Sullo sfondo di una Bologna che prende vita nei vicoletti e nei dipinti delle chiese, la protagonista di “Un invincibile inverno” di Nicoletta Bianconi ci conduce con sé giù in basso, al fondo di una nevrosi raccontata con uno stile essenziale e intenso che restituisce la fatica della sofferenza – Su ilLibraio.it un estratto
In libreria per Manni Editori, Un invincibile inverno di Nicoletta Bianconi (già autrice di Qualcosa di giallo. Vita di un rappresentante di moquette) narra la storia di un amore mancato, di una donna che passa le giornate accovacciata in poltrona, tesa come una corda fra i ricordi, i sogni da raccontare alla psicanalista e la forza apparente che le dà il digiuno.
Attorno a sé, la protagonista del libro di Bianconi (l’autrice, classe ’73, vive a Bologna dove lavora in una multinazionale) costruisce il vuoto e lo arreda con carta da parati e canzoni francesi, e non riescono a riempirlo la vicina accogliente come una nonna, le nipotine che non hanno paura del mondo, il vecchio maestro di biliardo del giovedì.
Sullo sfondo di una Bologna che prende vita nei vicoletti e nei dipinti delle chiese (e dove vive la stessa autrice classe ’73), la protagonista ci conduce con sé giù in basso, al fondo di una nevrosi raccontata con uno stile essenziale e intenso che restituisce la fatica della sofferenza. Un romanzo in cui il dolore, quello della mente e quello del corpo, è narrato con grazia, un’analisi cristallina del tormento interiore.
L’autrice ha frequentato la scuola di scrittura di Paolo Nori, che del romanzo scrive: “Un poeta russo diceva che il significato principale di una parola, come il sole, nasconde tutti gli altri significati, i quali, però, come le stelle, continuano a esistere anche al buio. E uno scrittore francese diceva che può succedere, nella vita, che una persona scompaia e il mondo si ripopoli. Ecco. Questo succede nel romanzo di Nicoletta Bianconi: una persona scompare, e si accende il buio“.
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Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un estratto:
Capitolo primo
Il gatto della signora Eleonora Zamboni si chiama Perón.
Quando suo marito glielo aveva portato, diciannove anni prima, ti ha raccontato, lei lo aveva chiamato Lillo, perché era di un più bel grigio, quasi lilla, e tu te lo immagini quel colore che ha la lavanda chiara, ma l’aveva chiamato così per poco, perché si era accorta subito che Lillo in realtà era un dittatore.
Infatti nel salotto della signora Eleonora c’è una sola poltrona ricoperta di un tessuto color giallo oro, e quando guarda la televisione lei sta su una sedia e Perón sulla poltrona gialla, che, a guardare bene, ha tanti fili tirati, devono essere state le unghie di Perón.
Suo marito Ermanno lo odiava quel gatto, e, poverino, gli è anche toccato di morire prima lui, e di sicuro seppellirà anche lei, perché lui qui è cattivo, ti dice sempre.
Quando suoni alla porta della signora Eleonora, anche solo per salutarla, per chiederle se ha bisogno di qualcosa, lei ti fa sempre entrare, ti fa aspettare un minuto o anche di più, perché va a prendere le chiavi del cancello, e da dentro il cancello Perón ti guarda da seduto con l’espressione scocciata.
La signora Eleonora è stata la prima persona che hai conosciuto cinque mesi fa, quando sei andata a stare in quel palazzo lì e lei è proprio sul tuo pianerottolo, a muro con te.
Ti ha fatto subito entrare, era contenta che ci andasse qualcuno in quell’appartamento, che era già vuoto da un po’, poi negli ultimi anni c’erano stati degli studenti in affitto, delle volte non si riusciva a dormire, sempre un via vai.
La prima volta che sei entrata sei stata subito avvolta da un odore di brodo che hai riconosciuto e infatti nel cucinotto buio c’era una pentola illuminata solo dalla luce della cappa e dal blu della fiamma.
Sul tavolo tondo c’erano tanti piccoli quadrati di lana colorata fatti all’uncinetto, illuminati solo da una lampada da tavolo, ti aveva detto che con gli avanzi della lana stava facendo una coperta, così, per passarsi il tempo, che in televisione, tanto, non c’è mai niente. Sulle spalle aveva un piccolo scialle azzurro fatto sempre all’uncinetto, e mentre toccava i quadrati di lana hai visto che la fede nel dito le stava molto larga.
Ti ha fatto subito vedere la fotografia incorniciata di suo marito Ermanno, che, poverino, si erano voluti un bene, e lui era molto intelligente, ti ha detto proprio così, infatti faceva sempre le parole crociate.
E mentre te lo racconta apre uno sportello della cucina e prende fuori dei quaderni, che quando li apre ti accorgi che sono delle rubriche, tutte scritte fitto fitto, dove il signor Ermanno scriveva con la biro blu e una grafia ordinatissima le definizioni che trovava man mano che faceva le parole crociate, e quando gli ricapitava la stessa definizione e la trovava nelle sue rubriche era così contento, poverino.
Ne sfogli una a caso e leggi alla lettera G:
Grecale = Vento di Nord-Est
Genuino (non) = Succedaneo
Giardiniere (l’arte del) = Topiaria
Geometria (padre della) = Euclide
Gessetto per sarte = Steatite
Gattamelata (nome) = Erasmo.
Mentre le leggi rimani incantata, e intanto, senza nemmeno accorgertene, conti mentalmente le lettere: succedaneo nove, topiaria otto, Euclide sette… Poi le dici che sono bellissime, che ogni tanto, se te lo permette, vieni a leggere qualche definizione.
E lei era così contenta, perché, ti ha detto, di figli non ne ha, di nipoti solo un figlio di suo fratello che abita a Bruxelles, chi lo vede mai, dev’essere un pezzo grosso, se ogni tanto suoni lei è contenta, che ormai non parla più con nessuno.
Poi ti ha fatto una carezza con la sua mano magra e ti ha chiesto: e tu, cocca?
E tu, nella cucina piena di profumo di brodo e poco illuminata della signora Eleonora Zamboni, appena conosciuta, mentre metti in ordine di colore, dal bianco candido al blu notte, dei piccoli quadrati di lana fatti all’uncinetto, hai pianto.
(continua in libreria…)
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