“Da un punto di vista critico, è difficile stabilire cosa sia peggio (la minaccia più grande per l’umanità), se la devastazione virale della vita o la perdita dell’individualità nella Singolarità”: un estratto da “Virus”, il saggio digitale in divenire del filosofo Slavoj Žižek, che raccoglie le sue riflessioni su come l’epidemia di covid-19 stia cambiando per sempre le nostre vite e la società in cui viviamo

Capitolo 14
Cosa non sappiamo, cosa non vogliamo sapere e cosa possiamo fare

di Slavoj Žižek

Nella Guerra lampo dei Fratelli Marx (Duck Soup), Groucho (nelle vesti di un avvocato che difende un cliente in tribunale) dice: «Può essere che quest’uomo parli come un idiota e abbia la faccia da idiota, ma non lasciatevi ingannare: è veramente idiota». A quanti esibiscono una diffidenza di fondo verso le disposizioni impartite dallo Stato e scorgono nel protocollo d’isolamento una cospirazione del potere statale che prenderebbe a pretesto l’epidemia per privarci delle libertà fondamentali si dovrebbe ribattere in maniera analoga: «Lo Stato ci impone l’isolamento domestico che ci priva delle libertà e si aspetta che ci controlliamo a vicenda per vedere come ciascuno rispetti le prescrizioni; ma non lasciamoci ingannare, dovremmo osservare davvero le prescrizioni relative all’isolamento…»

Slavoj Žižek Virus

Occorre notare come le richieste di revocare le misure di contenimento provengano dalle estremità opposte dell’arco politico tradizionale: negli Stati Uniti, sono i libertari di destra ad avanzarle, mentre in Germania sono i gruppuscoli di sinistra. In entrambi i casi, il sapere medico è criticato come uno strumento per disciplinare le persone, trattarle come vittime inermi che andrebbero isolate per il loro stesso bene. Non è difficile ravvisare, dietro a questo atteggiamento critico, la posizione di chi non-vuole-sapere: se ignoriamo il pericolo, non sarà così terribile, riusciremo a sfangarla… La destra libertaria degli Stati Uniti sostiene che si dovrebbero allentare le misure di contenimento in modo che alle persone sia restituita la libertà di scelta – ma quale libertà? Come ha scritto Robert Reich: «Il dipartimento del lavoro dell’amministrazione Trump ha stabilito che i dipendenti in congedo ‘devono accettare’ la proposta del datore di lavoro di riprendere l’attività e rinunciare quindi alla cassa integrazione, senza badare al COVID-19. […] È disumano costringere la gente a scegliere se prendersi il COVID-19 o perdere la fonte di reddito». Allora, sì, c’è una libertà di scelta: fare la fame o rischiare la vita… Siamo tornati ai tempi delle miniere di carbone britanniche del XVIII secolo (per non fare che un esempio), quando svolgere il proprio lavoro comportava il rischio consistente di perdere la vita.

Ma c’è un tipo diverso di ammissione d’ignoranza, a sostegno dell’imposizione rigorosa dell’isolamento. Non è che il potere dello Stato strumentalizzi l’epidemia per imporre il controllo totale – mi convinco sempre di più che opera invece una sorta di gesto simbolico superstizioso: se facciamo un grosso gesto sacrificale, che sia davvero gravoso e provochi l’arresto totale della vita sociale, forse possiamo aspettarci la grazia… Il fatto sorprendente è quanto poco sembriamo conoscere (tutti noi, compresi gli scienziati) come funziona l’epidemia. Molto spesso le raccomandazioni delle autorità sono contraddittorie. Riceviamo istruzioni rigorose sull’auto-isolamento per evitare la contaminazione virale, ma, non appena le infezioni diminuiscono, si affaccia la paura che in questo modo finiremo solo per renderci più vulnerabili alla seconda ondata dell’attacco virale, già prevista. Oppure confidiamo nel fatto che la scoperta di un vaccino possa precedere la prossima ondata? Ma già sono state evidenziate alcune mutazioni nel virus, il vaccino coprirà tutte le varianti? Ogni speranza in un rimedio rapido (il caldo estivo, la veloce diffusione dell’immunità di gregge, il vaccino…) sta sfumando.

