“Non avevo alcun intento accusatorio né riesco a leggere nelle mie parole quel tono. Ho solo cercato di spiegare in dettaglio, ma senza scendere in particolari, come sono arrivato a concludere che Anita Raja è Elena Ferrante”. Claudio Gatti, il giornalista che con la sua discussa inchiesta ha svelato la presunta identità della scrittrice, parla con ilLibraio.it delle polemiche suscitate in tutto il mondo dal suo articolo: “Niente di quello che ho scritto in alcun modo sminuisce la qualità dei libri della Ferrante, né tantomeno impedirà all’autrice di continuare a scriverne degli altri e ai fan di continuare ad amarli. Sapendo però chi li ha veramente partoriti, la sua storia e il suo milieu culturale”. – Il commento al caso (che ha aperto un dibattito sul giornalismo) e, a seguire, l’intervista

Non è certo la prima volta che si parla dell’identità di Elena Ferrante, ed è normale che accada. È una delle scrittrici contemporanee più amate, dagli Usa all’Italia, passando per la Germania: è inevitabile che la sua misteriosa identità interessi e attragga i media e i giornalisti, non potrebbe essere altrimenti.
Piaccia o meno, il giornalismo si occupa anche di questioni frivole, che non cambiano il mondo. È così da secoli. È invece meno scontato, ma molto evidente a una rapida analisi dei commenti dei suoi lettori in rete ogni volta che vengono pubblicati articoli sul tema, che ai non addetti lavori che amano i libri della Ferrante importa poco della sua identità: solitamente i lettori scrivono di amare le sue storie, e si dicono poco interessati a chi si nasconde dietro allo pseudonimo.

Allo stesso tempo, non si può negare che una parte del successo dell’autrice de L’amica geniale sia legato al mistero sulla sua identità: si chiama marketing, anche se involontario e “subìto”.

Tutte le volte che spuntano nuove ipotesi sull’identità di Elena Ferrante, dalla casa editrice E/o giungono reazioni di stizza. In questo caso, l’editore Sandro Ferri interpellato da Repubblica, ha commentato così la discussa inchiesta firmata da Claudio Gatti e pubblicata dalla Domenica del Sole 24 ore: “Trovo disgustoso il giornalismo che indaga nella privacy e tratta le scrittrici come camorriste… (…). È un assedio senza tregua, una mancanza di rispetto nei confronti di una persona che non vuole apparire” (qui il comunicato sul sito della casa editrice, ndr).

L’articolo di Gatti, pubblicato in contemporanea anche dal tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, dal sito francese Mediapart e da quello della New York Review of Books, è stato attaccato duramente sia dai lettori della Ferrante sia da scrittori e addetti ai lavori (con pochissime eccezioni), ma non è il primo sull’argomento: pochi mesi fa, ad esempio, La Lettura – Corriere della Sera aveva dato ampio spazio all’inchiesta, in quel caso non legata a documenti finanziari e contratti immobiliari, ma a spunti letterari e autobiografici, di Marco Santagata.

Soprattutto in questo caso, si è però aperto un dibattito sul giornalismo: il metodo di Gatti è deontologicamente corretto? Si tratta di uno scoop giornalistico o di gossip? È stata violata la privacy di Anita Raja e Domenico Starnone? La scrittrice è stata “trattata come un criminale”? E ancora: è giusto continuare ad andare a caccia dell’identità della Ferrante? Perché non rispettare la scelta dell’anonimato?

Un passaggio dell’articolo di Gatti, in particolare, viene criticato. Quello in cui il giornalista, citando l’ultimo libro della Ferrante, scrive che “si può dire che (la scrittrice, ndr) abbia lanciato una sorta di guanto di sfida a critici e giornalisti“. Loredana Lipperini sul suo blog ha parlato di “uno dei più grandi autogol giornalistici cui abbia mai assistito”. Rivista Studio si è chiesta: e adesso? La discussione è aperta anche negli Stati Uniti, in Inghilterra e in altri paesi: dal New Yorker al Guardian, i commenti sono numerosi.

L’inchiesta di Claudio Gatti è assolutamente legittima, così come è legittimo criticarla. È importante dibattere dei limiti che il giornalismo dovrebbe porsi e della salvaguardia dell’anonimato in un’era dominata dall’apparenza, dalla mancanza di privacy e dall’onnipresenza sui social network. Allo stesso tempo, il giornalismo non può che essere libero. Anche di sfiorare il gossip, se si parla di un personaggio di rilevanza pubblica. Anche di non piacere a una parte dei lettori, che lo considerano “morboso” o sbagliato nei toni. Anche di essere autoreferenziale o poco utile.

Fatta questa premessa e letti tanti commenti, in massima parte critici nei suoi confronti, e tentando di dare il giusto peso ai problemi, abbiamo dato la parola all’autore dell’inchiesta, l’inviato del Sole Gatti, che nel frattempo ha detto la sua anche sul suo giornale

