Siamo fatti della stessa sostanza delle storie che ci appassionano. Mescolando finzione e realtà, fantasia e cronaca, esse stimolano desideri materiali, spirituali, vocazioni professionali, pulsioni sessuali, criminali. “Non è un caso se le fiction, come i film nell’epoca d’oro, hanno ispirato alcuni spettatori nelle loro azioni contingenti o impegnative, come le scelte professionali”. Su ilLibraio.it un estratto dal saggio di Luca Mastrantonio “Emulazioni pericolose – L’influenza della finzione sulla vita reale”

Luca Mastrantonio, giornalista del Corriere della Sera (attualmente è vicecaporedattore alla redazione del settimanale 7), saggista e docente di comunicazione e storytelling multimediale all’Università IULM di Milano, torna in libreria per Einaudi con il saggio Emulazioni pericolose – L’influenza della finzione sulla vita reale.

Come si racconta nel libro, siamo fatti della stessa sostanza delle storie che ci appassionano. Mescolando finzione e realtà, fantasia e cronaca, esse stimolano desideri materiali, spirituali, vocazioni professionali, pulsioni sessuali, criminali. Suscitano emozioni, modificano la morale, facilitano azioni che la mente ha vissuto riproducendole come un simulatore. Oggi la fiction è una religione, lo storytelling un’ideologia politica e comunicativa, la viralità il valore della società delle Reti: influenzare gli altri, lasciarsi contagiare. Un’overdose. I fan piú fanatici sono assetati di finzione e affamati di realtà: imitare soddisfa il bisogno di senso e autenticità. In questo contesto, il saggio di Mastrantonio si presenta come “un’enciclopedia portatile degli effetti emulativi di narrazioni moderne”.

emulazioni pericolose

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto

L’effetto delle fiction sulla gente

Sete di finzione, fame di realtà: serialità bulimica.

Le serie televisive del nuovo millennio mostrano una potenza di fuoco narrativa che sembra riassumere alcune caratteristiche dei format precedenti: i romanzi d’appendice, le saghe letterarie, gli sceneggiati televisivi e il cinema. Alzano il livello di immedesimazione e aumentano lo stimolo emulativo grazie al livello di partecipazione e riproduzione della finzione nel mondo reale, attraverso l’interazione con i canali digitali, i social network e la facilità con cui oggi si produce un’opera di simil-arte. Sono organismi narrativi modificati rispetto agli antenati analogici, gli sceneggiati, di cui condividono la progressione narrativa e la matrice spesso letteraria. I telefilm invece sono circolari, ripropongono in genere lo stesso schema, fatto a volte di brevi sketch, come le sit-com alla Friends, che appartengono a un’epoca nella quale pochi prodotti si imponevano a una massa piuttosto compatta di telespettatori, mentre oggi le fiction televisive, o tv show, hanno pubblici molteplici e parcellizzati, che non vedono necessariamente in sincrono la storia.

L’elemento strutturale più forte è la serialità. Già protagonista dei romanzi d’appendice del Settecento e dell’Ottocento, con cadenza settimanale, è diventata più invasiva e interattiva, perché in parte è il destinatario a stabilirne il ritmo. Si diversifica a seconda della modalità di fruizione e dello strumento, tv, pc, cellulare, tablet: visione sincronizzata a livello globale con le comunità di fan che la seguono in tutto il mondo (spesso senza riguardo del fuso orario); visione on demand, individuale; visione in differita e compulsiva di tutte le puntate uscite, una maratona (binge-watching); visione sulla tv in chiaro, ritardata rispetto alle avanguardie di fan, ma sincronizzata in un vasto pubblico. Una varietà babelica di storie consumate spesso a pettine, incrociando più serie, creando affezione, dipendenza persino una confusione che rende più difficile restare ancorati all’intreccio: se non fosse che attraverso i social e i siti è possibile condividere l’esperienza, commentare il colpo di scena, creare trame alternative: insomma, una immersione continua, alimentata dalle attese tra gli episodi da un lato e la vita reale dall’altro.

