I voti degli studenti meridionali, specie quelli dell’esame di Maturità, sono mediamente più alti di quelli del Nord d’Italia? Il tema fa discutere. Su ilLibraio.it interviene la scrittrice e insegnante Simonetta Tassinari, che difende la scuola del Sud

Nel dibattito aperto su ilLibraio.it da Marco Capogrosso, sui voti “gonfiati” degli studenti del Sud, interviene la scrittrice e insegnante Simonetta Tassinari *

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I voti degli studenti meridionali, specie quelli dell’esame di Maturità, sono mediamente più alti di quelli del Nord d’Italia? Lo si è già letto, e il giovane ricercatore Marco Capogrosso, cervello in fuga (ahimè, come tanti), riaffronta l’argomento nel suo recente articolo pubblicato da ilLibraio.it. Sì, forse è vero: ma è poi così importante? Non si tratta di difendere il proprio campanile scolasticamente parlando (insegno in Molise), perché in gioco c’è ben altro. Innanzitutto va chiarito che valutare con “cento” un alunno non significa affibbiargli una patente di genialità (quella, se c’è, verrà fuori con il tempo): soltanto stabilire che ha completamente raggiunto gli obiettivi del proprio corso di studio. Tantomeno “cento e Lode” significa che i commissari ritengano di essersi imbattuti in un redivivo Enrico Fermi: soltanto che l’esame è stato molto brillantemente superato.

Sicuramente sull’esito del voto finale (del resto chi se ne lascia impressionare, ormai? Nessuno è mai arrivato chissà dove soltanto con i voti scolastici!), molto è affidato alla discrezionalità dei commissari, i quali non sono comunque in linea di massima, al Sud, come qualcuno potrebbe sospettare, più portati ad ascoltare telefonate di “segnalazione” o a ricevere capretti e triglie in dono dalle famiglie dei candidati- ve lo garantisco: in fondo il Molise è il nord del Sud, ma pur sempre Sud. Tuttavia la discrezionalità impera ovunque: nella decisione di ricoverare o di non ricoverare un paziente; nella cura da somministrargli, nell’operazione chirurgica al quale sottoporlo; nell’interpretare analisi cliniche, nell’assegnare una carica in un consiglio d’amministrazione, nello scegliere una tecnica di costruzione. Ma, al di là del fattore umano (“Non c’è alcun oggetto senza soggetto”, si sostiene in filosofia), per comprendere se davvero un voto sia stato gonfiato, regalato, sovradimensionato, o addirittura “suggerito”, bisognerebbe averne la riprova: insomma, domandarsi che cosa abbiano combinato, dopo aver lasciato le aule di un “compiacente” liceo meridionale, i ragazzi che hanno ottenuto i cento e i cento e lode (ammesso che) a pioggia. Quanti di loro sono entrati nelle Facoltà universitarie a numero programmato, quanti alla Bocconi di Milano, alla “Normale” di Pisa, alla LUISS di Roma, all’Università Cattolica del Sacro cuore e così via? Quanti di questi studenti col voto “gonfiato” si sono laureati nel tempo giusto, hanno proseguito con un dottorato o un assegno di ricerca? Qualcuno li ha assunti, oppure stanno ancora, raminghi, a impetrare i buoni uffici dei genitori e dei loro professori “compiacenti”?
Più che il voto, è la sostanza che conta; sembrerebbe, dati i risultati, che i nostri studenti siano capaci, eccome, di “raccogliere le sfide tecnologiche e culturali”( cito dall’articolo) della contemporaneità.

La velata accusa di falsare le carte in tavola al Sud s’infrange con l’evidenza che moltissimi laureati meridionali, soprattutto in discipline scientifiche, ma non esclusivamente (penso, nella mia semplice esperienza, a giovani ricercatori di Latino, Italiano, Etica, Filosofia che hanno fatto o stanno facendo carriera in Europa e negli Stati uniti) , con scuole superiori e università frequentate al Sud, trovano una eccellente collocazione all’estero. Credo che la City di Londra pulluli di miei ex alunni laureati in Economia; per non parlare dei fisici, dei chimici e degli ingegneri presenti al C.E.R.N., in istituti di ricerca internazionali, dalla California alla Svezia; e taccio dei giornalisti che lavorano nelle redazioni di importanti quotidiani nazionali, e dei medici impegnati nella ricerca in laboratori internazionali.

Bé, qualcosa avremo loro pure insegnato, magari arrancando, affidandoci alle individualità più che al Sistema (trovatemi un caso in questo non avviene. In cui è il meccanismo in grande a far funzionare le rotelle, e non viceversa).

Peraltro, il discorso si potrebbe allargare ai laureati italiani in generale: se la scuola italiana, si sente dire, non funziona, e neanche l’università, com’è che i nostri laureati bravi se li prendono tutti, li vogliono tutti? (Peccato per noi, si capisce: dopo tutto quello che abbiamo fatto- e speso- per formarli).

