonti che li spinge verso il mare.

Gli sbagliati del Dubai è una storia corale, racconta la periferia di una grande città imprecisata di oggi, i protagonisti sono otto ragazzi e ragazze, fra i 16 e i 18 anni. Questo romanzo si consuma nell’arco di una sola giornata: un onthe-road improvvisato, una fuga necessaria per il sentire di tutti, dal Dubai, un centro commerciale, luogo di illusioni e disillusioni, per finire come nessuno si aspettava.

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