Il livello di interazione è alto e coerente con il mezzo usato. Per i romanzi d’appendice, pubblicati su giornali, c’erano le lettere che si potevano mandare al giornale o all’autore, chiedendo consigli, suggerendo svolte nella trama, proponendo storie, ma con scarso successo, perché c’erano dei mediatori, gli editori; oggi ci sono i canali digitali, fruiti attraverso lo schermo che spesso è lo stesso utilizzato per guardare la fiction, il che alza il livello di immedesimazione. I romanzi epistolari sembravano vere e proprie lettere, oggi posso girare un video in cui riproduco una scena della mia serie preferita e caricarlo su YouTube. Si può fare pressione per modificare la trama o scrivere una fan fiction. O ci si può travestire da personaggio senza aspettare carnevale, basta cercare un festival di cosplayers.

Le serie tv hanno spesso qualità simili al cinema dal punto di vista tecnico e formale, nella sceneggiatura, nella fotografia, nella regia e nel montaggio, e soprattutto nel ruolo di mediazione offerto dagli attori. L’immedesimazione con uno dei personaggi è facilitata dal fatto che si possono seguire, a volte interagendo, i profili degli attori che interpretano i personaggi spesso anche sui social, tra una puntata e l’altra, mentre con una star cinematografica, l’interazione è a film finito: l’attore del cinema non ama essere associato a un solo personaggio, perché deve pensare a dare risalto ad altri ruoli, figli di altri ingaggi; quello di fiction invece ha un impiego prolungato e produce maggior fanatismo nei seguaci. Il film è una narrazione continua ma chiusa, come il romanzo non d’appendice, la fiction è frammentata e aperta.

Le fiction tv hanno un tratto in comune con il cinema di fine millennio: la narrazione non lineare – che a detta di David Lynch rispecchia maggiormente la realtà –, dunque trame molto complesse, intricate, che garantiscono l’attenzione dei fan. Alla forza centrifuga degli intrecci a episodi (qualcosa del genere avveniva già nell’epica moderna, con i poemi cavallereschi) si contrappone la forza centripeta del personaggio. Nelle fiction i personaggi hanno una forte carica emotiva e una visione del mondo chiara, messa in pratica nelle varie puntate, in maniera anche ridondante; a volte – non sempre – sono personaggi in evoluzione, come nei romanzi di formazione, rompendo la regola numero uno della tv: la stabilità del personaggio.

Quindi i tratti distintivi sono: serialità del romanzo d’appendice e impatto del romanzo di formazione – o del film «tratto da» – benché lo scopo principale resti il tenere il più possibile agganciati dentro una storia i fan (la prima puntata e l’ultima non sono impresse nella memoria come l’incipit e l’epilogo di un romanzo o di un film). Ecco che allora non è un caso se le fiction, come i film nell’epoca d’oro, hanno ispirato alcuni spettatori nelle loro azioni contingenti o impegnative, come le scelte professionali. Anche perché centrale è l’elemento agentivo, di azione: ogni episodio può essere un tutorial o una parabola con cui formulare un giudizio. Vuoi essere spietato come un narcotrafficante? Guarda Narcos. Vuoi vedere com’è brutto il mondo dove il narcotraffico è al potere? Guarda Narcos, rivaluterai la tua vita ordinaria. Ti senti in colpa perché evadi le tasse per non perdere il poco che guadagni? Segui il professore-spacciatore di Breaking Bad, ti sentirai un santo. Hai bisogno di una figura edificante? C’è Don Matteo. Sei ateo ma il Vaticano ti sembra un posto glam? Ecco il papa anticonformista di The Young Pope di Paolo Sorrentino con Jude Law: è praticamente cinema per piccoli schermi. E ancora: vuoi far sparire delle prove compromettenti? Guarda CSI o Dexter, potresti trarne qualche spunto interessante. Non sai cosa fare da grande? Ma se parli sempre di Grey’s Anatomy

Semplificazioni per rendere evidenti gli effetti ambigui dell’immersione in una fiction, visibili se si capovolge la questione: non guardiamo una serie per avere risposte e suggerimenti, perché se cosí facessimo alzeremmo il livello critico, le barriere, come quando leggiamo manuali o saggi; semmai le risposte e i suggerimenti della serie si depositano in noi, più facilmente proprio perché pensiamo che sia solo intrattenimento. Lo schema è: evasione, simulazione di problemi, immedesimazione, catarsi. Le storie possono creare una domanda, cioè un desiderio, oppure offrire delle risposte, particolarmente gradite nei momenti di crisi: come la rivoluzione industriale aveva inurbato il territorio, diviso il lavoro e allo stesso tempo redistribuito identità sociali con l’editoria, cosí la rivoluzione digitale ha disintermediato, su scala globale, molte professioni e messo in scacco alcuni percorsi professionali ed esistenziali di individui che possono trovare una compensazione nelle storie di cui finalmente si sentono più protagonisti o autori.

