Con “SuperTondelli”, di cui pubblichiamo un capitolo (dedicato alle passioni musicali dello scrittore di Correggio, autore di libri cult come “Altri libertini” e “Camere separate”), Enrico Brizzi firma un appassionato omaggio al “maestro della sua generazione”, Pier Vittorio Tondelli, a 70 anni dalla nascita e a quasi 35 anni dalla prematura scomparsa

Pier Vittorio Tondelli se n’è andato quando ancora andavo al liceo; l’ho solo sfiorato, eppure ho sempre lavorato nel suo solco, credendo nelle sue indicazioni. Sono trascorsi tre decenni pieni da quando ho scelto di ricordarlo nella dedica del mio romanzo d’esordio. Da allora, nelle interviste e nei miei scritti, non ho più smesso di citarlo in qualità di pioniere e ispiratore. E provo un brivido di orgoglio ogni volta che un lettore mi ringrazia per avergli fatto conoscere l’opera di Tondelli”.

A 70 anni dalla nascita di Tondelli (14 settembre 1955 – 16 dicembre 1991), lo scrittore Enrico Brizzi dedica un libro appassionato al “maestro della sua generazione”: SuperTondelli – Il mio amico segreto, edito da HarperCollins Italia e in libreria il 26 settembre.

L’autore dell’esordio cult Jack Frusciante è uscito dal gruppo, nato a Bologna nel 1974, si sofferma sulle contraddizioni e sulle passioni di Tondelli.

Con romanzi come Altri Libertini e Camere Separate, l’autore emiliano ha sconvolto i canoni della narrativa italiana, dando vita a storie che sfidavano le convenzioni sociali e culturali del suo tempo e provavano a smantellarle.

A quasi 35 anni dalla prematura scomparsa dello scrittore di Correggio, Brizzi firma così quello che viene presentato come “un omaggio a un maestro, il tentativo di raccontare l’impronta che Pier Vittorio ha lasciato su chi, grazie a lui, ha imparato a raccontarsi, confermando ai lettori contemporanei il valore intatto di un’opera che continua a parlarci con incredibile precisione”.

Copertina di SuperTondelli di Enrico Brizzi

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto, in cui si dà spazio a una delle tante passioni di Pier Vittorio Tondelli, quella per la musica, italiana e internazionale:

(…)

Il giovane Tondelli vive in una prateria sospesa tra il conformismo piccolo-borghese, i fremiti rivoluzionari e un’attrazione compulsiva per il sogno americano. Lui e i suoi amici vanno pazzi per i Levi’s e le magliette impreziosite dagli emblemi delle università d’oltreoceano, i film della New Hollywood e certi vinili inauditi. Il rock americano e anglosassone, arrivato in Italia attraverso il filtro del beat, in questi anni vede al centro della scena moderni menestrelli capaci di denunciare in musica le storture del mondo e le speranze di una gioventù che non vuole più saperne di militarismo, capitalismo e valori borghesi. Bob Dylan è già un mito, Blowin’ in the Wind e The Times They Are A-Changin’ sono pezzi fissi del repertorio di qualunque congrega di ragazzi dotati di chitarra, compresi quelli del gruppo parrocchiale; i giovani cattolici d’area progressista e quelli che crescono nelle file della fgci condividono il rifiuto del militarismo e la paura dell’atomica; gli uni e gli altri protestano contro la guerra in Indocina, intonano a una voce Give Peace a Chance di Lennon e Yoko Ono e le ballate rabbiose di Eric Burdon. Gli appassionati del rock più viscerale impazziscono per nuove band, circondate da un’aura di maledettismo e un incredibile talento per trasformare le proprie esibizioni in eventi devastanti: arriva anche in Italia la musica visionaria dei Pink Floyd, il blues scapigliato dei Doors e quello abrasivo dei Led Zeppelin, arrivano gli Who dell’“opera rock” Tommy e i sempre più carnali Rolling Stones di Sympathy for the Devil. Mentre la maggior parte dei coetanei smania per Jim Morrison o gli assoli di Jimmy Page, a rapire il cuore gentile di Pier Vittorio è più di ogni altro Leonard Cohen, nato in Canada da una famiglia di profughi ebrei dell’Est Europa e interprete di squisita malinconia: il ragazzo di Correggio si strugge nell’ascoltare Suzanne, la storia di una ragazza mezza matta nella quale c’è spazio per i miracoli di Gesù. “Lo rivedo ancora nei corridoi del Rinaldo Corso” racconta Fausta Casarini, “mentre sta leggendo dei fogli ciclostilati (solo da questo particolare si intuisce la siderale distanza temporale) con la traduzione dei testi delle canzoni di Cohen.” Sarà solo il primo fra i cantanti di cui Tondelli si periterà di studiare le liriche, che considera poesia a pieno titolo e che tanta parte avranno nella composizione della sua opera. Scriverà Tondelli, ricordando gli anni del ginnasio:

Ai nostri tempi delle mele, in anni a cavallo fra il 1968 e il 1971, usciti dalla scuola dell’obbligo e non ancora liceali, in provincia usavamo moltissimo le feste da ballo del sabato sera. Il problema era allora quello se tenere accesa o spenta la luce, se distribuire alcolici o meno (ma non si sarebbe andati comunque al di là di qualche birra o Martini bianco), se toccare le rotondità profumate delle ragazze, o se baciare in bocca, pratica ritenuta comunque lasciva e da grandi. Colonne sonore di quei party, inevitabilmente, gli slow che andavano da Eloise di Barry Ryan a If dei Pink Floyd, a I Talk to the Wind dei King Crimson, a Michelle dei Beatles, per altri ritenuti vecchi e decrepiti miti dei nostri fratelli maggiori. E naturalmente Lucio Battisti.

La sua passione giovanile per il cantante laziale si trasforma, attraverso il filtro della memoria, in una collezione di madeleine all’italiana che potrebbero essere condivise da molti fra i suoi coetanei:

La prima volta che ho abbracciato, durante uno di quei pomeriggi, una ragazza è stato ascoltando Mi ritorni in mente, capolavoro di quell’idolo che travolgeva le mie amiche e che a me piaceva non tanto come personaggio, ma proprio per le sue musiche, i temi dell’amore felice e sospirante, una certa sua modernità di perdizione, il ritmo, diciamo pure la poesia. In una gita scolastica alle Cinque Terre, Acqua azzurra, acqua chiara fu l’accompagnamento musicale ed ecologico più adatto; Emozioni andò benissimo un po’ più tardi in certi pomeriggi lenti e sospesi nella media Padana; Fiori rosa, fiori di pesco si cantò a squarciagola sul pullman dei campeggi estivi.

L’autore ricorda che Battisti lo si sarebbe abbandonato verso il ’77, a favore di cantautori più impegnati, “non perché le sue canzoni non piacessero, ma forse perché si era cresciuti e già era il tempo di Francesco Guccini, di Francesco De Gregori, di Antonello Venditti, degli Inti-Illimani e, bene o male, si era passati attraverso l’ineguagliabile esperienza radiofonica di Per voi giovani”. Il riferimento è alla più innovativa fra le trasmissioni radiofoniche della Rai in ambito musicale, condotta inizialmente dal deus ex machina Renzo Arbore, e poi da un ventaglio di presentatori inclini a mandare in onda pezzi rock e progressive che non trovano cittadinanza in altre trasmissioni. Tondelli mette a fuoco una caratteristica non ovvia del cantante-icona di quegli anni:

Lucio Battisti fu comunque, in quei primi anni Settanta, il più compiuto esempio di una musica leggera d’autore che, da un lato, non tendeva verso la monocromia e il folk dei cantautori e, dall’altro, rifluiva dall’establishment canoro italiano, ripetitivo e melodico. Riempiva gli stadi e i palazzetti come anni dopo succederà solo a Claudio Baglioni. Una grande figura di professionista in anni in cui di professionismo non si parlava forse tanto.