elena ferrante
Molti scrittori hanno criticato il suo articolo. Il collettivo Wu Ming, ad esempio, ha scritto: “Intelligenza collettiva e capacità di fare inchiesta non sarebbe meglio usarle contro il potere anziché per sapere chi è Elena Ferrante?”. Erri De Luca ha fatto notare: “Questa sorta di indagini patrimoniali farebbero bene a svolgerle per stanare gli evasori invece degli autori. Credo che se si vuole scrivere mantenendo l’anonimato di fronte al pubblico se ne ha tutto il diritto”. Michela Murgia ha sottolineato: “La tristezza di andare a frugare nei movimenti economici delle persone per dimostrare chi è Elena Ferrante la chiamate ancora giornalismo?”. Si aspettava tutti questi attacchi?
“Vorrei far notare a tutti coloro che mi hanno criticato per aver sprecato il mio tempo su un tema che non lo meritava, l’ironia data dalla straordinaria passione dimostrata dalla loro reazione. Sarebbe piaciuto anche a me che la stessa passione fosse stata dimostrata per molte altre delle mie inchieste. Per esempio quella in cui ho descritto l’extraordinary rendition di un cittadino italiano, quella in cui ho rivelato chi controlla il traffico di esseri umani dall’Africa all’Europa, quella in cui ho parlato delle tangenti pagate da società multinazionali in Algeria e Nigeria o quella in cui spiegavo come una società usata dalla Cia ha fornito supporto logistico ad aerei turchi e qatarini che portavano armi a islamisti in Libia e Siria. Avrei molto voluto. Ma le stesse persone che ora mi attaccano per aver sprecato il mio tempo dietro a un mistero di nessun peso, a quelle storie non si sono mai appassionate. Non si rendono conto costoro che la loro reazione così appassionata per la mia inchiesta sulla Ferrante è la prova provata che è solo questo tipo di articoli che li interessa? Che ironia!”.

Com’è nata l’inchiesta?
“Dalla mia lettura dei quattro volumi della tetralogia de L’Amica geniale. E dal fatto che negli ultimi due anni a New York, dove vivo, le persone che conoscono mi hanno fatto quasi solo una domanda: chi è Elena Ferrante?”.

Sono arrivate critiche anche al tono del suo articolo, considerato accusatorio: era questo il suo intento?
“Non avevo alcun intento accusatorio né riesco a leggere nelle mie parole quel tono. Ho solo cercato di spiegare in dettaglio, ma senza scendere in particolari, come sono arrivato a concludere che Anita Raja è Elena Ferrante”.

Lei ha avuto informazioni sui compensi che Anita Raja avrebbe ottenuto da E/o da una fonte anonima. Premesso che mai a un giornalista vanno poste domande relative alle sue fonti, pensa che il suo metodo sia stato deontologicamente corretto? Molti sostengono che sia stata violata la privacy della scrittrice.
“Ho adottato il metodo più tradizionale del giornalismo investigativo, quello di ‘follow the money’, seguire i soldi. Per quel che riguarda la violazione della privacy, la prima a violare la privacy di Elena Ferrante è stata… Elena Ferrante. Lo ha fatto fornendo ai suoi fan informazioni assolutamente non vere in La Frantumaglia, per di più su richiesta di quegli stessi editori che oggi mi attaccano per aver fornito, invece, informazioni vere. Informazioni che, peraltro, non sminuiscono in alcun modo la qualità dei libri, né tantomeno impediranno all’autrice di continuare a scriverne degli altri e ai fan di continuare ad amarli. Sapendo però chi li ha veramente partoriti, la sua storia e il suo milieu culturale”.

Non crede che Elena Ferrante abbia il diritto di difendere il suo anonimato?
“In quanto autrice di libri divenuti bestseller in tutto il mondo, Elena Ferrante è ormai un importante personaggio pubblico. Anzi si può dire che sia attualmente la più nota italiana al mondo. Milioni di suoi lettori avevano dunque un legittimo desiderio di sapere qualcosa circa la persona dietro l’opera. A sostenere questo non sono stato però io. Sono stati la stessa autrice e i suoi editori, che hanno pubblicamente riconosciuto come ‘sano’ questo desiderio. In una ‘lettera aperta’ all’autrice, Sandra Ozzola aveva infatti sostenuto che la curiosità dei suoi lettori avrebbe meritato ‘una risposta più generale, al di là delle interviste ai giornali, non solo per placare chi perdersi nelle ipotesi più inverosimili sulla tua vera identità, ma anche da un sano desiderio da parte dei tuoi lettori […] di conoscerti meglio.’ Era nata così La Frantumaglia, il saggio sedicentemente autobiografico dal quale i lettori hanno appreso che la scrittrice ha tre sorelle, che la madre era una sarta napoletana incline a esprimersi ‘nel suo dialetto’, e che lei aveva vissuto a Napoli fin quando non ne era ‘scappata via’ avendo trovato lavoro altrove. La mia inchiesta ha dimostrato però che niente di tutto questo corrisponde alla vita personale della scrittrice”.

In gran parte dei casi, i lettori della Ferrante commentano le notizie sulla sua identità, compresa la sua inchiesta, scrivendo che di chi si nasconde dietro lo pseudonimo a loro importa poco, contano i libri. Anche negli Stati Uniti, dove lei lavora, ci sono reazioni simili da parte di scrittori e lettori. I commenti di diverse testate autorevoli sono critici nei confronti del suo articolo.
“Faccio fatica a immaginare come un’opera d’arte possa essere rovinata da una conoscenza più approfondita della vita della persona che l’ha creata. Semmai ritengo sia sempre stato vero il contrario. Niente di quello che ho scritto in alcun modo sminuisce la qualità dei libri della Ferrante, né tantomeno impedirà all’autrice di continuare a scriverne degli altri e ai fan di continuare ad amarli. Sapendo però chi li ha veramente partoriti, la sua storia e il suo milieu culturale”.

Qual è la sua opinione sui libri della scrittrice?
“Credo sia una grande scrittrice, che ha la rara dote di saper combinare spessore letterario e leggibilità”.

Ci sarà una nuova puntata dell’inchiesta?
“Non vedo cosa altro sia rimasto da rivelare…”.

elena ferrante la frantumaglia

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