Un esperimento dichiaratamente letterario (sin dalla copertina), dedicato alla pacata epica di una vita che fa inesorabilmente il suo corso: “Platone”, il nuovo romanzo dello scrittore Matteo Nucci, accompagna con grazia nell’Atene del V secolo a.C., per presentarci l’uomo dietro il grande filosofo, e i luoghi e gli incontri che hanno ispirato le sue opere più importanti. Un libro che, soprattutto, indaga il suo rapporto con la Morte e con l’Eros (che sembra di ripercorrere come in un lento e poetico sogno)

Aristocle, un “ragazzino timido e determinato, acuto e taciturno, bramoso di conoscenze e di esperienze”, lo chiama lo Straniero. È un uomo più grande di lui, che viene da lontano: lontano nello spazio, lontano nel tempo.

Noi, questo Straniero, possiamo chiamarlo il Narratore. E verosimilmente anche l’Autore, colui che si fa strada in punta di piedi nella florida ma corrotta Atene del V secolo a.C. per dare vita a Platone (Feltrinelli), un romanzo sugli amori, i viaggi e il pensiero di uno dei più importanti filosofi dell’antica Grecia.

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Al secolo Aristocle, per l’appunto, ma poi noto come Platone (427-347 a.C.) per l’ampiezza della fronte, delle spalle e della sua scrittura.

Lo conosciamo, quindi, attraverso gli occhi di un altro, come spesso accade quando si racconta Una storia d’amore (qui, non a caso, sottotitolo dell’opera), e venendo a sapere di lui tutto ciò che Matteo Nucci, noto autore romano classe 1970, ha studiato e osservato per molto tempo.

Platone, una storia d'amore di Matteo Nucci

Il risultato è un esperimento dichiaratamente letterario sin dalla copertina, dedicato alla pacata epica di una vita che fa inesorabilmente il suo corso. Platone nasce infatti tra le coincidenze, cresce tra le poesie, matura tra i tradimenti.

Riscoprendo il ritratto di un illustre cittadino, rimasto sempre a contatto diretto col mondo, nonostante la nostalgia del ritorno a casa, nella quale inciampa di continuo, stringiamo la mano all’uomo prima ancora che al filosofo, dal giorno in cui viene alla luce a quello che segue la sua morte.

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Com’è dunque Platone, secondo Matteo Nucci? Esitante, finché non viene provocato o ferito, o finché non avrà navigato per un buon pezzo della sua vita. Contemplativo, eppure legato – per vocazione, per circostanze parentali, per dovere morale – alla politica del suo tempo. Perennemente in viaggio, nello sforzo di curare un’anima che ha sete di novità e tuttavia di quiete, e che trova ospitalità a Siracusa, a Taranto. Ma anche a Cirene, in Egitto, a Sparta.

Se è agitato, Platone, se non trova pace, è anche perché colui che ha perso è il maestro Socrate. “Tutto per Platone ebbe a che fare con la morte“, scrive Nucci a proposito della sua esperienza tra le cime dell’Etna. Tutto, anche quando si confronta con gli altri crateri dell’esistenza. Che è un po’ come dire che tutto, per lui, ebbe a che fare con l’Eros. Scomparso l’uomo che lo aveva, fra gli altri, iniziato alla filosofia, il modello paradigmatico che lui, ancora ragazzo, non era stato in grado di difendere in tribunale, e che si era procurato da solo la peggiore delle sorti, Platone ha così modo di rinascere grazie alla forza propulsiva di un amore interrotto.

Inizia a scrivere, si sposta, riflette e, soprattutto, cambia idea senza sosta. Perché la sua non è un’ascesa lineare e perché, al netto della sua presunzione giovanile, più cresce e meno certezze intuisce di avere in canna (“Siete tutti ragazzini, voi Greci. […] Avete la freschezza dell’incoscienza. Per questo credete di poter conoscere. Ma conoscere è impossibile”).

Accompagnarlo alla ricerca di sé stesso è perciò un processo elegante, che risulta quasi naturale. Merito dei dialoghi finissimi dell’autore e di un’atmosfera incantata ma puntuale, come certi quadri di Canaletto (1697-1768), che colgono di soppiatto l’alba di Venezia.

Qui l’alba si vede piuttosto dal Pireo, il porto di Atene nel quale si apre il racconto, e che avrà un ruolo chiave in molte fasi dell’esperienza di Platone. Ma la sostanza non cambia.

A guidarci è la fiducia in un narratore che è Straniero quanto noi, e che però si muove fluido dentro la trama, puntellando sempre più spesso il suo racconto di micro-riflessioni sulle opere di Platone (dall’Apologia di Socrate al Timeo, dal Fedro al Fedone, fino ad arrivare al Simposio e alla Repubblica), come anche sul valore delle sue relazioni personali.

Che si tratti di rapporti di amicizia o più intellettuali, familiari o amorosi, gli slanci del filosofo ci permettono di ricostruire una toccante enciclopedia dei suoi stati d’animo, utile a inquadrare con più affetto la sua figura e a fare chiarezza, in parallelo, sulle pulsioni e i desideri che dimorano anche in noi:

Perché la tua anima non è affatto misteriosa come hai sempre lasciato credere e anzi puoi indagarla se questo desiderio si trasforma.

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E così, quando si chiude il libro, 547 pagine dopo l’inizio di questa traversata su una biga alata, la sensazione è quella di esserci appena svegliati da un lento e poetico sogno. Il sogno del pensatore che fondò l’Accademia, dove avrebbe studiato anche il grande Aristotele (384-322 a.C.); il sogno di un cigno (proprio in questa forma Platone sognò sé stesso appena prima di morire), che sfiora l’amore e se ne lascia distruggere, e che lo vive e lo sublima e lo codifica come nessun altro prima di lui, restituendogli tutta la sua mistica “eternità dell’effimero“; il sogno di chi ha imparato a sue spese che “bisogna sempre andare verso la paura“, e che solo dopo averla attraversata si può guardare in faccia un lutto senza franare, e accettare le sconfitte, e le delusioni, e le rinunce.

Come pure, il sogno di un incontro impossibile fra lo Straniero e Platone, che qui si frequentano, e si consigliano, e condividono il pane, amandosi di un sentimento fraterno e ammirato, che le pagine del romanzo possono rendere non solo reale, ma addirittura immortale. E, proprio per questo, profondamente erotico.

L’amore assoluto, quello che ci sfugge di continuo, ecco il segreto dell’enigma. […] L’amore che non si realizza mai perché siamo noi che dobbiamo rincorrerlo fino alla fine e solo finendo poi deflagrerà.

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Fotografia header: "La Scuola di Atene", Raffaello Sanzio (affresco, 1509-1511, Musei Vaticani)

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