Intendiamoci.  Esistono senz’altro alcune scuole, dalle elementari a quelle superiori, che posseggono un profilo culturale e didattico superiore ad altre, così come alcuni ospedali, alcune università, alcune amministrazioni pubbliche: casi in cui una felice concomitanza di eventi, e di variabili sfuggenti (la fortuna, una particolare attenzione da parte dei dirigenti alla qualità, lo spirito di gruppo, l’emulazione, le alte aspettative) hanno innalzato il livello. Suppongo, tuttavia, che la dislocazione geografica c’entri assai poco. Vogliamo procedere alla formulazione di una mappa? Com’è che ancora non si è parlato dell’incidenza di “dieci” all’esame di licenza elementare e della scuola media? E che cosa si terrà presente, per stabilire la mappa delle Scuole- con- una- valutazione-obiettiva? Spero non le prove INVALSI, da sempre sugli scudi per mille motivi che non sto qui ad elencare. È naturale che un fisico come Marco Capogrosso possegga un rispetto per le tabelle e i numeri che io, da prof di filosofia, per definizione ondivaga, spesso contraddittoria- chi inneggia al “Logos”, e chi lo fa nei confronti della fantasia o dei “battiti di polso”- non ho: anzi, più invecchio, e più divento scettica.

Affermare che gli insegnanti del Sud siano di manica larga significa rendere oggettiva e costante una disposizione d’animo; si tratta di un giudizio di valore, estremamente pericoloso; equivarrebbe ad affermare che sono simpatici o antipatici, affettuosi o scostanti. Nell’articolo si coglie anche un accenno al familismo, che al Sud si tramuta, spesso, nel “pacco” preparato per il figlio o la figlia che studiano o lavorano lontano. Confesso che non mi sembra poi un così gran peccato inviare ai propri ragazzi la salsiccia fatta in casa, né un modo subdolo per fiaccarne il carattere e costringerli a ritornare da mamma e papà dimenticando i sogni di gloria. Del resto mi chiedo anche se i coetanei settentrionali di Marco Capogrosso (non me ne voglia, potrebbe anagraficamente essere stato un mio alunno), che di “pacchi” non ne hanno mai ricevuti e la salsiccia se la sono solo sognata, sono per questo migliorati nel rendimento e hanno avuto più successo?

Quanto ai trascorsi scolastici dello scienziato, il fatto che per lui la scuola sia stata “una passeggiata” (ma quanti studenti del Nord hanno, a loro volta, passeggiato?), può essere interpretato in diversi modi: A) era particolarmente dotato (e lo si è visto), e non faceva fatica a studiare; B) ha avuto professori generosi come ne esistono ovunque, benché io non creda che per tutti i suoi compagni il liceo sia stato per l’appunto solo una passeggiata; C) proveniva da un ambiente familiare favorevole in cui ci si esprimeva correttamente, circolavano libri, l’informatica era di casa, si preferiva “Superquark” a “Beautiful”(senza offesa per “Beautiful” e per chi lo segue, ma di certo non vi si parla di fisica).

Non dimentichiamo, infine, che una sostanziosissima fetta di dirigenti e di insegnanti del Nord ha origini meridionali (personalmente, mi è accaduto l’esatto contrario), dunque, che cosa pensare?

Che l’aria del Nord renda più severi, o restringa la famosa manica?
Mi colpisce anche l’invito alle Autorità ( stavolta non velato), ad occuparsi della “questione”: caspita, noi prof del Sud siamo una questione? Addirittura? Ci si potrebbe cominciare il primo Collegio dei docenti dell’anno: “Esimi colleghi, come potremo evitare di rappresentare una questione per il resto d’Italia?”.
Ma su…

L’AUTRICE – Nel 2015 Simonetta Tassinari ha pubblicato La casa di tutte le guerre, romanzo ambientato in Romagna nell’estate 1967. Il 6 ottobre il suo ritorno in libreria, sempre per Corbaccio, con La sorella di Schopenhauer era una escort.

Sarà un libro per i genitori, per i ragazzi, per chi non è genitore e non è neanche un ragazzo, per i curiosi, per chi vuole sorridere, e leggere, della scuola italiana.  Un ritratto divertente della generazione smartphone-munita, che va alla radice del bisogno di fingersi più bravi di quel che si è..
L’autrice è nata a Cattolica ed è cresciuta tra la costa romagnola e Rocca San Casciano, sull’Appennino. Vive da molti anni a Campobasso, in Molise, dove insegna Storia e Filosofia in un liceo scientifico. Ha scritto sceneggiature radiofoniche, libri di saggistica storico- filosofica e romanzi storici.


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