Si sente dire spesso che qui in Occidente l’epidemia ci costringerà a ripensare il rapporto con la morte, ad accettare realmente la mortalità e la fragilità dell’esistenza – di punto in bianco arriva un virus e la nostra vita è finita… ecco perché, così ci dicono, in Estremo Oriente sanno prendere molto meglio l’epidemia – come una mera parte della vita, del modo in cui stanno le cose. Noi occidentali accettiamo sempre meno la morte come parte della vita, la vediamo come l’intrusione di qualcosa di estraneo che è possibile rimandare all’infinito grazie a una vita sana, se ci si allena, se si segue una dieta, evitando traumi… A questa storia non ho mai creduto. In un certo senso la morte non fa parte della vita, è inimmaginabile, una cosa che non dovrebbe capitarmi. Non sono mai realmente pronto a morire, tranne che per sfuggire ad atroci sofferenze. Ecco perché in questo periodo molti di noi si concentrano ogni giorno sugli stessi numeri magici: quanti i nuovi infetti, quante le guarigioni complete, quante le morti… Ma, se ci concentriamo in maniera esclusiva su questi dati, per quanto orribili possano essere, non rischiamo forse di ignorare quanti, in numero più cospicuo, in questo momento muoiono di tumore, di un doloroso arresto cardiaco? Al di là del virus non c’è solo la vita, ci sono anche il morire e la morte. E che dire di un elenco comparativo di numeri: oggi, quanti hanno preso il virus, e in quanti hanno un tumore? quanti sono morti a causa del virus e quanti di tumore? quanti si sono ristabiliti dal virus e quanti dal tumore?

Dovremmo modificare l’immaginario e smettere di aspettarci un picco d’intensità evidente dopo il quale le cose gradualmente dovrebbero tornare alla normalità. La catastrofe non si presenta, le cose si trascinano e basta, ci informano che abbiamo raggiunto l’altopiano, da qui in avanti le cose un poco miglioreranno, ma… la crisi continua a trascinarsi. Come ha detto Alenka Zupančič, la fine del mondo presenta lo stesso problema della fine della storia per Fukuyama: è proprio la fine che non finisce, restiamo bloccati in un’inquietante immobilità. Il desiderio inconfessato di tutti noi, il nostro chiodo fisso, si riduce a uno: quando finirà? Ma non finirà: è ragionevole ritenere che l’epidemia in atto annunci un nuovo periodo di guai ambientali; nel 2017, la BBC tratteggiava il futuro che potrebbe attenderci a causa dell’intervento dell’uomo sulla natura: «Il cambiamento climatico sta sciogliendo il permafrost rimasto ghiacciato per migliaia di anni, e, via via che si scioglie, il suolo gelato rilascia virus e batteri antichi, pronti a risvegliarsi dopo una lunga latenza».

La cosa propriamente ironica di questa nessuna-fine-in-vista è che l’epidemia si è verificata in un periodo che vede l’informazione scientifica divulgativa occuparsi in maniera ossessiva di due aspetti della digitalizzazione della vita. Da una parte, si scrive molto riguardo a una nuova fase del capitalismo chiamata «capitalismo della sorveglianza»: il controllo digitale totale sulla vita esercitato dai servizi segreti e dalle grandi aziende private. Dall’altra, i mezzi d’informazione sono affascinati dal tema dell’interfaccia neurale («il cervello cablato»).

Anzitutto, quando il cervello è connesso alle macchine digitali, perché le cose accadano nella realtà, ci basta pensarle; poi, il mio cervello è collegato direttamente a un altro cervello, sicché un altro individuo può condividere direttamente la mia esperienza.

Estrapolato al massimo, il cervello cablato spalanca l’orizzonte alla Singolarità, come l’ha chiamata Ray Kurzweil, lo spazio globale quasi divino di una coscienza globale condivisa… Qualunque sia lo statuto scientifico di questa idea (controversa, finora), è chiaro che, si realizzasse, condizionerebbe le caratteristiche essenziali degli umani in quanto esseri pensanti/parlanti: la futura comparsa della Singolarità sarà apocalittica nel senso complesso della parola: comporterà il confronto con una verità nascosta nell’esistenza umana ordinaria; in altre parole, l’ingresso in una nuova dimensione post-umana.

Sarà interessante osservare come l’ampio ricorso alla sorveglianza sia stato accettato sommessamente: sono stati impiegati droni non solo in Cina ma anche in Italia e in Spagna. Quanto alla visione spirituale della Singolarità, la nuova unità immediata di umano e divino, la perfetta gioia che ci fa dimenticare i limiti dell’esistenza corporea, può ben rivelarsi un nuovo incubo inimmaginabile. Da un punto di vista critico, è difficile stabilire cosa sia peggio (la minaccia più grande per l’umanità), se la devastazione virale della vita o la perdita dell’individualità nella Singolarità. L’epidemia ci rammenta che restiamo saldamente radicati all’esistenza fisica con tutti i pericoli che comporta.