La serialità frammentata della serie, la duttilità psicosociale dei personaggi e la convergenza dei social media permette non solo una totale immersione nella finzione, ma pure una emersione della finzione nella realtà. Una spinta complementare che non sfugge al marketing delle produzioni audiovisive che tende a creare campagne online di interazione e persino offline con i fan: per esempio, creando negozi temporanei dove si vende il cibo che si vede nella fiction. È successo per House of Cards e Breaking Bad, costolette e polli prodotti come nella serie, con dei punti di ristorazione temporanei creati in Italia; situazioni in cui si mangia con gli occhi.

Altro potente elemento in comune con romanzi e cinema è l’effetto verità, o verosimiglianza spinta. Se i primi usavano stratagemmi di veridicità come la forma epistolare o il manoscritto ritrovato, le fiction puntano su set scelti o ricostruiti con grande cura mimetica e usano consulenti presi nei campi in cui operano i personaggi. Nell’equilibrio difficile tra il sorprendente/stupefacente e il credibile/plausibile, si ottiene un racconto che appare più vero della realtà, più realistico del vero. Siamo facilmente attratti da opere di fantasia che raccontano fatti realmente accaduti e cerchiamo in tv come sul web fatti reali che superano la fantasia, perché ci danno il piacere esplicativo che proviamo nel leggere il titolo di un’opera o una biografia e ci riconciliano con la realtà cui dobbiamo per forza tornare.

Lo scambio tra realtà e finzione è sempre più stretto, con meccanismi di empatia e simpatia tra autore/personaggio/destinatario. Questo doppio binario porta a cortocircuiti molto forti e, appunto, stimoli emulativi nelle fasce più giovani, in formazione, o in quelle più mutevoli, perché ambiscono a un nuovo ruolo o vedono il proprio messo in crisi. Emulazioni pericolose per chi non ne ha consapevolezza. Gli effetti delle fiction sul pubblico possono essere positivi e/o negativi, a seconda della morale dei personaggi (eroi o antieroi) e dei bisogni identificativi dello spettatore. In alcuni casi le serie tv offrono delle maschere psichiche, che i fan si limitano a indossare sui social o a trasformare in realtà, ma in maniera innocua; altre volte, invece, concorrono indirettamente al perfezionamento di un’azione, anche criminale, offrendo spunti o suggerimenti tecnici, quasi istruzioni, come fossero dei tutorial del web; infine, diventano moventi reali, o presunti, come fossero alibi, per soggetti deboli o psicopatici.

Questa cultura partecipativa non riguarda solo i media digitali, ma è presente anche nei media tradizionali su canali nazionalpopolari. Lo testimonia benissimo quello che è capitato con la fiction Rosy Abate, trasmessa il 12 novembre 2017 in prima serata da Canale 5, quando degli spettatori hanno provato a entrare nella fiction.

È uno spin off, cioè una narrazione secondaria, il primo in Italia di questo genere, della fortunatissima seria Squadra Antimafia, dove Rosy, da ragazza di buona famiglia cresciuta all’estero, era diventata la regina criminale di Palermo. Nella puntata del 12 novembre un malavitoso passa a Rosy un foglio con un numero di telefono. In genere si usano numeri finti, questa volta invece era vero, e apparteneva a una coppia di Domodossola che ha iniziato a ricevere, quel giorno stesso fino al mattino seguente, telefonate di ogni tipo: insulti, perché molti credevano che fosse una famiglia di mafiosi, e richieste assurde, addirittura di raccomandazioni per un provino, fino alle minacce di morte.

Un telespettatore ha commentato su Tgcom24: «La gente sta male, l’unico numero che devono chiamare è il 118». Ma non è cosí che funzionano anche le campagne per raccogliere fondi per la ricerca, quando un numero compare in sovraimpressione? O i numeri delle televendite? In parte sí, ma nessuno pensava davvero che l’attore famoso ci avrebbe poi ringraziato per aver donato dei soldi tramite un sms. Semplicemente, nel caso di Rosy Abate, si tratta di una connessione telefonica tra uno spettatore e chi abita l’altra metà dello specchio colorato della tv, in cui si riversano sentimenti e desideri: odio per la mafia, amore per l’attrice, richieste di aiuto e raccomandazioni.

(continua in libreria…)

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