“Cosa fa di me una madre? Probabilmente ogni donna che lo è ha coniato una personale definizione dentro alla quale si identifica; io ho trovato la mia proprio durante questi due mesi di quarantena”. La riflessione di Giada Sundas in occasione di una festa della mamma diversa dalle altre

Mi sono più volte chiesta cosa faccia di me una madre. Qual è la prerogativa? Cosa differenzia me da un’altra donna non madre?

Ho cercato una risposta vera, provando a lasciarmi alle spalle la melensa retorica dei poteri curativi dei baci sulle bue o, peggio, della stereotipata immagine dell’eroina col mantello che tutto può.

La verità è che la differenza tra me e una donna che non è madre, è che io ho avuto un figlio.

Vi risparmierò la nota d’approfondimento sulla ben nota teoria popolare che detta come non sia sufficiente plasmare dei subordinati genetici per essere un genitore, io stessa nasco sotto questa stella e vanto una pregressa esperienza in merito. Forse sarebbe meglio dire che madre è chi un figlio lo ha scelto. Non scelto di concepirlo, di adottarlo, tenerlo, ma scelto di essergli madre ogni giorno.

È da quando ho messo al mondo mia figlia che mi domando cosa faccia di me una madre, ma ciò che mi mette in crisi è l’accostamento dell’aggettivo “buona” o peggio “vera” che incontro sovente nella narrazione. Una questione di fazioni, quindi? Un teorema matematico?

Probabilmente ogni donna che lo è ha coniato una personale definizione dentro alla quale si identifica, io ho trovato la mia proprio durante questi due mesi abbondanti di quarantena.

Sono stata uno di quegli sfortunati genitori che ha dovuto assistere al manifestarsi della sofferenza del proprio figlio e subirla, impotente, senza poter intervenire concretamente. Crisi di pianto inconsolabile dovute allo stravolgimento quotidiano della reclusione e la mancanza degli affetti.

Molte persone hanno identificato in queste manifestazioni di insofferenza dei bambini come semplici capricci, additandoli come frignoni viziati incapaci di gestire la propria noia. Ovviamente la responsabilità è ricaduta sul genitore, incapace di intrattenere, stimolare, gestire. Come può un bambino pieno di giocattoli, pennarelli, videogiochi, piattaforme di streaming e dispositivi elettronici permettersi di manifestare del malessere? Là fuori ci sono bambini che non hanno neanche da mangiare, che muoiono sotto le bombe, orfani, sottoposti alle più svariate forme di sofferenza!

E qui, proprio qui, ho capito cosa fa di me la madre che sono: so accogliere, consolare, senza sminuire.

Mi sono osservata chiudere tra le braccia un piccolo corpo scosso dal pianto e dire: hai tutte le ragioni per sentirti così, piangi, se ne senti il bisogno.

Forse mia figlia non le aveva le ragioni per sentirsi così, penserete, ma non è un problema vostro né mio, le emozioni di mia figlia sono sue, nascono in lei in modo autonomo, indipendentemente dalle condizioni delle vite del resto del mondo, per quanto miserabili possano essere.

Fa di me la madre che sono la capacità di non far sentire sbagliata mia figlia nel suo dolore, di non farla sentire in colpa soltanto perché il suo malessere è di scarsa priorità nella ipotetica scala della sofferenza mondiale, di non farla sentire come se non fosse nella posizione di provare quella emozione.

Fa di me la madre che sono il lavoro quotidiano nella trasmissione del concetto di gratitudine e insegnamento della posizione privilegiata nella quale viviamo come umani sani, in stato di pace e economicamente stabili, affinché diventi un modo di pensare autonomo in futuro e non una risposta indignata al suo malessere presente.

Fa di me la madre che sono il reale interesse a voler tirare su un essere umano che non tragga consolazione e sollievo al pensiero che qualcuno stia soffrendo più di lei.

Questo fa di me la madre che sono, e mi piace la madre che sono.

E allora oggi festeggio più forte che mai, perché forse non sono del team “buona” o “vera”, ma sono quella mamma che avrei sempre voluto essere. Finalmente l’ho capito.

L’AUTRICE – Giada Sundas è una giovane madre molto seguita in rete. Sui social racconta la sua esperienza di “madre imperfetta ma imperterrita” con freschezza e ironia. Il suo romanzo d’esordio, edito da Garzanti nel 2017, si intitola Le mamme ribelli non hanno paura, e racconta la storia di Giada dal giorno in cui la piccola vita di Mya, sua figlia, ha cominciato a crescere dentro di lei. Nel 2018 è uscito il suo secondo, atteso libro, Mamme coraggiose per figli ribelli, in cui l’autrice torna a parlare del mestiere più difficile del mondo: fare la madre. Con la sua inconfondibile vena ironica…

Alla pagina dell’autrice tutti gli articoli di Giada Sundas per ilLibraio.it

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