Siamo allora in una situazione disperata? Assolutamente no. Si profilano difficoltà immense, quasi inconcepibili, più di un miliardo di persone disoccupate ecc. Si dovrà inventare nuovo modo di vita. Una cosa è chiara: in un regime di isolamento, il sostentamento è affidato alle scorte alimentari e ad altre provviste accumulate in precedenza, sicché ora l’impresa difficile consiste nell’uscire dall’isolamento per inventare una nuova vita in condizioni virali. Si pensi solo a come cambierà quello che è finzione e quello che è realtà. I film e le serie televisive ambientati nella realtà ordinaria, in cui le persone passeggiano liberamente per strada, si stringono la mano e si abbracciano, diventeranno immagini nostalgiche di un mondo perduto del passato, mentre la vita reale ricorderà una variazione su una delle opere teatrali della maturità di Beckett, Commedia (Play): sul palcoscenico tre orci grigi e identici si toccano l’un l’altro; da ciascuno sbuca una testa, il collo ben assicurato alla bocca dell’orcio…

Eppure, se con sguardo ingenuo proviamo a considerare le cose dalla giusta distanza (bella impresa), vediamo distintamente che la società globale possiede le risorse sufficienti a coordinare la sopravvivenza e organizzarsi adottando un modo di vita più modesto, in cui a bilanciare la scarsità di cibo al livello locale intervenga la cooperazione globale, e l’assistenza sanitaria globale sia meglio attrezzata per affrontare i successivi attacchi. Sapremo farlo? Oppure entreremo in una nuova epoca di barbarie in cui l’attenzione monopolizzata dalla crisi sanitaria permetterà il protrarsi di vecchi conflitti (freddi e caldi) all’insaputa dell’attenzione pubblica globale? Avrete notato il riaccendersi della guerra fredda tra gli Stati Uniti e la Cina, per non parlare delle guerre aperte in Siria, in Afghanistan e altrove, che operano come il virus: non fanno altro che trascinarsi per anni e anni… (Si noti come sia stato completamente ignorato l’appello di Macron a una tregua mondiale per la durata dell’epidemia). La decisione riguardo a quale strada imboccare non riguarda la scienza né la medicina, è prettamente politica.

IL LIBRO E L’AUTOREVirus (Ponte alle Grazie) di Slavoj Žižek è un progetto in divenire: già disponibile in versione ebook, per chi lo acquista sarà possibile scaricare gli aggiornamenti che conterranno i prossimi interventi del celebre filosofo, che in questo libro riflette sull’emergenza Covid-19 e sui cambiamenti che questa comporta (e comporterà) alla nostra società. La particolarità del libro, la cui versione ebook è già disponibile negli store online, è che sarà aggiornato da Žižek in tempo reale: chi lo acquista potrà poi scaricare gratuitamente gli aggiornamenti che conterranno i nuovi interventi dell’autore.

In questo saggio il filosofo segue giorno per giorno la crisi pandemica, che sta radicalmente modificando l’esistenza degli individuii rapporti fra popolo e Statole relazioni internazionali. Il libro è pensato per coloro che, per capire meglio il momento che stiamo attraversando, avvertono il bisogno di un punto di osservazione più ampio che rifletta sui cambiamenti al di là del livello della cronaca e dell’informazione scientifica.

Il punto di vista di Žižek sull’argomento non manca di aspetti ottimisti: “Magari si propagherà un virus ideologico diverso e molto più benefico, e che ci infetti c’è solo da augurarselo: un virus che ci faccia immaginare una società alternativa, una società che vada oltre lo Stato-nazione e si realizzi nella forma della solidarietà globale e della cooperazione”.

Žižek è autore di moltissime opere, tra le quali troviamo Benvenuti nel deserto del reale (Meltemi, 2002), Tredici volte Lenin (Feltrinelli, 2003), Il soggetto scabroso (Raffaello Cortina, 2003), L’epidemia dell’immaginario (Meltemi, 2004), Il cuore perverso del cristianesimo (Meltemi, 2006), Leggere Lacan (Bollati Boringhieri, 2009), Un anno sognato pericolosamente (Ponte alle Grazie), In difesa delle cause perse (Ponte alle Grazie 2013), L’oggetto sublime dell’ideologia (Ponte alle Grazie 2014), Sul teatro musicale. Busoni, Wagner, Mozart, Cajkovskij, Janacek (2014 Orthotes), 107 storielle di Zizek (Ponte alle Grazie 2014), Disparità (Ponte alle Grazie 2017), Come un ladro in piena luce (Ponte alle Grazie 2019), L’ incontinenza del vuoto (Ponte alle Grazie 2019).

Fotografia header: Wikimedia Commons Andy Miah / CC BY-SA

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