“Di colpo mi accorgo che la lista delle cose invisibili che ci tengono vivi, è lunghissima… Pensateci. Sì, sì, pensateci. Pensateci con calma perché è una cosa da perderci la testa, pensateci un po’ e poi tornate qui quando vi siete fatti un’idea di quante possono essere le cose invisibili che ci tengono vivi”. Su ilLibraio.it, l’intervento di Alessandro Barbaglia, che torna in libreria con il romanzo “L’atlante dell’invisibile”

L’invisibile devi vederlo, altrimenti quasi non ci fai caso.

Devi inciamparci dentro, nell’invisibile, altrimenti pensi sia un colpo di vento, qualcosa di estraneo che non ti appartiene. E io l’invisibile l’ho incontrato un martedì, al margine di un caffè.

Insomma, ecco come è andata: è martedì, sono al bar, bevo un caffè. E quando finisco appoggio la tazzina sul bancone e prendo un tovagliolo. Di carta. Del bar. Che non è carta bella, quella, è un rettangolo di carta stupida che sembra plastica, è un paradossale tovagliolo impermeabile, non so se avete presente. E col tovagliolo, invece di compiere quel gesto inutile di asciugarmi le labbra (perché quei tovaglioli lì non asciugano un bel niente): scrivo. Ci scrivo su. Un appunto, una frasetta. Una cosa sciocca che mi è venuta in mente lì per lì. Scrivo: “Elenco delle cose invisibili che ci tengono vivi”.

E sotto, sempre sul tovagliolo, a penna, con la Bic blu, comincio l’elenco: l’elenco delle cose invisibili che ci tengono vivi. E resto senza fiato. Perché scrivo: ossigeno, aria, acqua luce (che è invisibile quando è troppa, invisibile quando è troppo poca e invisibile pure quando è giusta), caldo, freddo, musica, voce, infanzia, amore, idee, tempo… fedeltà.

Un altro caffè. Questo non lo scrivo, lo chiedo al barista, ma non per il caffè, a dire il vero, per poter prendere un altro tovagliolo.

Perché di colpo mi accorgo che la lista delle cose invisibili che ci tengono vivi, è lunghissima… Pensateci. Sì, sì, pensateci. Pensateci con calma perché è una cosa da perderci la testa, pensateci un po’ e poi tornate qui quando vi siete fatti un’idea di quante possono essere le cose invisibili che ci tengono vivi. Compresi i nostri organi interni, che quelli sì che ci tengono vivi, ma solo se sono invisibili, perché se li vediamo… .

Fatto? Ci avete ragionato? Ripartiamo.

Insomma riempio di appunti cinque tovaglioli, tutti stesi di fronte a me, sul bancone, e poi al bar cominciano a guardarmi strano.

E hanno ragione. Così pago, lascio pure la mancia per il disastro che ho fatto, accartoccio i tovaglioli e me li metto in tasca. L’idea non è mia. A questo punto, bisogna ammetterlo, il colpo di genio viene al barista, è lui che mi indica il punto in cui inizia l’invisibile.

Dice: “Non erano brutti, sa? Sembravano una mappa. Una mappa del tesoro”.

Santo cielo! Lo guardo. Vorrei baciarlo! Una mappa! Riapro tutti e cinque i foglietti che avevo accartocciato.

Ecco che cos’era quella che avevo sotto gli occhi: era una mappa di strade invisibili, un Atlante con tutte le radici invisibili che ci tengono vivi, un atlante dell’invisibile.

Era l’inizio della mia storia: provare a raccontare le cose invisibili che ci tengono vivi.

Quasi non ci credo.

Un anno e mezzo fa ho scritto un libro, La Locanda dell’Ultima Solitudine, e alla fine ero così felice – profondamente felice – che pensavo non avrei scritto mai più nulla. Pensavo sarei tornato a fare quello che ogni lettore è chiamato a fare per far parte della grande famiglia delle storie: leggere.  E poi è arrivato quel martedì, quel caffè, quel tovagliolo di carta plasticata.

Ed ecco la storia.

Perché nell’invisibile convivono fantasmi e fantasie. Perché l’invisibile devi vederlo, altrimenti quasi non ci fai caso: al fatto che sia lui a tenerci vivi.

Proprio come fanno le storie.

Alessandro Barbaglia l'atlante dell'invisibile

L’AUTORE  – Alessandro Barbaglia è un giovane poeta e libraio che vive a Novara. Il romanzo La locanda dell’ultima solitudine (Mondadori, 2017) è stato il suo primo libro pubblicato da un grande editore: una scrittura lieve e poetica, tra giochi linguistici, pennellate surreali e tenerezza, con cui l’autore ci racconta una storia d’amore.

Sempre Mondadori porta ora in libreria L’atlante dell’invisibile, il suo nuovo romanzo. Ismaele, Dino e Sofia hanno quarantadue anni in tre quando nel 1989, durante una sera di fine estate, rapiscono la luna in segno di protesta. Vivono a Santa Giustina, un lontanissimo paese fatto di baite di legno ai piedi delle Dolomiti, che sta per essere sommerso da un lago artificiale portandosi dietro tutti i loro ricordi, le gare con le lumache, il prato del castagno, i primi baci. Il progetto della diga risale al 1946. Ai tempi, gli abitanti di Santa Giustina non accettarono di abbandonare le loro case per trasferirsi al “paese nuovo” e rinunciarono ai benefici promessi nel caso di una resa immediata. Si avvicina però il momento dell’esproprio definitivo. Proprio negli anni Quaranta si sono conosciuti Elio e Teresa, e precisamente il 19 marzo 1946, in un bar Sport gremito di una folla accalcata per seguire la cronaca radiofonica della prima Milano-Sanremo del dopoguerra. Senza essersi mai visti né incontrati, Elio e Teresa – ormai anziani e da sempre innamorati l’uno dell’altra e del loro paese vicino a Milano – e i quattordicenni Dino, Ismaele e Sofia sono tormentati dalle stesse domande: “dove vanno a finire le cose infinite?”, “dove si nascondono l’infanzia, l’amore o il dolore quando di colpo svaniscono?”.

E se Elio, per rispondere, costruisce mappamondi dalle geografie tutte inventate e sbagliate – descrivendo così la terra magica dove abita l’invisibile e costringendo Teresa a correggere tutto con puntiglioso realismo -, i bimbi di Santa Giustina via via che crescono si allenano a non smettere di scorgere l’invisibile tra le pieghe del reale e a conservarlo a modo loro, in una sorta di gioco segreto. In una danza fatta di immaginazione, ricordo ed elaborazione del lutto, Teresa incontrerà i bambini diventati adulti nella notte più incredibile delle loro vite: quella durante la quale, per pochi istanti di eternità, riemergerà il paese sommerso di Santa Giustina. E con lui l’amore, il dolore, l’infanzia…

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