Codice Tondelli. La pagina è pelle, la parola è desiderio

“Un mosaico vivo e commosso intorno a Tondelli, mito irregolare della letteratura italiana, talento inquieto e profeta di un’idea esplosiva: che scrivere significa vivere, fino in fondo, fino all’osso”. Dopo Codice Canalini, Giulio Milani firma per Transeuropa Codice Tondelli. Con le voci di Ugo Marchetti, Aldo Tagliaferri, Paolo Landi, Elisabetta Sgarbi, dei commilitoni di Pao Pao, e di amici e complici sparsi tra Bologna, Roma, Milano, Firenze e Correggio…

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Talmente profondo è l’influsso di Battisti sulla generazione degli adolescenti cresciuti “a cavallo fra il 1968 e il 1971” che Tondelli sentirà, a distanza di anni, l’urgenza di spiegarsene la ragione

Resta, comunque, il mistero di come con tutta quella Woodstock, quell’isola di Wight, quei concerti per il Bangladesh, quelle prime morti per overdose, quelle lotte studentesche, quegli anni della repressione, Battisti sia piaciuto e sia stato così tanto amato. In particolare da una classe di giovani perbene, cui riusciva a dare il gusto del brivido, fors’anche del proibito, e le vibrazioni dei primi approcci sessuali. Resta il mistero di come il suo poster fosse appeso nelle camere fra Che Guevara, don Milani e Carlo Marx. Fra le foto dei B52 che bombardavano il Vietnam e Jimi Hendrix che tirava, inebriatissimo, da un chiloom. Forse, Battisti, come nessun altro in quegli anni, riuscì a cantare di sentimenti ed emozioni adolescenziali, di grandi fughe e grandi dispiaceri, eseguendo belle canzoni da mandare a memoria e quindi incomparabili refrain per la barba e la doccia, per il petting e per quei cori attorno al falò su una spiaggia o in una baita di montagna, con dieci chitarre per volta a dirigere giovani ugole innamorate e malinconiche, prima della rivoluzione.

«Vicky vestiva come tutti gli altri: jeans, maglietta in estate e maglione nella stagione fredda. Ai piedi, le Clarks. Era già altissimo, e nonostante la magrezza si muoveva con aria cauta, come se gli dispiacesse occupare più spazio del dovuto.» Questo ricordo inedito del Nostro arriva invece dalla viva voce di Tony Farinelli, un amico musicista di Correggio che con PVT ha avuto un rapporto tenero e speciale: più giovane di dieci anni rispetto al futuro scrittore, Tony era il figlio della parrucchiera che aveva la sua bottega dirimpetto al negozio di alimentari di Brenno e Marta Tondelli. Ai tempi delle elementari, una volta rientrato da scuola, il bambino veniva tenuto sott’occhio dalla madre nel proprio negozio, ma lui mordeva il freno per raggiungere un amico particolare.

Il fratello maggiore, Giulio, era già iscritto a Medicina, mentre Vicky era ancora alle superiori, ma naturalmente con gli occhi di un bambino di sette anni lo vedevo già grandissimo. Era proprio quello, per me: il mio amico grande, e come lo vedevo apparire mi sbracciavo per salutarlo – «Vicky! Vicky!» – e correre da lui. Mi teneva con sé nel retrobottega dell’attività di famiglia a fare i compiti o disegnare, mentre lui era impegnato a sua volta fra testi di studio e letture in libertà. Mia madre era tranquilla nel sapermi con lui perché Vittorio, come lo chiamavano i grandi, era cortese e di indole mitissima. Ogni tanto lei dava una voce alla Marta, la mamma di Vicky, per sapere se fossi sempre lì; quella, allora, ripeteva da dietro il bancone la domanda a Vicky: «È lì con te Tony?».
«Sono qui!» assicuravo, mentre lui, assorto com’era nelle sue letture, si limitava semplicemente ad annuire. Solo quando mi vedeva irrequieto metteva da parte i libri, e cercava di tenermi occupato. Allora mi insegnava a riconoscere le carte da briscola, o s’inventava qualche gioco per me.

La scuola italiana, secondo la cruda definizione di don Milani, ha una perversa vocazione da “ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Ciò non toglie che nelle aule del liceo il giovane Tondelli faccia la conoscenza di testi e autori capaci di colpirlo profondamente. Ecco i repertori di novelle, dal Decameron in giù, che serviranno da modello alla struttura di Altri libertini; ecco le voci da cantastorie d’eccellenza del Boiardo e dell’Ariosto, glorie della corte estense studiate con particolare attenzione in terra d’Emilia; ed ecco le loro istanze epiche in cui trovano spazio il gusto del paradosso e l’ammiccamento al pubblico. Il primo innamoramento consapevole è per il romanticismo: il Werther di Goethe e lo Jacopo Ortis di Foscolo vengono eletti a compagni di strada, amici invisibili che scorteranno il Nostro ben oltre l’esame di maturità, tanto che a loro dedicherà la sua prima lettura teatrale. Per il momento, si accontenta di leggerli e meditarli, di interrogarsi con loro di fronte agli enigmi della vita. Se c’è un aspetto della sua personalità sulla quale le fonti correggesi concordano è che Vicky è un adolescente timido e quieto che passa buona parte delle sue giornate con un libro in mano. Pochi sanno che in privato dipinge, e solo le amicizie più strette immaginano che presto si metterà a scrivere.

“A sedici anni eravamo ormai entrati nell’età che Vicky amava definire degli scoramenti” scrive Fausta Casarini.

Ci struggevamo alla ricerca di una soluzione per quelle che ci sembravano laceranti contraddizioni. Il nostro tran-tran si consumava comunque fra piccoli piaceri e riti quotidiani: il liceo Rinaldo Corso, i pomeriggi ad ascoltare. Per voi giovani, il giro sotto i portici alle sei, la sosta da Scaltriti per un libro, le serate al cinema, le partite di pallacanestro alla domenica e le immancabili estati in montagna con la parrocchia.

Enrico Brizzi nella foto di Sara Vago

Enrico Brizzi nella foto di Sara Vago

È sempre Casarini a fornirci una descrizione della camera che l’amico occupa nella casa dei genitori al grattacielo di viale Saltini, “rifugio di altri pomeriggi di chiacchiere, tè al gelsomino, sospiri e struggimenti per i primi amori delusi. Le pareti tappezzate dalle locandine originali di Cabaret e Cane di paglia, dai quadri che lui stesso dipingeva ispirati dai dipinti di Dino Buzzati”.

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Sarà lo stesso PVT, in quei Biglietti agli amici che restano il suo libro più misterioso, a raccontare del delicato passaggio di età in cui ancora non si sentiva chiamato dalla narrativa. “Quando era giovane non aveva la scrittura ed era solito dire agli amici: ‘I paesaggi, le città non mi interessano perché non li posso far miei. Non li posso mangiare’.” Solo una volta iniziato ai misteri dello scrivere ritroverà “nei confronti del mondo esterno quella curiosità che aveva nella fanciullezza”, ma è proprio negli anni introversi dell’adolescenza che si delineano le prime passioni culturali. Comincia a “far suoi”, a “mangiare”, dischi, libri, riviste, film, spettacoli teatrali, e scopre, non senza turbamento, che quella materia nobile e inafferrabile, affine a quella di cui son fatti i sogni, è davvero in grado di nutrirlo. C’è dell’altro, oltre il meriggiare sonnacchioso dei portici e gli orizzonti della prateria. Inizia a intuire il respiro del mondo, di quell’“altrove” a forti tinte urbane che lo calamiterà fra Bologna e Firenze, Roma e Milano, abitatore a intermittenza di case proprie e altrui. Tutte faranno da campo base per un carosello sempre più intenso, man mano che la fortuna lavorativa gli arriderà, di viaggi verso le grandi capitali europee e gli avamposti dell’avanguardia, oppure verso vacanze tanto sospirate quanto operose nella Spagna fracassona che risorge da decenni di dittatura, o in qualche isola fuori mano del Mediterraneo. Ma tutto questo è ancora molto lontano nell’“età degli scoramenti”: si è appena voltata la pagina dei decenni, e i Settanta nuovi di zecca si annunciano carichi di promesse e tensioni.

© 2025 Enrico Brizzi
© 2025 HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 – 20135 Milano – www.harpercollins.it. Prima edizione HarperCollins settembre 2025

(continua in libreria…)

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